• mercoledì , 18 Settembre 2024

Lecce - 02 Apr 2021

Giovanni Paolo II e il suo rapporto col Salento

Lo storico dell’arte Vetrugno ripercorre i momenti della cerimonia commemorativa organizzata a Lecce nel 2006 ad un anno dalla scomparsa del Pontefice  


Spazio Aperto Salento

Nella ricorrenza dei sedici anni dalla morte di Papa Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 aprile 2005, l’amata figura del grande Pontefice, canonizzato il 27 aprile 2014, è più che mai viva nella nostra comunità provinciale.

Le sue storiche visite apostoliche nel Salento, a Otranto nel 1980 e a Lecce nel 1994, sono tuttora presenti nella memoria dei fedeli che lo accolsero con grande affetto e riconoscenza.

Questo intervento ripercorre le fasi della cerimonia di commemorazione organizzata dal Comune di Lecce, ad un anno dalla scomparsa di Giovanni Paolo II. Una manifestazione importante di cui, però, con gli anni si sono perdute le tracce.

Sabato 1° aprile 2006 si tenne un incontro, che ebbi l’onore di coordinare, presso le Benedettine di Lecce per ricordare il Pontefice. La manifestazione prevedeva un programma di interventi e di testimonianze dirette attraverso cui s’intendeva sollecitare la memoria individuale e collettiva, quella memoria che, motore di una società prevalentemente orale, oggi, in un quadro di crescente alfabetizzazione, abbiamo demandato, anche nel termine, al computer.

La lingua italiana per indicare l’azione del ricordo offre due possibilità su calchi linguistici latini: la prima, ricordare da re-cordare, in cui è il cuore ad essere considerato la sede preposta della memoria; la seconda, rammentare da re-ad-mentare, in cui è la mente la sede della memoria.

Quella manifestazione voleva «ricordare» Giovanni Paolo II, affinché un’intera comunità «si ritrovasse insieme» nella figura di un Pastore della Chiesa che, durante tutta la sua esistenza, aveva ampiamente dimostrato come il destino dell’uomo passa necessariamente attraverso la Storia, si decide in essa, perché si conserva in essa ed è modellato dalle scelte che ciascuno compie, sempre e comunque, nella Fede e per la Fede.

La scelta di ricordarlo nella città di Lecce rivestiva un duplice aspetto: il primo, era quello che, come comunità, ci riportava indietro nel tempo, al settembre 1994, alla Visita Pastorale che il Santo Padre fece nella «città-chiesa», ed in particolare ad uno dei tanti «fuori programma» del Pontefice, quando, apprezzando la calorosa accoglienza salentina, ebbe a dire che «si deve camminare spesso verso il Sud per trovare l’entusiasmo per costruire il futuro di tutta l’Italia».

Il secondo aspetto era rappresentato dal legame che Sua Santità aveva stretto con il Salento, con la Visita Apostolica di Otranto (ottobre 1980), la città dei Martiri, i cui figli caddero ad uno ad uno per «tener fede alla Fede».

La manifestazione leccese dell’aprile 2006, inoltre, voleva ricordare anche l’incontro del Pontefice con la generosa Terra salentina, che per la sua posizione geografica è stata, giustamente, considerata cerniera tra Oriente ed Occidente, punto d’incontro e di scontro tra etnie diverse, di popolazioni differenti, di culture straordinarie.

Le ragioni e le sollecitazioni della manifestazione furono precisate e chiarite dall’allora sindaco di Lecce onorevole Adriana Poli Bortone ad un folto pubblico presente.

Il primo intervento in programma fu di suor Luciana Miriam Mele, dell’Ordine delle Benedettine, che si soffermò sul tema Un Pontefice testimone del Vangelo.

Giovanni Paolo II nell’apertura della Porta Santa, all’inizio del Grande Giubileo del 2000, aveva sollevato in alto il libro del Vangelo davanti a tutta la Chiesa ed al mondo intero. Quel libro simbolicamente era stato collocato sulla sua nuda bara durante la liturgia funebre, a significare che l’uomo senza il Vangelo è solo nella vita e soprattutto nella morte; che l’uomo senza il Vangelo non è in grado di dare un senso alla Storia e alle sue vicende.

C’è bisogno ancora oggi, come avvertiva Giovanni Paolo II, di una nuova evangelizzazione. Ma si badi, non occorre che il Vangelo sia annunziato soltanto a chi non è battezzato, quanto occorre un rinnovato annuncio soprattutto a chi è stato battezzato. Annunciare – celebrare – servire il «Vangelo della Speranza» è stata questa la via indicata dal Pontefice.

Sua Santità ha lasciato a Lecce e al Salento un ricordo indelebile. Proprio nell’ambito della sua relazione con il Salento, don Adolfo Putignano, al tempo direttore dell’Ufficio Diocesano delle Comunicazioni sociali, trattava L’enciclica leccese di Giovanni Paolo II.

L’argomento riprendeva simbolicamente il termine «enciclica» con cui originariamente s’indicava la missiva indirizzata ai fedeli dalle più alte autorità ecclesiastiche ed era chiamata così perché appunto veniva fatta «circolare». In età moderna e contemporanea, invece, con il termine «enciclica» si designano alcuni atti papali, stesi in forma di lettera ed indirizzati ai Vescovi del mondo intero. In questo senso si ritiene che la prima enciclica sia quella del 3 settembre 1740 di Benedetto XIV.

Giovanni Paolo II dal 1979 al 2003 ha scritto e reso pubbliche 14 encicliche (dalla Redemptor hominis all’Ecclesia de Eucarestia). A conclusione della Visita Pastorale di Otranto, il Pontefice, nel discorso di Commiato, esprimeva il «vivo rammarico» per non aver potuto accogliere in quella circostanza l’invito, peraltro graditissimo, a visitare Lecce.

Nel Salento tornerà nel settembre del 1994 e visiterà il capoluogo di una «Terra crocevia» di culture e di civiltà, come del resto lo è tutta la Puglia, una regione dove si sono avvicendate le tre grandi religioni del Mediterraneo: l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam.

Non è casuale che nel 1098 Papa Urbano II convocò a Bari un Concilio con cui intendeva ricomporre l’unità tra Chiesa Orientale e Chiesa Occidentale, dolorosamente interrotta dallo scisma del 1054.

Se, come è consuetudine per tutte le encicliche, naturalmente redatte in latino, si dovesse intitolare l’Enciclica della Civitas Mariana con le prime parole del testo, forse si potrebbe indicare con le parole con cui il Santo Padre iniziò il discorso a Lecce in occasione dell’apertura del Sinodo diocesano e dell’inaugurazione del nuovo Seminario e della Casa del Clero: Magnificat anima mea Dominum.

Il Salento è Terra anche di Santi e di Martiri ed il Papa era giunto in questa Terra, come si era recato in altri luoghi del mondo, indossando gli abiti del Pellegrino di Pace. In quanto Pontifex si proponeva come un «costruttore di ponti» con le pietre della Fede, cementate con quel sentimento di grandezza spirituale che unifica il perseguitato al persecutore, che si chiama Carità, senza la quale l’uomo rimane un essere incomprensibile e senza la quale non si potrà mai costruire «una città degna dell’uomo».

Su Papa Wojtyla Pellegrino di Pace incentrò il suo magistrale intervento monsignor Cosmo Francesco Ruppi, Arcivescovo Metropolita di Lecce, generando non poche riflessioni in tutti i presenti.

Il viaggio ha da sempre suscitato la ricerca e la scoperta di un cambiamento. Ognuno di noi è in viaggio durante la propria vita alla ricerca di pace. La bussola è sempre il «Vangelo della Speranza», quello seguito dai martiri, sino all’offerta della loro vita, sino alla manifestazione più radicale e più grande del sacrificio gradito a Dio.

L’incontro leccese si concluse considerando che ognuno di noi è una «pietra viva», come le pietre che avevano permesso di realizzare lo straordinario monumentum che aveva ospitato quella manifestazione, legato alla storia di Lecce e del Salento.

Ognuno rappresenta una pietra con cui costruire l’edificio morale e spirituale da lasciare ai posteri. E come ogni monumentum, in mancanza di fonti scritte, diventa esso stesso documentum così ognuno è documentum di una meravigliosa opera d’arte, come il Pontefice sottolineava nella bellissima Lettera agli artisti del 1999 indirizzata «a quanti con appassionata dedizione cercano nuove epifanie della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica». Ognuno può essere strumento di «epifania», non dimenticando la costante dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, che nella vita, tra una domenica e l’altra, c’è sempre un venerdì da superare, trasformando la propria Via Crucis in Via Lucis, perché la santità è nella semplicità e nella quotidianità dell’esistenza di tutti; nessuno escluso.

Paolo Agostino Vetrugno

© Riproduzione riservata