Martina Franca - 03 Ago 2025

Fotografia, arte e speranza: l’umanità raccontata da Manoocher Deghati

La personale “Eyewitness: guerre e pace” del fotoreporter iraniano Manoocher Deghati comprende quaranta scatti realizzati in contesti di guerra e scenari internazionali di crisi. La mostra potrà essere visitata fino al 31 agosto nelle strade del centro storico di Martina Franca


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Quando le parole non bastano, è l’immagine a farsi portavoce della storia. In ogni scatto di Manoocher Deghati c’è il racconto di una verità spesso censurata: è così che la sua fotografia diventa uno strumento di resistenza.

«Con una sola fotografia possiamo raccontare una storia. Il mio obiettivo era mostrare la realtà di ciò che stava succedendo nel mio paese durante la rivoluzione iraniana e negli altri angoli del mondo, di essere la voce delle persone che non avevano voce». Con queste parole il fotoreporter iraniano Manoocher Deghati ha inaugurato nel centro storico di Martina Franca la personale Eyewitness: guerre e pace, promossa dalla Fondazione Paolo Grassi in occasione del 51° Festival della Valle d’Itria, il quale affronta il medesimo tema, in collaborazione con i commercianti di Piazza Roma e del Ringo e l’Amministrazione comunale.

L’esposizione, in mostra fino al 31 agosto, si compone di quaranta fotografie che ripercorrono oltre quarantacinque anni di storia globale: dalle rivoluzioni ai conflitti che hanno segnato il nostro tempo – come quelli in Afghanistan, in Iran e in Bosnia – fino agli accordi di pace e ai momenti di riconciliazione, mostrandoci come gli scatti di Deghati non sono solo testimonianza del dolore e della lotta, ma anche riflessi di speranza e di umanità.

Nato nel 1954 a Orumieh in Iran e attualmente residente nel territorio della Valle d’Itria, Manoocher Deghati si trasferisce a Roma negli anni Settanta dove inizia a studiare alla Scuola del Cinema. Allo scoppio della Rivoluzione Iraniana nel 1978, Deghati ritorna nel suo paese d’origine e inizia a documentare gli eventi della rivoluzione e della successiva guerra con l’Iraq, diventando un fotoreporter per conto di alcune agenzie internazionali. Dopo essere stato esiliato si trasferisce in Francia e inizia a lavorare per importanti riviste come Time, Life, GEO e National Geographic, documentando alcuni scenari internazionali di crisi, tra cui l’assedio di Sarajevo in Bosnia, la guerra in Libano e la guerra in Afghanistan.

Da sempre impegnato nella denuncia degli orrori della guerra e nel documentare le verità dei luoghi più fragili e complessi del mondo, Deghati ha utilizzato il linguaggio universale della fotografia e dell’arte per trasmettere un messaggio forte di giustizia e umanità, invitando chi osserva a prendere posizione.

M. Deghati, Una ragazza rifugiata pompa l’acqua a Jabal-Aula, 1993

Entrando nel centro storico di Martina Franca, da Piazza Roma fino a Piazza Plebiscito, non sfuggono agli occhi dell’osservatore i segni di speranza presenti nei suoi scatti: Una ragazza rifugiata pompa l’acqua a Jabal-Aula, a circa 50 km da Khartoum è una fotografia scattata nel 1993 durante la carestia che colpì il Sudan in seguito allo scoppio della guerra civile. L’immagine mostra la forza di volontà di una ragazza, costretta a vivere in condizioni precarie, che ogni giorno percorre chilometri per raccogliere acqua potabile. Il suo corpo è così esile e denutrito che, mentre aziona la leva della pompa dell’acqua, il contraccolpo meccanico la solleva da terra. Questo particolare allude alla determinazione della giovane, la quale nonostante la condizioni estreme e quasi impossibili da gestire non rinuncia alla speranza e combatte per la sopravvivenza.

Voting for the first time

Altro elemento chiave che emerge dagli scatti del fotoreporter è il diritto alla libertà di espressione: Voting for the first time è una foto scattata da Deghati nel 2002 in occasione delle elezioni della Loya Jirga, l’assemblea tradizionale afghana, la quale dopo la caduta dei Talebani nel 2001 divenne simbolo di ricostruzione democratica del paese. L’anziano che figura nello scatto presenta il volto segnato dal tempo e dalla guerra, ma sorridente alza il dito per esprimere il suo voto nell’elezione del nuovo presidente, dopo anni di repressione e conflitto. Molti partecipavano per la prima volta alla vita politica. Una fotografia che allude al senso di responsabilità individuale e collettiva del voto, al bisogno di democrazia e al diritto di dare voce al proprio pensiero. Conquiste molto spesso scontate e sottovalutate in alcune società ma fondamentali per molti popoli che ancora oggi lottano per ottenerle.

Collegato al tema della democrazia è il diritto all’istruzione, principale strumento di emancipazione sociale e culturale, il quale emerge in alcune fotografie, come lo scatto del 2002 in cui una donna afghana solleva il burqa e mostra il suo viso sorridente mentre accompagna il figlio a scuola per la prima volta dopo la caduta dei Talebani. La figura della donna è al centro di molte fotografie esposte alla mostra, non come vittima, ma come figura attiva protagonista del cambiamento e della rivendicazione dei diritti. In uno scatto realizzato nel 1993, durante la parata organizzata in occasione della conferenza islamica a Khartoum in Sudan, un gruppo di donne dell’Esercito Popolare Sudanese sfila armato di mitragliatrici. L’evento mette in discussione gli stereotipi sul ruolo delle donne nei contesti di guerra e di sottomissione, restituendo un’immagine di forza, determinazione e protagonismo femminile.

M. Deghati, Returning villager, 2006

Al concetto di «necessità di ricostruire dopo la distruzione» sostenuto da Deghati, si inserisce uno scatto significativo dell’Uganda settentrionale del 2006: una donna che, con le proprie mani, ricostruisce una nuova casa per la sua famiglia all’interno di un campo sfollati. In questa immagine si riflette pienamente la visione di Deghati, in cui emerge con forza il ruolo attivo della donna nel processo di rinascita.

Biblioteca di Sarajevo in fiamme

Deghati ci mostra come la guerra non si limiti a distruggere vite e città, ma miri a cancellare anche l’identità, la memoria e la cultura stessa. Emblematica è la fotografia che ritrae alcuni cittadini di Sarajevo mentre tentano di spegnere le fiamme causate dal bombardamento serbo del 1992 che colpì la storica biblioteca della città. In questo gesto può essere colto un messaggio universale: anche quando l’arte e la cultura diventano bersagli, non si estinguono, ma continuano a resistere e ad essere portavoce di valori e testimonianze. Con i suoi scatti e con le mostre allestite in tutto il mondo, Manoocher Deghati diffonde il valore della speranza presente negli esseri umani, che continuano a lottare, e nella cultura, simbolo di emancipazione, libertà e creatività. Nei suoi lavori colpisce la presenza dei colori vivaci, dei sorrisi, delle persone spesso fotografate in momenti di festa e di spensieratezza. Così, l’arte di Deghati non documenta solo la distruzione, ma anche la resilienza e la capacità di ricostruire dopo la distruzione.

Chiara Bruni
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Foto in alto: il fotoreporter Manoocher Deghati in occasione dell’inaugurazione della mostra “Eyewitness: guerre e pace”, allestita nel centro storico di Martina Franca

 

M. Deghati, Iranian Revolution Boy, 1983 (part.)

M. Deghati, Una donna afghana solleva il velo mentre porta il figlio a scuola a Kabul, 2002 (part.)

M. Deghati, Iranian in Paris, 1997

M. Deghati, Un gruppo di donne dell’Esercito Popolare Sudanese sfila con le mitragliatrici, 1993