Con la fine dell’estate arriva il momento dei bilanci, soprattutto per quei territori fortemente inflazionati dai flussi turistici come la Puglia. Da alcuni anni a questa parte, i mesi di luglio e di agosto sono caratterizzati da dibattiti sul numero dei visitatori, sui costi, sui luoghi urbani ed extraurbani prescelti e su quelli che hanno perso attrattività; spesso sono discorsi spinti più dalla retorica che da una lucida e complessiva riflessione sul modello turistico e sulla sua sostenibilità, nonché sulla accessibilità dei territori.
Le proposte dell’estate pugliese sono varie e vanno da forme di massa a quelle culturali, come i sempre più frequenti festival musicali, a quelle basate su esperienze di lusso, in special modo in Valle d’Itria. Con i primi caldi, infatti, le ville, le masserie e i trulli disseminati nelle campagne tra Ceglie Messapica e Cisternino, Locorotondo, Martina Franca e Ostuni si popolano di turisti, che pagano cifre esorbitanti per una esperienza elitaria, tutta costruita sulla ridondante e distorta narrazione della vita lenta. Queste formule non sono nuove, vengono da una lunga eredità storica, di almeno trent’anni, che ha visto nella costruzione di Borgo Egnazia (inaugurato nel 2010) un punto d’arrivo – così come delineato da Sarah Gainsforth (Un paesaggio condiviso, in The Passenger 2025) – rafforzato ulteriormente dall’individuazione del resort come sede per il G7 dello scorso anno.
Gli studi a riguardo si stanno moltiplicando, individuando ragioni economico-sociali, conseguenze e rischi del proliferare di queste formule turistiche, riservate a pochi. Ultimamente, all’esperienza della villeggiatura si accompagna un altro fenomeno collaterale: quello delle mostre che si presumono di taglio “luxury”. Non ci si lascia sfuggire l’occasione di addobbare queste architetture rurali, ristrutturate con muri bianchi calcinati o lasciate in stato di semi-abbandono, con oggetti e suppellettili, tra design e arte contemporanea. L’esito è, nei fatti, un allestimento accattivante, pronto per essere fotografato e finire sulle copertine patinate di riviste d’architettura o d’arte e sulle piattaforme social.
Le singole proposte espositive possono pur essere di richiamo, restituendo uno spaccato delle tendenze artistiche di oggi e degli interessi verso cui è orientato il mercato, nonché essere frutto di brevi residenze artistiche con esiti formali ed estetici, in alcuni casi, anche interessanti. Ciò che viene da chiedersi è quale sia la finalità di questo tipo di iniziativa, a chi sia rivolta e quale sia il ritorno culturale sul territorio, non con l’ambizione di trovare una risposta definitiva, quanto di aprire ad alcune riflessioni. Queste questioni non sembrano interessare la critica accreditata che agisce sul territorio, se non rare voci controtendenza, che sollevano problematiche sui «progetti effimeri» e sulle «incursioni stagionali» a uso e consumo del pubblico (vedi: Massimo Guastella, “Inesauribile cosa è la libertà dell’uomo”, in Syncronicart 2024).
I progetti artistici e curatoriali messi in campo contribuiscono ai cartelloni stagionali (spesso molto densi) e vedono nell’evento inaugurale il momento di richiamo, un’occasione sociale di incontro e confronto, che non cela la matrice economica che vi è dietro, tra sponsor, realtà espositive, critica d’arte. Del resto, l’interesse delle gallerie e di artisti e artiste è quello di “promuovere” la propria arte e di presentarsi al meglio alla platea. Storicamente, e in special modo dagli anni Settanta, le gallerie e gli studi d’arte attivi sul territorio hanno contribuito al fermento culturale, a divulgare le novità dell’arte contemporanea, ad animare dibattiti aggiornati.
Ma ciò che qui sembrerebbe emergere, al di là della specificità degli attori coinvolti, è l’elemento elitario e lo strettissimo legame con il sistema turistico che governa le scelte. Quasi mai i cataloghi sono previsti, così come mancano spesso didascalie e pannelli esplicativi, secondo la tendenza che predilige l’esperienza nello spazio espositivo – che spesso è anche domestico, con limitati orari di fruibilità – alla presenza del cartellino d’accompagnamento o di altro materiale informativo. In questo modo, si rende più difficile l’individuazione dell’opera o dell’intervento estetico, nei fatti esponendo la struttura stessa, insieme al lavoro artistico, cosa che ne accresce inevitabilmente il valore economico.
Questi luoghi sono spesso di non facile accessibilità, sia in termini fisici sia in termini di trasporti; di per sé è un aspetto caratteristico della Valle d’Itria, ma fa raramente i conti con il fattore pubblico. Sono posti dislocati nelle campagne, difficilmente raggiungibili se non con un mezzo proprio e le indicazioni stradali, in alcuni casi, sono passate tramite la rete di contatti social, rafforzando l’idea di una occasione esclusiva. Il problema dell’accessibilità, a dire il vero, non riguarda solo occasioni private come queste, ma è una questione assai più vasta relativa al rapporto, o, meglio, mancato rapporto tra proposta culturale e trasporti in Puglia. Eppure, il legame tra turismo, mobilità e cultura è inscindibile, lì dove il turismo detta i tempi al resto.
Quello che mi pare, in definitiva, è che questo tipo di operazione si collochi appieno nel modello turistico di lusso ed extralusso, per ricchi, che possono permettersi, alla fine del soggiorno, di tornare a casa con un’opera in valigia. O almeno, con una bella fotografia: un selfie di gruppo davanti all’ultima installazione artistica, come una cartolina con un caro saluto dalla Puglia.
Rosanna Carrieri
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