Intervento - 02 Giu 2023

Il restauro del Monumento ai Caduti a Lecce: occasione per riflessioni

Contributo dello storico dell’arte Paolo Agostino Vetrugno al dibattito riguardante le lastre dei Caduti: “Intervenire nella revisione dell’elenco dei nomi, conservando le lastre originarie, magari con un’operazione di musealizzazione”


Spazio Aperto Salento

Il sentimento della monumentalità è sempre legato con il carattere storico-ideologico del monumento. Anche nel Monumento ai caduti di Lecce Eugenio Maccagnani (1852-1930) coniuga l’idea tradizionale di monumento con lo sviluppo del concetto umanistico della statua, per cui nel monumento, risultato della convergenza-incontro tra architettura e scultura, è presente anche una statua bronzea raffigurante una figura femminile alata, che nella mano destra impugna un ramo di palma, che depone dolcemente sull’ara sacrificale, e che con la sinistra stringe un elmo, con un superamento dell’impianto iconografico della figura con una spada ed uno scudo.

Nella relativa scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali, compilata nel 2013 da Antonella Savino, la statua è stata censita come «allegoria della Vittoria come donna vestita all’antica», ma nella Guida storico-artistica di Lecce (pubblicata nel 1929 da Tip. Ed. V. Conte, Lecce), appena un anno dopo la sua inaugurazione, l’attento Amilcare Foscarini (1858-1936) la indica come Statua dell’Italia (p. 172, nella ristampa Cartografica Rosato, Lecce, 2002, p. 191). E quasi sicuramente nelle intenzioni dei progettisti doveva rappresentare l’Italia Vittoriosa, magari ispirandosi alla Vittoria di Brescia rinvenuta ne 1826, e non una generica personificazione della Vittoria. Questa identità è supportata anche dall’iscrizione che ancora oggi campeggia alla base dell’obelisco, con un chiaro rapporto tra figurazione ed epigrafe:

CADDERO /
TRA I PRODI /
DELLA GUERRA MONDIALE /
E L’ITALIA SI ADERSE /
VITTORIOSA /
A PIU’ ALTI DESTINI /
1915 – 1918

Del resto, una volta rimosso il monumento in marmo realizzato dallo stesso Eugenio Maccagnani (inaugurato il 20 maggio 1894) per collocarlo nell’attuale Piazza delle Poste, l’originaria Piazza Libertini divenne Piazza della Vittoria (come è riportata nelle cartoline dell’epoca), poi negli anni Cinquanta Piazza Roma (in una cartolina del tempo sono presenti due folti e asimmetrici cipressi che oscurano la visione della stessa statua) e poi Piazza d’Italia (1990).

Ai lati della statua erano collocati due tripodi destinati a contenere una fiaccola, con evidenti allusioni alla simbologia della luce espressa con maggiore chiarezza dalla lanterna posta alla sommità dell’obelisco. La luce rappresenta la speranza nella notte, perciò la fiaccola assorbe la simbologia della vittoria, la gioia, la liberà, la redenzione e, sin dall’antichità, è l’attributo del genio della morte. Nel tempo, sono stati sostituiti da due vasi floreali in cemento, forse nel desiderio di richiamare l’idea del primo bozzetto del Maccagnani, ma di fatto falsando la simbologia acquisita. Appare, comunque, superfluo segnalare che il fascio littorio, simbolo del regime, che campeggiava sull’obelisco, laddove originariamente era stata prevista la croce, dopo gli eventi del 1945 fu rimosso e cancellato per un’evidente damnatio memoriae.

Mi permetto di segnalare un noto monumento soltanto per alcune brevi riflessioni in riferimento alla comunicazione che un monumento può avere (volontaria ed involontaria) nell’arco della sua esistenza. Spesso i significati di un monumento sono quelli acquisiti nel tempo, magari sono quelli che vorremmo che avesse e non quelli che aveva originariamente. Mi riferisco al Monumento ai Caduti nel Parco della Rimembranza di Gorizia, inaugurato il 24 maggio dell’anno successivo a quello dell’inaugurazione del monumento di Lecce. I nazionalisti sloveni, con la silenziosa approvazione dei tedeschi che procurarono loro la dinamite, lo fecero saltare. Non rimase in piedi che una colonna che si ergeva da un cumulo di macerie, proprio così come lo vediamo oggi. La polizia tedesca vietò ogni manifestazione di protesta, mentre la cittadinanza continuava a deporre fiori sulle macerie. Il progetto era stato di Enrico Del Debbio (1891-1973) che si rifaceva alla tomba di Lisicrate, in Grecia. Nove colonne doriche sorreggevano una cupola fregiata da sculture di Volterrano Volterrani (1891-1963), raffiguranti allegorie del ciclo della vita e della civiltà. L’interno era decorato con mosaici dell’artista goriziano Edoardo Del Neri (1890-1832), ispirati alla storia della città.

 

I resti del Monumento ai Caduti di Gorizia

I goriziani decisero di lasciare immutato il monumento distrutto da «vile mano straniera», affinché, prima ancora di essere una testimonianza del valore universale di chi aveva dato la propria vita per l’idea del bene comune della libertà, fosse il documento visibile della spregevole azione. Rappresentava e rappresenta, infatti, chi, non potendo far nulla ormai contro i cittadini italiani, se la prese con le pietre, che esprimevano la sacralità della storia di quei cittadini.  Un’epigrafe ricorda l’accaduto:

QVESTO MONVMENTO ERETTO DALL’AMORE/
DEI GORIZIANI AI FRATELLI VOLONTARI CADVTI/
NELLA PRIMA GVERRA DI LORO LIBERAZIONE/
È STATO DISTRVTTO DA MANO INCIVILE/
ARMATA DALL’ODIO DEI NEMICI D’ITALIA/
BENEDETTO L’8.8.1929/
DISTRVTTO IL 12.8.1944

Il monumento è rimasto così, nonostante ci sia attualmente un dibattito per una sua ricostruzione nell’ambito di una riconciliazione, ed è un ricordo ed un monito dell’atto terroristico, oltre ad essere un insegnamento per le generazioni future. È un monumento che, come a Lecce, continua a vivere nella contemporaneità. Anche a Gorizia furono aggiunti i nomi di altri caduti, come è successo in altri monumenti; e l’aggiornamento ha avuto anche il valore del conservare e del trasmettere la memoria. Tuttavia, ogni atto di conservazione della memoria non può prescindere dalla manutenzione della memoria, che, se affidata soltanto alle pietre, rischia l’oblio.

In riferimento alla questione dell’aggiornamento dell’elenco dei nomi dei Caduti leccesi in guerra è sorto un confronto tra il Comitato tecnico-scientifico e la Soprintendenza. Dal dibattito è emerso che, su parere espresso dalla Soprintendenza, si procederà alla conservazione in loco delle lastre con incisi i nomi dei Caduti, ritenendole inamovibili in quanto parte integrante della storicizzazione del monumento. Fatto proprio questo principio, il dibattito si è spostato sul problema dell’inserimento di nuove lastre contenenti i nomi mancanti dei Caduti e sull’opportunità o meno di una loro collocazione sul monumento.

Chi scrive, invece, è stato ed è di parere diverso da questa soluzione per una serie di motivi, espressi anche in seno al Comitato di cui fa parte. In primo luogo, stiamo parlando di un elenco alfabetico di nomi di persone (e non di una epigrafe nel senso tradizionale del termine) incisi su lastre che, a quanto è dato sapere (da notizie orali e da studi specifici) hanno già subito un intervento nei primissimi anni Sessanta del secolo scorso, adattandole alle nuove esigenze: alcune lastre sono state ribaltate accogliendo, con una nuova incisione, un aggiornato elenco di nomi, altre sono state abrase e riutilizzate; comunque, di fatto sono lastre decontestualizzate, se non proprio manomesse e modificate, con una parallela azione di snaturamento della simultaneità dell’epigrafe, nel senso che la scrittura, in molti casi, non è più contemporanea all’erezione del monumento.

Ma non è questo il problema. La questione principale è di metodo. La Soprintendenza ha una competenza giuridica ed ha potere valutativo e decisionale su dati di fatto. Mi spiego. Allo stato attuale non mi risulta che ci sia una relazione tecnico-scientifica compilata da un epigrafista, che attesti, peraltro, l’autenticità delle iscrizioni. Perché, alla fine, di questo si tratta. Non sono un epigrafista, perciò non mi esprimo in merito al valore delle epigrafi del monumento leccese. Mi limito soltanto a formulare riflessioni generali. In epigrafia, il primo punto da affrontare è stabilire l’autenticità dell’iscrizione, intesa come fedeltà al testo originale da cui dipende, che è offerta dalla presenza o meno di errori materiali e casuali commessi dall’operaio-incisore che ha trascritto sulla pietra il testo che aveva davanti agli occhi.

Nel caso del monumento leccese, pur non avendo il testo scritto dell’elenco che fu dato all’operaio trascrittore, è stato possibile ricostruire il testo di controllo, percependo e valutando le alterazioni di nomi, le omissioni e gli errori. Si è potuto verificare che, in alcuni casi, siamo in presenza di alterazioni dei nomi che, per la Soprintendenza, rappresentano invece un «valore storico» da preservare e custodire, perché ormai acquisito. In mancanza di una valutazione grafologica ed epigrafica, la conservazione in questo caso serve a documentare la mancata conoscenza della lingua italiana del trascrittore oltre alla fretta con cui doveva finire l’opera in un contesto lavorativo particolare. Pertanto, non si salvano le epigrafi trascritte ed impaginate in forma sbagliata, ma il loro supporto, rappresentato dalle lastre, che, come si è detto, in alcuni casi è stato riutilizzato rispettando soltanto l’applicazione sul monumento e la disposizione, concepita dal Maccagnani come una serie di pagine accostate.

A questo punto, manutenzione significa anche intervenire prudentemente nell’azione di una generale revisione dell’elenco dei nomi, conservando le lastre originarie, magari con un’operazione di musealizzazione, che preveda la loro sostituzione e la loro parallela conservazione nell’adiacente Casa del Mutilato oppure una degna esposizione nel Museo Storico della Città di Lecce (Must) di recente istituzione. Per questa via si potrebbe serenamente procedere ad una messa in opera di un elenco più completo e più corretto dei nomi dei Caduti, fuori dai distinguo che verrebbero smentiti da esempi di altre soluzioni affrontate per altri monumenti, con la consapevolezza d’individuare un passato storico non da esibire ma da indicare, senza ambiguità, alle nuove generazioni come un modello da seguire per programmare il presente ma soprattutto il futuro.

Paolo Agostino Vetrugno
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Foto in alto: Cartolina ed. Francesco De Filippi, primi anni Trenta del sec. XX