Arte contemporanea - 25 Feb 2022

“Il profondo in superficie”, l’ossimoro apparente di Giancarlo Moscara

Ultimi giorni della mostra dedicata all’artista salentino. Potrà essere visitata nelle sale del Must di Lecce fino al prossimo 13 marzo


Spazio Aperto Salento

Sta per volgere al termine la mostra che dallo scorso 15 ottobre ha coinvolto le sale del Must di Lecce. A due anni dalla scomparsa di Giancarlo Moscara, il museo omaggia l’artista salentino con un’ampia retrospettiva, ideale seguito di un progetto già avviato nell’agosto 2020 dall’assessorato all’industria turistica e culturale della Regione Puglia, dal Comune e dal Polo biblio-museale di Lecce, che aveva previsto l’allestimento di una rassegna nella sua casa-museo a Cavallino per commemorarlo.

La mostra, Giancarlo Moscara – Opere 1955-2019, visitabile fino al 13 marzo, è corredata da un corposo catalogo, edito da Moscara Associati Edizioni, l’impresa a conduzione familiare dell’artista – che ha segnato tappe fondamentali del suo itinerario artistico nei decenni recenti – contenente i testi critici del comitato scientifico che ha contribuito alla realizzazione del percorso espositivo. Il progetto curatoriale è di Titti Pece, storica dell’arte e moglie dell’artista, e del figlio Marcello, seguendo quelle «affinità elettive», di cui scrive Raffaele Gorgoni in catalogo mutuando Goethe.

L’esposizione ha previsto un quantitativo di opere assai corposo, fino a 280 pezzi, del periodo di produzione compreso tra il 1955 e il 2019; il che lascia supporre non vi sia stato tanto un intento selettivo da parte degli organizzatori, quanto più una volontà di accrescere il ricordo e la conoscenza dell’autore da parte del pubblico, tanto che l’intero museo è stato predisposto ad accogliere la mostra. Inoltre, nella struttura della rassegna, i curatori non optano per ordinare cronologicamente le opere, come farebbe presumere l’intenzione dichiarata nel titolo della retrospettiva ben definita nell’arco temporale della produzione, ma sviluppano diversi aspetti tematici affrontati dal versatile creativo.

Si tratta di una scelta curatoriale che si rivela corrispondente alla narrazione dell’iter di un artista che spesso si è discostato da schemi predefiniti per seguire pulsioni inventive, in un continuo ritorno sui propri passi, per portare a compimento di linea un punto posto anni prima.

Percorrendo lo spazio espositivo, si accede alla sala del «gesto pittorico», nella quale è già ben visibile l’intrecciarsi di tecniche, materie e idee, costante nella sua ricerca. Già docente dal 1959 al 1982 di progettazione e decorazione pittorica all’Istituto d’Arte di Lecce, Giancarlo Moscara ha iniziato ad esporre nel 1970, inaugurando la prolifica professione. Utilizzava tecniche miste alternando molteplici supporti: dai cartoni al legno, dal sughero dipinto ad oggetti di uso quotidiano. Al termine dello stesso ambiente, è stata prevista dai curatori un’installazione immersiva, Manumanu, realizzata da Filippo Fabbri nel 2019 in collaborazione con l’artista, una sorta di stanza delle proiezioni, in cui vengono trasmessi brani sonori e filmati che presentano la stessa azione, riproposta da diverse prospettive, di un pennello che graffia la pittura fino ad asportarla dalla tela.

L’allestimento prosegue verso le riflessioni del Signor Ambiloquius, tra cavalieri e dame e racconti letterari in immagini, giungendo alla sala degli Asini musicanti. Quello che l’autore aveva architettato era un universo creativo in cui prendeva vita il bestiario fantastico di protagonisti delle sue opere. Le sue creazioni erano dense di riferimenti letterari e ammiccamenti ai maestri del ‘900 (Licini, Ensor, Klee e Picasso) e alle avanguardie.

Nelle sale dedicate alla mostra, vi sono gli spazi riservati agli autoritratti, agli acquerelli e alcuni relativi ad altri momenti della sua produzione grafica. Una delle sale del Must è dedicata ai suoi studi sulla carta, Di carta in carta, con gli “intrecci”, fogli e cartoni strappati e intrecciati a mano, fino a costituire delle tele di supporto alla pittura. Come spiegava lo stesso Moscara, la scelta di utilizzare della carta non tagliata, bensì strappata, era pratica espressiva fondante la sua ricerca. Nei suoi frammenti, questa doveva creare un supporto unico, «come un corpo umano. Una biologia di base su cui stendere i colori della vita», da cui si generavano vere e proprie opere autonome, affini alla scultura, definite da Rosalba Branà in catalogo: «parenti strette delle duchampiane Macchine celibi».

Proprio a Duchamp, Moscara dedicava una lettera di riflessione sul senso dell’arte. Il gesto provocatorio messo in atto dall’artista francese, probabilmente, non solo non fu compreso nella sua volontà di contrastare la piega che stava prendendo il mondo dell’arte – già allora verso le logiche industriali e di mercato – ma probabilmente lo stesso Duchamp non avrebbe potuto prevedere che la sua provocazione si sarebbe trasformata, paradossalmente, in una sorta di regola delle logiche di produzione dell’arte contemporanea.

Al piano superiore del Must viene presentata una parte fondamentale del lavoro dell’artista, quella politica, alla quale si dedicava svolgendo un’intensa attività di illustratore e grafico di riviste e pubblicazioni. L’utopia critica, i paradossi, i calembour e gli scherzi dell’arte testimoniano la fase più impegnata, che si esprimeva attraverso i suoi disegni (matita, china, pennarello) sui temi sociopolitici degli anni seguenti il Sessantotto. A questo periodo apparteneva la collaborazione con Marcello Fabbri nella realizzazione del Giornale murale dell’Arci nazionale: circa otto metri di vignette sarcastiche, testi di incitamento alla rivoluzione proletaria e alla lotta di classe organizzata. Mentre, nel corso degli anni Ottanta, Moscara collaborò come grafico e illustratore con la rivista “Rinascita”, periodico culturale del Pci, e con la casa editrice De Donato.

Il contributo critico di Maurizio Vitta del 1989, riproposto per questa mostra, titolato «il profondo in superficie», a mio avviso, frutto di un’analisi chiara e puntuale, chiarisce quanto l’arte di Moscara, volendo, si possa riassumere nel suo essere stato, essenzialmente, quella di un grafico, nel senso più vicino all’etimologia del termine graphĭcus: «che riguarda la scrittura o il disegno». Il segno grafico, di per sé superficiale, nasconde strati ulteriori da indagare per l’artista che sa dove scavare.

Alessandra Roselli
© Riproduzione riservata 

 


 

Foto in alto: Giancarlo Moscara, Capricorno VIII, 2018, acrilico su tela, 100×150 cm

 

Moscara, Senza titolo, 2017, tecnica mista su tela, 120×140 cm

Moscara, Autoritratto, 2012, acrilico su cartone, 82×62 cm

Moscara, Ritratto di Armenisia, 1989, acquerello su carta intrecciata, 180×120 cm

Una sala della mostra Giancarlo Moscara – Opere 1955-2019