Intervento dell’ambientalista Rinaldo Innocente
Si definisce “centro storico” il nucleo originario di un paese oppure di una città. Ma è giusto affermare che rappresenta un’importante ed irrinunciabile “testimonianza storica” di una comunità? Sì, e non è retorico affermarlo, se è vero come è vero che le persone più anziane conservano gelosamente ricordi legati ad una vecchia strada o ad un vecchio angolo di paese e la loro riconosciuta sagacia spesso fa riferimento anche al passare del tempo e alla memoria dei luoghi vissuti.
È come ereditare una grossa somma di denaro, una ricchezza inattesa donata da un parente benefattore; come ricevere in regalo un bel quadro oppure un luccicante gioiello da ammirare ogni volta che si desidera. Il concetto di “centro storico” si è sviluppato durante la rivoluzione industriale, in contrapposizione alla “città nuova” consequenziale alla crescita urbana, effetto dell’incremento demografico e dell’esodo dalle campagne di molti lavoratori della terra.
Oggi questi spazi urbani caratteristici delle nostre città e paesi, da Nord a Sud, sono diventati importanti perché è qui che si concentrano molte attività commerciali di prestigio ed iniziative culturali di avanguardia e di aggregazione sociale.
Tuttavia, non tutte le comunità possono gioire di un “regalo” così rilevante donato dai propri nonni. Ad esempio, a Salice Salentino questo famoso regalo non è arrivato fino a noi; il centro storico, o quel poco che è rimasto, è diventato negli anni irriconoscibile, perdendo peculiarità, in primo luogo afferenti allo stile e all’eleganza dei cosiddetti “palazzi gentilizi”, ai decori delle facciate e alle viuzze pavimentate con “pietra viva”.
Di contro, tutte le strade sono state asfaltate. Non solo, la maggior parte di esse ha subito la copertura delle cosiddette “zanelle”, quelle pietre poste ai lati delle strade per fare defluire meglio e più velocemente l’acqua piovana; sempre nelle vie centrali del paese, è consentito il transito dei veicoli a motore che hanno contribuito in maniera determinante al deterioramento delle superfici percorribili.
Perché, quindi, a Salice il centro storico non è stato adeguatamente salvaguardato per renderlo attrattivo e facilmente fruibile? Eppure parliamo di un Paese che, secondo storici locali, esisteva già nell’anno mille. La causa principale, a mio parere, è da ricercare nell’assenza di una “cultura della conservazione” (presente, invece, in altri paesi limitrofi, da Guagnano a Veglie, da Leverano a San Pancrazio Salentino), a cui bisogna aggiungere una superficialità e una mancanza di sensibilità orientata alla tutela e valorizzazione delle strutture storiche del paese.
Mi spiego meglio: coloro che negli anni hanno avuto la responsabilità dello sviluppo urbanistico di Salice Salentino, anziché puntare al restauro e alla conservazione dei luoghi, frequentemente hanno preferito demolire l’esistente per costruire “nuove” strutture.
Un esempio pertinente? La completa distruzione della Locanda Vecchia, uno dei primi fabbricati di Salice, avvenuta per far posto all’anonimo palazzo che sorge fra le vie XX Settembre e Cavour.
Per quanto concerne, invece, l’atteggiamento di indifferenza, alcuni esempi tuttora visibili sono rappresentati da un altro antichissimo edificio, le “Case del Re”, ubicato nello slargo alle spalle del “Calvario” di via XX Settembre, divenuto negli anni un ricettacolo di rifiuti, e dal “Castello” del XIV secolo, sempre in via XX Settembre, attualmente in stato di completo abbandono, “aggredito” da erbacce e ormai frequentato solo da gatti e volatili.
Eppure il “Castello”, se adeguatamente ristrutturato e riqualificato, rappresenterebbe una ricchezza davvero invidiabile, perché completo di suggestivi spazi (purtroppo molto malmessi) con frantoi ed altri impianti per la lavorazione e la conservazione di olio e vino. Secondo una leggenda locale, nella parte sottostante il Castello ci sarebbe un tunnel che un tempo collegava il maniero con la vicina Campi Salentina e persino con Lecce.
Una rappresentazione plastica (quasi teatrale) dello stato delle cose brevemente illustrato, è data da Piazza Plebiscito, un tempo luogo di frequentazioni collettive, di scambi commerciali, di riunioni cittadine e di manifestazioni religiose. Quello che fu uno spazio cittadino ricolmo di tantissima “vitalità” economica e sociale giornaliera, da anni è divenuto un luogo tristemente vuoto, con poche persone che, quasi isolate, stazionano in qualche angolo nei pressi di stabili dove un tempo c’erano rinomati Bar locali. Si tratta, insomma, di una gloriosa Piazza, oggi utilizzata pienamente solo in occasione di qualche particolare spettacolo o di feste patronali.
Il quadro di desolazione dell’area, è completato dagli immobili settecenteschi/ottocenteschi che si affacciano sulla Piazza, tutti in completo abbandono (e qualcuno persino “pericolante”) e dal basolato che in alcuni punti talvolta risulta “disconnesso” (“imperfezioni”, causate dal passaggio degli autoveicoli, che determinano sistematiche spese per le riparazioni a carico del Comune).
Il “nuovo” basolato, installato negli anni Novanta, ha rappresentato un importante intervento di ristrutturazione, costato alla comunità centinaia di milioni delle vecchie lire. All’epoca, per ripristinare l’antico basolato in pietra viva (in quegli anni oramai ricoperto di asfalto), fu utilizzata una pietra industriale, la pietra di Soleto, che alla lunga si è dimostrata non idonea, anche in virtù dell’autorizzazione concessa dal Comune al passaggio delle automobili, sia dalla Piazza che dalle strade limitrofe destinatarie dell’intervento di restauro.
Autorizzazione, è bene sottolineare, concessa anche a seguito della specifica richiesta dei titolari delle attività artigianali e commerciali della zona, i quali ritenevano (a mio parere sbagliando) di poter essere economicamente penalizzati dall’eventuale istituzione della “zona pedonale”.
Bisogna aggiungere, giusto per avere un quadro completo, che negli anni ’70 la Piazza fu anche deturpata dalla realizzazione di uno stabile in stile “moderno”, costruito verso l’imbocco di via Maria Cristina di Savoia al posto di un preesistente edificio ottocentesco.
A proposito della mancanza a Salice di “cultura della conservazione”, non possiamo non ricordare la demolizione del muro di cinta del giardino del Convento dei Frati minori, avvenuta dopo gli anni Novanta, per fare posto ad una villetta con giochi per bambini (oltretutto, a poca distanza da un’altra struttura pubblica, il Parco Giochi, costata alla Comunità cifre considerevoli, ed ora completamente abbandonata).
Su detto muro di cinta, peraltro, vi erano dieci Murales dipinti da altrettanti artisti salentini, eseguiti tra il 1985 e il 1986, in occasione della Fiera “Madonna della Visitazione”, i cui nomi è giusto ricordare: Sandro Greco, Rino Fantastico, Enzo Fina, Maria Pia Matteo, Angelo Monte, Mimino Perrone, Nando Francone, Antonio Polito, Cina Mulè e Valerio Schiavone,
Queste opere avrebbero rappresentato, con il passare degli anni, una testimonianza creativa ed artistica permanente di grande valore. Eppure non siamo stati in grado di sviluppare un’azione conservativa, colpiti sempre dalla solita malattia di distruggere l’esistente.
Quindi, mancanza di cultura della conservazione, negligenza e indifferenza sono stati gli atteggiamenti prevalenti che hanno caratterizzato il nostro passato. Tuttavia, volgendo lo sguardo al presente, non sembra che le cose siano migliorate. Infatti, senza entrare nel tecnico, prendendo ad esempio il nuovo progetto di pavimentazione di via Umberto I, mi pare si stia seguendo la logica di sempre, ovvero quella di agire senza un progetto di recupero e di sviluppo globale del territorio in generale e di quello circostante in particolare.
Sarebbe stato più utile, a mio avviso, rimettere a nuovo (nel senso di restaurare) i numerosi viottoli che si intersecano con le strade del centro di maggiore percorrenza del nostro paese. Penso alla zona adiacente alla via Vittorio Emanuele II, alla parallela di via Celentano, alle stradine nei pressi delle Chiese “Immacolata” e “Santa Maria”, alle vie del rione “Pozzo Nuovo”, alle corti nei pressi di Santa Filomena, e così via.
Per concludere, sono convinto che basterebbe guardare al passato urbanistico di Salice Salentino per fare un passo importante verso la riconquista dell’identità locale. Nel predisporre questo articolo, ho chiesto un parere tecnico ad un giovane ingegnere, il quale mi ha dato una duplice risposta. La prima propriamente tecnica, sulla quale non entro nel merito; la seconda risposta, che vorrei condividere, è la seguente: “Un paese si identifica essenzialmente per le sue peculiarità e per la sua memoria storica, altrimenti è solo un agglomerato di case”. Una giusta osservazione che vale la pena tenere sempre presente perché rappresenta la sintesi di queste riflessioni.
Rinaldo Innocente
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Foto in alto: entrata e portale del “Castello” (novembre 2023, © S.A.)
Interno del “Castello”, antico frantoio (novembre 2023, © S.A.)
“Case del Re” (novembre 2023, © S.A.)
Piazza Plebiscito, vecchio stabile ex Bar Torino (© S.A.)