“Riflessione” della scrittrice Maria Tondo, esperta in analisi transazionale
“Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del
mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce
lo sguardo dell’essere umano” (Paulo Coelho).
“I doni più preziosi non li otteniamo andandoli
a cercare, ma aspettandoli… Questo modo
di guardare è, in primo luogo attento.
L’anima si svuota del proprio contenuto
per ricevere l’essere umano che sta guardando,
così com’è, in tutta la sua verità” (S.Weil).
“L’incontro tra due paia di occhi rappresenta
la modalità primaria fondamentale che favorisce
l’incontro interpersonale” (Heron, 1970).
* * * * *
Viviamo la sosta della lettura come “luogo e tempo dello stupore” per l’incontro col nostro sguardo come atto, evento, presenza e invito a entrare in relazione con noi e col Signore, con gli altri e col mondo.
Ecco una indicazione psicologica e pedagogica per la comunicazione: uno sguardo attento sa vedere oltre le rughe della maschera esteriore che ci accompagna. Con lo sguardo puro e libero alla fine del nostro esplorare, poi, ritorniamo al punto da cui siamo partiti dove ci sembra di conoscere quel posto per la prima volta. E proprio lì scopriamo una presenza capace di meravigliarsi che non commenta ciò che vede e non vuol cambiare ciò che trova perché vuole soltanto incontrare l’altro/a.
Ecco una ricetta: di fronte a me e all’altro/a con uno sguardo che sa vedere i volti di quelli che ci stanno di fronte. E, proprio allora, è il momento in cui vedo con gioia il volto che mi sta di fronte con la sua bellezza e con le ferite. L’apertura degli occhi ci libera ai giudizi per accogliere la differenza che facilmente critichiamo perché c’infastidisce, eppure ci aiuta a capire altro di noi.
Lo sguardo psicologico
La capacità di comunicare con gli altri dipende dal modo con cui comunichiamo con noi stessi. Vogliamo conoscere il nostro mondo per diventare consapevoli di ciò che accade dentro di noi quando siamo con gli altri. E ci occorre sostare un po’ per sciogliere i nostri dubbi e vedere meglio noi stessi in una nuova luce.
La nostra vita è un gioco di occhi: guardiamo e siamo guardai, vediamo gli altri attorno a noi e siamo visti da loro. E ciascuno guarda con i propri occhi. Certo, nessuno può prescindere da un “suo punto di vista” e non può appropriarsi del punto di vista dell’altro.
È necessario comprendere e accettare che la nostra convivenza è un gioco di sguardi diversi con un legittimo diverso punto di vista. Quando confrontiamo le nostre opinioni dobbiamo accettare che sulla stessa cosa ci siano “diversi punti di vista”. Nessuno dice tutta la verità e c’è posto per opinioni diverse. Allora, lo sguardo orienta lo stile delle relazioni e definisce la qualità della vita poiché esprime l’auto-percezione della persona e la sua auto-identificazione.
Da che cosa nasce lo sguardo?
Lo sguardo nasce dal copione strutturato in noi fin dall’infanzia con sentimenti e bisogni, scelte e pensieri confermati, poi, nella vita.
Certo, la posizione esistenziale può essere cambiata dalla persona nelle diverse situazioni. C’è bisogno d’intuizione e di una ininterrotta logica del cuore per avvicinarci al mistero del guardare: occhi negli occhi e cuore a cuore.
Nello sguardo l’ascolto ospitale
Alcuni psicologi e monaci ci aiutano a riflettere sulla dimensione spirituale e psicologica della relazione come ascolto reciproco.
Se fosse necessario attribuire una figura sociale all’ascolto, la migliore sarebbe senza dubbio dalla parte di questa pratica antica, smarrita, perfino imprevedibile a questo mondo: l’ospitalità.
“Ascoltare è farsi ospite dell’ospite che viene. L’ospite non chiede niente a colui che riceve, non ha preoccupazione alcuna di insegnargli qualcosa, di guidarlo, di fargli ammettere la verità. Parla o tace a seconda di ciò che gli pare faccia piacere all’altro. L’ospitalità è discreta. Si limita a donare al viandante di che sussistere durante l’inevitabile sosta. L’ascolto è l’ospitalità interiore”. (M. Bellet).
“Il colloquio è fatto di parole, ma le parole non si dicono solo, si ascoltano anche. Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre. Se poi, invece della parola, c’è il silenzio dell’altro, allora ci si fa condurre da quel silenzio, nel luogo indicato da quel silenzio è dato di reperire, per chi, ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita al nostro cuore e sepolta dalle nostre parole”. (U. Galimberti).
“L’altro è colui che mi permette di capire chi sono, colui che per opposizione mi plasma, colui che rafforza la mia identità proprio mentre la contesta: il nemico è il migliore dei maestri che incontriamo nella vita” (E. Bianchi).
“Qualcuno, totalmente diverso da te, cammina affianco a te, ti pare per nulla utile a te; e, ciononostante, tu sei affidato a lui e lui a te, perché vi troviate l’un l’altro, ciascuno per la salvezza dell’altro”. (R. Hombach).
Ecco alcune utili indicazioni per una comunicazione efficace: sguardo attento che ascolta senza voler insegnare e guidare o fare ammettere la verità e che impara dall’altro a capire meglio chi è.
– Come mi percepisco quando entro in contatto col mio corpo, emozioni, desideri, pensieri, aspettative?
– Sono consapevole di ciò che accade in me nella comunicazione con l’altro quando ho paura del suo giudizio?
– Cosa ho fatto e posso fare per migliorare la mia comunicazione?
– Forse attendo ancora che l’altro cambi perché migliori la relazione?
Occorre guardarsi e lasciarsi guardare negli occhi in silenzio restando in contatto con le proprie sensazioni, percezioni e pensieri. E, poi, cominciare a comunicare liberamente rivolgendo possibili domande. Curiamo le relazioni diventando consapevoli delle difficoltà e dei problemi irrisolti forse perché mai comunicati. È un punto di partenza nel percorso.
E questo richiede un continuo lavoro dal tu all’io e dall’io al tu per passare al noi dove osservare i reciproci nuovi aspetti. Si tratta di un viaggio lungo e complesso poiché i meandri del cuore umano sono, spesso, tortuosi per essere sconosciuti alla persona stessa.
Relazione autonoma o dipendente
La comunicazione nasce dentro di noi e dipende da come comunichiamo con la parte luminosa e opaca delle aree libere e ombrose che sono in noi. La capacità di comunicare con gli altri dipende dall’auto-percezione e, spesso, per giustificare il nostro disagio riteniamo gli altri la causa del nostro malessere.
Impariamo a lasciarci formare dall’altro che vive in noi e dall’altro che è fuori di noi. L’altro è lo specchio in cui si riflette la nostra immagine con la luce sulla nostra luce e la luce sulle nostre ombre.
Possiamo vivere autonomi o dipendenti dal mondo esterno. Il cammino personale non è facile né privo di sofferenza poiché toccheremo antiche ferite che sanguinano perché non sono state mai toccate per essere curate con tenerezza. Occorre diventare più liberi e capaci di amare e di lasciarci amare con la propria vulnerabilità. Allora, capiremo se guardiamo all’esterno non ascoltando ciò che accade dentro di noi mentre comunichiamo. E compiremo un lavoro di discesa nel nostro cuore alla ricerca della nostra identità ponendoci domande e cercando le risposte anche con l’aiuto di altri.
Certo, non potremo mai cogliere compiutamente il senso dell’essere persona. Nella relazione autentica si sperimenta la crescita continua che è difficile e incerta a volte. L’attenzione deve saper cogliere ciò che si muove in noi e intravedere e capire cosa si muove nella vita emozionale dell’altro.
Se ci accogliamo reciprocamente così come siamo nella verità, ascoltiamo l’indicibile e vediamo l’invisibile che sono l’altra parte di noi.
Senza la disponibilità a ri-vivere in noi il mistero della vita dell’altro non ci possiamo accostare al suo fragile, faticoso e lento cammino. Abbiamo bisogno di uno sguardo capace di scoprire il nostro mondo attraverso l’altro/a.
Persona si diventa progressivamente lungo tutta la vita nel rapporto di adattamento e autonomia tra difesa dagli altri di cui si ha paura e conoscenza e rapporto affettivo.
Per rappresentare la nostra identità mi piace la metafora del quadro. Per anni abbiamo pensato che fosse brutto e pieno di polvere. Non diceva nulla. L’abbiamo tenuto in cantina.
Poi, un giorno, non si sa come e perché, qualcosa in noi arriva a maturazione e, togliendo la polvere, rimaniamo attratti dalla luce e dalle sfumature di alcuni colori. Nasce improvvisamente il desiderio di conoscere tutto il quadro e avviene il giro di boa della nostra esistenza. È semplicemente cambiato il nostro sguardo…
Una cosa sola ci interessa e niente ci ferma più. E anche se è tanta la polvere e la fatica di riportare tutto il quadro alla luce, ormai una sola è la passione che ci muove: godere la bellezza del quadro completo, cioè la realizzazione della nostra piena identità. E possibilmente incontrare attraverso quel quadro il desiderio di chi lo ha pensato e creato.
Mi auguro che abbiamo esplorato la bellezza del quadro – “la nostra identità originaria” – nel contesto della fragile vita che ci è data in dono.
Occorre, forse, ora, un momento di silenzio per accogliere tutte le esperienze vissute durante la lettura per cominciare un cammino tra fragilità e tenerezza del “semplicemente vivere” (A. Paoli).
Cominciamo a conservare la vulnerabilità come il luogo privilegiato in cui Dio si incarna, si nasconde e si manifesta: il luogo dove incontra l’uomo dalla Incarnazione alla Risurrezione. È accaduto da Betlemme a Nazareth al Tabor al Calvario…
Ora, accarezzati dalla musica delle parole di santa Teresa d’Avila che muovono il nostro sguardo alla contemplazione e all’adorazione del Corpo e del Sangue di Cristo e dello Spirito Santo, noi preghiamo toccati dallo stupore di vedere la Pasqua del Signore nella nostra vita:
“Guarda Lui che ti guarda. Prova a immaginare i suoi occhi nei tuoi. Immagina lo stesso Signore vicino a te, e guarda con quale amore ti sta guardando… Mai lo Sposo distoglie i suoi occhi da te … Lo troverai nella misura in cui lo desideri… Se sei triste o in mezzo a qualche problema, guardalo nell’Orto degli Ulivi… o sotto il peso della Croce. Lui non attende che questo, che tu lo guardi (…)”.
Tappe per imparare ad ascoltare
– Entrare in contatto con le dinamiche interne dei pensieri e sentimenti.
– Crescere nell’auto-consapevolezza di ciò che accade in noi.
– Acquisire una visione positiva di sé e dell’altro.
– Esprimere il proprio punto di vista nel rispetto di quello dell’altro.
– Con sguardo accogliente cominciare a comunicare in modo nuovo.
Maria Tondo
Scrittrice, esperta in analisi transazionale
© Riproduzione riservata
In foto: Maria Tondo