Rubrica a cura di don Carmine Canoci
L’anno scorso, il direttore di un importante quotidiano della Svizzera Italiana – è bene sottolineare: non di area religiosa – ha scritto, per la festa del Natale, un singolare articolo di fondo che intendeva essere una specie di lettera-confessione a Gesù Bambino.
Potremmo titolarla così: pentimento in età matura di un ex bambino. Cerco di sintetizzare alla meglio.
Da piccoli ci avevano messo in testa che i doni li portava Gesù Bambino e tutto era avvolto in un alone di mistero. Poi qualche compagno saputello e smaliziato ci ha aperto gli occhi e fatto sospettare che quello era un inganno: i regali li facevano i genitori. Gesù non era altro che una favola. Divenuti adulti ci siamo consolidati nell’idea che nella vita bisognava aspettarsi tutto dalle persone importanti, dai politici, dagli uomini (maghi?) dell’economia e della finanza.
Adesso è subentrata una fase di amaro disinganno e ci rendiamo conto che quegli individui su cui puntavamo le nostre speranze e sicurezze si rivelano largamente inadempienti. Le loro promesse si traducono in una serie di inganni. Le loro parole coprono il vuoto. E così ci rendiamo conto, dolorosamente, che abbiamo creduto da ingenui ai fornitori di illusioni, e che le cose veramente importanti per la nostra esistenza vengono da “altrove”.
Per cui, disincantati e delusi, se vogliamo ritrovare una speranza non posticcia, dobbiamo tornare a puntare su Gesù Bambino, l’unico che mantiene la parola.
Personalmente, senza attendere l’articolo citato, da tempo vado sostenendo che sono gli adulti che devono credere a Gesù Bambino. Diversamente illudono sé stessi e ingannano gli altri.
Come a dire: «Caro Gesù Bambino, ti scrivo questa lettera avendo ormai i rari capelli bianchi. Ti ho abbandonato troppo presto per inseguire miraggi. Ma ora mi ritrovo a mani vuote. L’esperienza, tuttavia, mi ha insegnato qualcosa: ossia che bisogna tornare ai sogni, tornare a te, che rappresenti la realtà più sicura, l’Amen della nostra vita».
Alessandro Pronzato
Da “Ti basta un pensiero. Riflessioni per tutto l’anno”,
Editore Gribaudi, ottobre 2009
* * * * *
Si va ingrossando sempre più la schiera di quelli che sentenziano gravemente che il presepe è roba d’altri tempi, non più adatto ai bambini d’oggi, e si danno da fare per sostituirlo con qualcosa di più moderno e interessante. In realtà, l’esperienza dimostra che i bimbi restano sempre affascinati dal presepe tradizionale.
È proprio sicuro che un bambino resti più affascinato dall’albero di Natale che non da un presepe, magari realizzato con povertà e semplicità, che, guardandolo, gli permette di liberare la fantasia, vedersi protagonista di quella storia, immedesimarsi nel pastore o nel fabbro o nella nonnina che fa il pane o in chi sta solo con la bocca aperta per la meraviglia… e successivamente ritrovarsi a riflettere e far scaturire propositi buoni che anche se infantili sono sempre buoni? Pensate che un albero riccamente illuminato produca analoghi effetti? Ci dubito.
Chissà se il presepe perde importanza presso i bambini perché, nonostante luci e stelle brillanti, ai loro occhi appare incolore. A farla da padroni sono il grigio e il nero e notano, eccome, che tra i tanti personaggi mancano i più importanti: i genitori e/o gli adulti responsabili (v. citazione).
Quanto sarebbe utile che i genitori, così come si fa quando si visitano musei, opere d’arte, la cappella Sistina… o, più prosaicamente, davanti a una playstation, si facessero guida dei propri piccoli nella visita al presepe realizzato in casa e non lo giudicassero un soprammobile stagionale!
Se, ad esempio, riuscissero a comunicare ai propri figli (e a sé stessi…) che quella grotta/stalla è la condizione umana dove, nonostante tutto, Dio sceglie di abitare, sì proprio in mezzo al caos della nostra vita. L’uomo non è costretto ad essere perfetto: così com’è, è luogo di nascita di Dio e in questo modo tutti, piccoli e grandi, potrebbero risanarsi e rinnovarsi interiormente.
Quanto significativa è una grotta del presepe che ha la forma di un edificio sconquassato da una bomba, da un terremoto, da una inondazione… Quante volte anche noi ci sentiamo infatti spezzati, instabili, crollati e, in quelle condizioni, augurarsi che prima o poi qualcuno venga a sistemare le cose. Sperare che finalmente la nostra stalla/edificio cadente interiore possa trasformarsi in una sede sicura, in cui nonostante tutti i ruderi ci sentiremo a casa nostra perché quel Qualcuno abita tra noi e in noi (et Verbum Caro factum est).
Sicuri che i disaffezionati nei confronti del presepe siano i bambini?
P.S. Se poi si ritiene che il presepe è demodé, è inopportuno, per giusta attenzione dovuta al “politicamente corretto” (slogan chic oggi in voga che sta a significare rispetto delle minoranze religiose, culturali…), beh, mi viene da dire che il politicamente corretto mi convincerebbe di più, se, per lo stesso motivo, da domani ognuno, a partire dai soloni propugnatori di tale enunciato, facesse drasticamente a meno di mangiare carni suine…
don carmine canoci