Rubrica a cura di don Carmine Canoci
Il lavoratore
Era un gran lavoratore,
sveglio, attivo notte e giorno, a tutte le ore.
Mai vacanze, mai diletti,
lavorava come un matto, tralasciando famiglia e affetti.
Il riposo per lui non esisteva mica,
c’era solo e sempre la fatica.
“Su papà, andiamo in villa!”
“Ma che dici figlio mio, c’è un problema che mi assilla!”
“Sai papà, si fa una gita, si va al mare oppure ai monti!”
“Figlia mia, non posso proprio, sto lavorando affinché
tornino i conti!”
“Caro marito, siamo stanchi!
Se continuiamo così, ci verran presto i capelli bianchi!
Partiamo anche noi per la settimana bianca!”
“Moglie mia, non si può, chi le paga poi le tratte in banca?”
“Che dolore, che sfinimento,
questa salute mia è diventata un tormento!
Ma non posso abbandonare proprio ora,
c’è troppo lavoro, non è tempo per curarsi, non ancora!”
E così passano gli anni,
i figli son già grandi,
crescono, studiano e si ritrovano laureandi,
poi si sposano e arrivano i nipotini, ma che peccato!
Questo nonno è sempre così impegnato!
Non può mai giocare ed è sempre così occupato
che non si accorge dei tesori che il Signore gli ha donato.
Una volta appena si guarda allo specchio
e si accorge con sgomento che è ormai quasi vecchio.
Ma non c’è tempo per pensare,
né per riflettere, né per riposare,
c’è ancora tanto da lavorare.
Poi un bel giorno, alla sua porta sentì bussare,
andò ad aprire, lasciando un attimo di lavorare.
Era una donna bella e austera,
aveva gli occhi neri e profondi come la sera,
due giovani c’erano al suo fianco
biondi e sorridenti in un abito tutto bianco,
e poi c’erano anche altre persone
che sembravano molto importanti,
e poi dei musicisti, e anche che strano,
dei suoi vecchi parenti.
“Caro amico, disse la signora,
sono venuta per te, è giunta la tua ora!
Vieni tranquillo, con noi sarai sereno,
non avrai più gli affanni e i crucci
del tuo cammino terreno!”
“O sorella, l’uomo disse,
io ti seguo e non ti temo, come colui che onesto visse!
Ma un favore piccolo e semplice io ti chiedo,
che senza fatica potrai esaudir io credo.
Oggi, vedi, è venerdì, è giorno di mercato,
c’è molto da fare, è un giorno molto movimentato,
ti prego torna tra un po’,
magari in un dì di festa, non dir di no!”
“Ma che strana richiesta che mi fai!
I giorni di festa a Nostro Signore son dedicati!
E se tornassi allora, non potrei portar con me
né Angeli e né Beati,
non avresti né cori né canti
e né i tuoi parenti,
senza alcuna compagnia,
l’unica presenza nel tuo viaggio, sarebbe solo quella mia!”
“Non importa cara amica,
la verità, vuoi che te la dica?
Io non voglio tanti onori,
e né mi interessano degli Angeli i cori,
non ha senso per me questa parata,
modesto di sentimenti son vissuto
e modesto voglio che sia il mio ultimo saluto.
Vedrai starò benissimo da solo con te,
verrò tranquillo e quieto, senza tentennare,
io sono un uomo serio, e sulla mia parola puoi contare.
Non fa niente se non potrò avere questa bella farsa scenica,
ma per favore, signora mia,
torna dopodomani, che è Domenica!
Anna Rosa Aresta
da “Parole d’Amore… tra Terra e Cielo tra Uomini, Angeli e Fate”
(Ed. Pensa Multimedia 2011)
* * * * *
Siamo nei giorni dei ricordi per niente gioiosi ma molto struggenti e lacrimosi. Vengono alla mente esperienze con tanti incontrati sulle strade della propria esistenza che forse hanno determinato delle scelte di vita con emozioni, colloqui, carezze e spensieratezze varie fino a quando… Stop!
Quel mondo, quel tempo non torna più. Restano comunque impresse nella memoria figure di alto lignaggio morale e comportamentale che riescono a sopravvivere nel nostro pensare riconoscendo loro un giusto apprezzamento e una profonda stima. Ma rinunceremmo al nostro spirito libero se non evidenziassimo in tali persone, per obiettiva analisi, limiti e fragilità di cui la natura umana non può farne a meno. Anzi ciò rende tali persone cui facciamo memoria, più…accattivanti.
Infatti è poco credibile se non addirittura ipocrita, ad esempio, sentir dire nei riguardi di stupratori, criminali, responsabili di femminicidio…: ”Era un bravo ragazzo, un buon marito (o compagno), una persona normale riservata…”.
Il lavoratore della poesia, rappresentante universale di tutti noi, a mio giudizio è la prova provata di quanto detto.
E allora pollice alzato all’uomo tutto lavoro e casa. Se fosse il caso chiederemmo al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di riconoscere e onorare anche lui come cavaliere del Lavoro, lo merita ampiamente.
Ma pollice capovolto all’uomo ostinato e cocciuto che si nega all’espletamento di altri e ugualmente primari doveri, proprio come quello del lavoro, quali l’attenzione alla famiglia, al piacere di concedersi e concedere spazi di convivialità affettiva, di condivisione di sorrisi e di carezze, di amore tenero e fecondo nei vasti campi della crescita comune.
Ma alla fine viene tutto ricondotto nel giusto intendere quando il pollice delega il medio e l’indice a formare quella famosa V indicante Vittoria. E questa a me piace assegnare al lavoratore che, rinunciando alle pomposità ultime vanità dell’esistenza, rimanda l’appuntamento con la morte alla Domenica, Pasqua della settimana, giorno della definitiva vittoria della Vita sulla morte. Solo per la Pasqua vale la pena perdere la vita. Forte, ma possibile.
A tutti i defunti (molti anche santi), un grato e commosso ricordo. Siano compartecipi e vivano la Pasqua.
don carmine canoci