Arte contemporanea - 20 Lug 2022

Durch den Kamin, l’installazione intermediale di Uccio Biondi tra memoria e speranza


Spazio Aperto Salento

“Ogni volta che c’è il Giorno della Memoria c’è grande interesse ma, a mio modo di vedere, è dal 28 gennaio in poi che bisogna ricordare, ogni giorno è il Giorno della Memoria”. Stimolati dalle parole della senatrice a vita Liliana Segre è stata allestita l’installazione di Uccio Biondi Durch den Kamin. L’arte per mai più.

Un’esposizione, quella di Biondi, che si presenta come apripista di una più ampia programmazione condotta da Anna Cinti, presidentessa dell’associazione le Colonne, che gestisce lo storico Castello Dentice di Frasso a Carovigno, nella logica di attività culturali in una visione di medio e lungo periodo, che annulli l’eventismo mordi e fuggi di un mal indirizzato turismo culturale, che ancor troppo attanaglia la Puglia. A tal proposito, domenica 17 luglio, in occasione dell’inaugurazione, Cinti ha ribadito la volontà di “sensibilizzare e coinvolgere le nuove generazioni, nella forte convinzione che l’arte possa riaccendere la memoria collettiva ed avere un importante valore pedagogico”; da qui la decisione di rendere fruibile l’opera fino al 17 marzo 2023, con l’obiettivo primario di coinvolgere gli studenti di ogni scuola, mirando a quella educazione delle coscienze che “può impedire che accada di nuovo”, per usare le parole di Anna Frank.

Curata da Massimo Guastella, Durch den Kamin rimanda ad una macabra espressione che i kapò ripetevano ai deportati giunti nei lager nazisti; come a dire “da qui – riferendosi ai campi di sterminio – si esce solo passando attraverso il camino”, dunque dopo esser stati ridotti ad un cumulo di cenere fumante. Queste parole sono forti, dure, spiazzanti e pur tuttavia l’installazione intermediale di Uccio Biondi dà senso alla vita che resiste alla morte. Sembrerebbe paradossale parlare di vita in relazione ad una delle pagine più raccapriccianti della storia dell’umanità, eppure l’artista ha svuotato l’opera dal male e dalla violenza facendo prevalere un impegnato messaggio di speranza, pur mantenendo costante il ricordo delle numerose vittime dell’olocausto.

Il duplice e articolato versante memoria-speranza è, mi pare di poter dire, un tratto distintivo che svincola il lavoro di Biondi dalla retorica e da cliché in cui spesso l’arte del nostro tempo scivola. L’indubbia qualità della dimensione estetica e della poetica di questo lavoro è consolidata nel tempo; Durch den Kamin, giova ricordarlo, nelle ragioni addotte a motivazione dell’esposizione dal curatore, è un’opera di fatto storicizzata che fu concepita site-specific per un vagone del “Treno della Memoria”, un ambizioso e strutturato progetto educativo allestito nel 2006, che ha interessato le stazioni ferroviarie dei capoluoghi della Puglia. Se nel “Treno della Memoria” l’opera ambientale – ci viene narrato – sembrava immergersi in un’atmosfera teatrale, nel passaggio tra i due luoghi, ovvero negli spazi dello storico edificio che ora l’accolgono, già nell’attraversamento della tenda nera, il visitatore ha la suggestione di trovarsi in una sala cinematografica in cui si proiettano sulle pareti/schermi immagini documentarie in bianco e nero toccate qua e là da petali e da linee rosse, cifre stilistiche proprie di Biondi, che arricchiscono cromaticamente la costruzione video.

L’installazione da ambientale perciò si fa ambientata adeguandosi alla nuova sede. Lo scenario, buio, rischiarato dal fascio di luce di un proiettore fluttuante sulle statue, sulle pareti, sugli astanti trattiene comunque aspetti di teatralità: d’altronde, in più occasioni l’artista pugliese ha definito il teatro come “la sua seconda pelle”. Si avverte fortissimo il coinvolgimento nello spazio del fatto artistico; dopo qualche istante una canzone degli Area risuona nella sala, gli acuti vocalizzati da Demetrio Stratos, il sax di Vittorino Curci e la voce persuadente di una donna araba sono parte integrante dell’opera sino a suscitare diverse sensazioni percettive. Lei dice: “Con la pace ho cancellato i mari di sangue per te, lascia la rabbia, lascia il dolore, lascia le armi e vieni che viviamo”, un’esortazione a godere della vita nella pace a far da cornice a questa installazione, che pur prende mosse dalla memoria dell’eccidio. Sulle pareti sono riprodotte le fotografie di condizioni disumane scattate nei lager: le teste rasate, i volti impauriti, i corpi scheletrici di coloro che erano considerati “l’altro” e per questo torturati e annientati. Le testimonianze fotografiche corrono lungo le pareti ad emulare i fasci di luce emessi dai proiettori nei campi di concentramento, ruotano, abbagliano, si sovrappongono ai volti dei visitatori sequenze sempre più veloci, mentre in sottofondo gli strumenti musicali e le note vocali seguono un ritmo crescente. Lo sguardo rincorre le immagini, l’atmosfera è tesa e poi, il silenzio, l’inquietante riproduzione di un forno crematorio e quel “maledetto” kamin. Irrompe una prima voce registrata, femminile, che recita il componimento a firma dell’artista, articolato in centocinquanta verbi in tedesco, in prima persona singolare, tutti grossomodo legati al significato di violenza, a cui fa seguito la performante voce di Uccio Biondi che traduce puntualmente ogni termine: “spezzo…travolgo… costringo… smembro… calpesto… accoltello… spello…” e così via. Dunque un’opera difficilmente descrivibile senza fruirne nel vivo del suo attuarsi che implica nello spettatore una prova di intensa ricezione.

Ma chi è oggi, l’essere umano che per religione, orientamento politico, sessuale, colore della pelle (qualcuno ha perfino parlato di “odore della pelle”) è considerato “l’altro”? Sin dal 2006, in Durch den Kamin Biondi mette in luce questi aspetti e lo fa attraverso un preciso focus sul genere; nella stanza trovano collocazione tre installature, così come le definisce, modelle monocrome nei toni del grigio. La prima che si nota entrando nella sala è di spalle, nuda, spicca il bianco candido di una mutandina abbassata a forza, ossia quello che dà l’idea di essere il resto della sua biancheria. È chiaro che la donna è stata violata, è la vittima di uno stupro. È posizionata dinanzi a una seconda donna, che la osserva, anche lei è completamente nuda (tutte le statue femminili di Biondi sono calchi su corpi dal vero) e ha tra le mani un orsetto bianco; non si tratta di un innocente peluche per bambini, Biondi ha dotato questo giocattolo di lunghe punte trasformandolo in una sorta di arma non facilmente definibile nella sua natura se d’attacco o di difesa. Isolata rispetto alle altre due, si scorge una terza installatura, rasata, salda, tende le braccia come a voler mostrare qualcosa che riconosciamo essere una serie di asettici numeri rossi, a simboleggiare i numeri di matricola tatuati sui deportati. Un richiamo alla memoria dello sterminio: numeri e non persone.

Un vortice di turbamenti e tensioni inquietanti accompagnano il fruitore. Indubbia l’attitudine dell’artista di tenere fede ad un sentito quanto coerente impegno socio-politico in questo suo lavoro, confermando la sua identità di artista colto e raffinato. Dopo oltre tre lustri dall’ideazione di questa installazione intermediale, l’abilità dell’artista si attesta ancora nettamente nel rendere questa riflessione storica estremamente attuale, riconoscendo al pregiudizio un aspetto più subdolo, ma non per questo meno pericoloso. Non solo; emerge anche il pensiero della caducità dei nostri corpi in una vita che trascorre nella vanità allontanandone problematiche che spesso rifiutiamo di affrontare: non ultima, ma anche la più dolorosa nella nostra civiltà la questione della violenza di genere.

Si potrà concordare nel riconoscere a Durch den Kamin un’importante valore pedagogico, mediante un’indubbia complessità e qualità espressiva e creativa, che senza stridere con l’intera produzione nota di Uccio Biondi, ci fa comprendere quanto l’arte possa indurci a riflettere senza necessariamente avere un che di tranquillizzante e spensierato. Affatto quest’opera di Biondi sa essere dura e spietata per trasmetterci il messaggio sotteso al suo pensiero, alla sua filosofia.

Alessia Brescia
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Foto in alto: Uccio Biondi, Durch den Kamin

 

U. Biondi, Durch den Kamin

U. Biondi, Durch den Kamin

U. Biondi, Durch den Kamin

L’artista Uccio Biondi