Lecce/San Cataldo - 20 Ott 2023

Il Molo di Adriano e il porto ritrovato a “Le Cesine”, tesori d’archeologia subacquea e costiera salentina


Spazio Aperto Salento

Uno langue, l’altro riemerge dall’oblio del passato. Sono i due porti d’epoca romana di San Cataldo, la marina a pochi chilometri da Lecce. Uno fra terra e mare, l’altro sommerso ed ancora in fase di studio. Il primo, eretto nel 130 dopo Cristo, è noto come “Molo di Adriano”, e prende il nome dell’omonimo imperatore Publio Elio Traiano Adriano (76-138 dopo Cristo); l’altro è ancora più antico, e risale alla fine dell’Età Repubblicana, e poiché sommerso a pochi metri di profondità, oltre che visitabile, in un prossimo futuro, in 3D, con la tecnica dello snorkeling, potrà essere ammirato attraverso il vetro di una maschera da sub.

La presenza di entrambi, sottolinea l’importanza per il traffico di genti e merci, che per secoli hanno avuto le due propaggini marinare del capoluogo salentino. Nel caso del “Molo di Adriano”, dapprima al servizio di Lupiae, che ormai fiorente, nel I secolo dopo Cristo, aveva surclassato la vicina Rudiae, patria del poeta latino Quinto Ennio (239-169 avanti Cristo), e poi per l’odierna Lecce, anche in pieno Medioevo, quando attorno al 1400, ad ampliarlo pensò la regina Maria d’Enghien (1367-1446).

All’ombra dell’ottocentesco Faro di ventitré metri, a causa dell’incuria, il “Molo di Adriano” si presenta purtroppo in condizioni precarie sin dal deterioramento delle plance turistiche che ne descrivono i fasti del passato, in tempi non sospetti descritti già dal geografo greco Pausania il Periegeta (110-180 dopo Cristo) ed in epoca moderna, nel “De situ Japigiae” dell’umanista di Galatone, Antonio de Ferraris (1444-1517) detto “Il Galateo”.

Assieme all’incuria, l’erosione e l’insabbiamento, hanno letteralmente spezzato i due possenti blocchi di pietra lunghi quasi una dozzina di metri, superstiti degli originali 150, che si sviluppavano per una larghezza di quindici. Ma senza i necessari ed urgenti interventi di restauro, a cominciare da quello conservativo, anch’essi sono destinati ad essere inghiottiti dal mare. Lo stesso mare di San Cataldo, che nei secoli ed in epoche recenti, si è appropriato di tutto il resto, che ora giace sul basso fondale, e che balzo dopo balzo, è percorribile persino camminando, oltre che visibile procedendo a nuoto in modalità snorkeling, sino a raggiungere la costruzione posta di fronte al tratto di spiaggia libera, che a forma di mezzaluna, fungeva da testa dell’approdo per le imbarcazioni.

Quanto al porto sommerso, distante poco più di un chilometro, le sue fondamenta si snodano nello specchio d’acqua che nel territorio comunale di Vernole, detto “Posto San Giovanni” (località “Le Cesine”), si apre di fronte al vecchio edificio delle Idrovore innalzato nel 1950 in occasione degli interventi voluti dalla Riforma Agraria.

Scoperto ufficialmente agli inizi del 2020, nell’estate del 2023, con la direzione scientifica della docente di archeologia subacquea dell’Università del Salento, Rita Auriemma, è stato oggetto di ricerca da parte degli esperti del Dipartimento Beni Culturali della stessa Università, impegnati con la collaborazione del Centro euromediterraneo per l’archeologica dei paesaggi costieri, dei Poli biblio-museali di Puglia, e l’apporto di Politecnico di Torino, Capitaneria, Nucleo operativo subacqueo di San Benedetto del Tronto, Comune di Vernole e Riserva naturale dello Stato ed Oasi Wwf  “Le Cesine”.

Grazie ai rilievi dall’alto con l’ausilio di un drone e sul fondale con un moderno ecoscandaglio, dopo gli interventi di sorbonatura (aspirazione di pietre, fango e sabbia), sono stati accertati i resti di una “chiesetta” e la presenza di una struttura a forma di L, lunga 150 metri circa, realizzata con lo  stesso criterio del “Molo di Adriano”, è cioè con la tecnica edilizia detta “a cassone”, tipica dei manufatti del Bacino del Mediterraneo, in testa il mare Egeo, che consiste in allineamenti paralleli e perpendicolari di grandi blocchi di pietra locale e pietrame di riempimento. Oltre al piccolo luogo di culto ed ai bracci del Molo ad L, a riva, sono venute alla luce tracce di strutture murarie, la cui origine ed utilità sono ancora al vaglio degli esperti. Ed al vaglio degli esperti, è anche il perché, sebbene in epoche successive, i due approdi siano stati realizzati a poca distanza uno dall’altro.

Nel caso del “Molo di Adriano”, la comunità salentina e leccese in particolare, si attende invece risposte sul perché una delle testimonianze più preziose del passato, che fu anche approdo dei Pellegrini provenienti dalla Terra Santa, non venga adeguatamente recuperata e valorizzata, evidentemente attraverso l’impegno congiunto Stato-Regione (in tal senso, proprio in Regione, l’argomento è stato sollevato dal consigliere Paolo Pagliaro, presidente del Movimento “Regione Salento”). E tanto nella consapevolezza, che tutti e due assieme, Porto dimenticato e Porto ritrovato, potrebbero contribuire al sempre auspicato  ma mai compiutamente realizzato, rilancio della marina di San Cataldo, sia come spiaggia che come meta turistica di rilievo nazionale ed internazionale.

Toti Bellone
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Foto in alto: la testa del “Molo di Adriano” (© T.B.)

 

All’ombra del Faro quel che resta dell’antico approdo di San Cataldo (© T.B.)

I blocchi piegati in attesa di essere recuperati (© T.B.)

Uno dei bracci del molo ad L del porto ritrovato a “Le Cesine”

I grossi blocchi sul fondale di fronte a “Posto San Giovanni”