I lavori di restauro sono terminati da tempo, ma nessuno interviene per far rimuovere la “bruttura”
Gli interventi di restauro sono stati ultimati da tempo, ma parte dell’impalcatura in pannelli e tubi ferrosi, non è stata ancora rimossa. La “bruttura” si trova nel cuore antico di Lecce, e ferisce una delle chiese più rappresentative dell’arte barocca. Da quindici anni, San Giovanni Battista al Rosario, la prima delle chiese che si incontrano appena superata l’antica Porta Rudiae, convive con il superbo prospetto oscurato. A tutto vantaggio delle colonie di piccioni, le cui deiezioni devono aver sicuramente ricoperto le basi dei suddetti pannelli, oltre al Sagrato, che sebbene sbarrato dai tubi, è a vista.
I pannelli dovevano rimanere giusto il tempo di rimediare allo sfarinamento della pietra leccese, che in qualche caso, ha fatto collassare pietre della dimensione di una moneta. Verosimilmente, il restauro deve essere servito pure a risolvere il problema, ma le gabbie sono ancora lì.
Elevata a Basilica nel 1948 da Papa Pio XII, il Rosario, come è comunemente indicato dai leccesi, è di proprietà del Demanio, e viene gestito dalla Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio. Alla Curia arcivescovile, è demandata la facoltà di svolgere i servizi legati alla Fede, mentre i Volontari della Confraternita di riferimento, provvedono a tenere aperto il portone d’ingresso per le visite dei turisti e le frequentazioni dei cittadini.
Curia e Confraternita, non hanno però anche la facoltà di intervenire per restauri ed aggiustamenti vari, giacché ogni iniziativa deve essere autorizzata dalla Soprintendenza. È dunque evidente, che direttamente, né l’una né l’altra, così come Comune, Provincia e Regione, possono fare alcunché per giungere alla sospirata rimozione della “bruttura” in ferro. Anche perché farlo, deve comportare costi non proprio trascurabili. Inutile aggiungere, che il problema è stato più volte segnalato, ma sino ad ora, nulla è cambiato.
Nella bella e grande chiesa, che è fra le più ambite proprio dai turisti, stranieri in testa, oltre a tutto il resto (altari, pavimento, statue, stucchi, dipinti), spiccano alcuni Tesori che vale la pena ricordare. Nei sotterranei, purtroppo non visitabili perché nessuno ha mai pensato di metterli in sicurezza, c’è la tomba dell’architetto Giuseppe Zimbalo, detto Zingarello (Lecce 1617-1710), che la costruì, senza poterla vedere finita, nell’anno 1728, in cui venne consacrata.
A destra dell’altare maggiore, a differenza di tutte le altre quasi trenta chiese del borgo antico di Lecce, vanta l’unico pulpito in pietra leccese, abilmente cesellato con la scena della visione dell’Apocalisse. Fra le preziose tele, sugli altari, si contano le “Storie di Abramo”, del napoletano Paolo Finoglio; la “Predicazione di Battista”, di Oronzo Letizia da Alessano; “Santa Rosa da Lima” del leccese Serafino Elmo. A ridosso dell’ingresso, inoltre, si trova il Cenotafio di Antonio De Ferrariis di Galatone, detto il Galateo. Nella Basilica, si trova pure la tomba di don Ugo De Blasi, di recente elevato a Venerabile da Papa Francesco, che a soli 64 anni, la mattina del 6 febbraio 1982, morì mentre inginocchiato ai piedi della statua della Vergine, stava recitando il Rosario.
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Foto in alto: Il Rosario “ferito” dalle strutture in ferro (© T.B.)
Il Sagrato sporcato dai piccioni (© T.B.)
Turisti davanti al portone d’ingresso (© T.B.)
“Guardiamoci attorno”:
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