Dal 16 al 30 settembre nella sede della Fondazione Palmieri
Le opere figurative di gusto classico dipinte in giovane età, purtroppo non ci saranno, perché nel 1954, all’indomani dell’incontro col poeta-visivo Francesco Saverio Dodaro, le bruciò in un falò, per chiudere col passato ed avvicinarsi all’Espressionismo ed all’Astrattismo. Ma il genio artistico del pittore leccese Edoardo De Candia, apprezzato con incolpevole ritardo anche dai più refrattari fra i critici, potrà comunque essere ammirato in una nuova Retrospettiva, dal titolo “In ricordo di Edoardo De Candia”. La seconda dalla morte (avvenuta nell’agosto del 1992 all’età di soli 59 anni), dopo quella del 2017 nell’ex chiesa di San Francesco della Scarpa, a Lecce, curata dal critico d’arte Lorenzo Madaro e dall’operatrice culturale Brizia Elsa Minerva.
Da sabato 16 a sabato 30 settembre, infatti, sempre a Lecce, ventitré lavori, saranno in mostra nella Fondazione Palmieri, allocata nella chiesa sconsacrata di San Sebastiano, al civico 15 di Vico dei Sotterranei, nel cuore del centro storico. Si tratta di tempere, soprattutto, più olii e due disegni, appartenenti alla Collezione privata dello studioso leccese Valerio Terragno, che della Mostra è anche curatore. L’inaugurazione è fissata per le ore 18.30, e potrà essere visitata tutti i giorni dalle ore 10 alle 13 e dalle 17 alle 20, anche per appuntamento, previo contatto al numero di cellulare 338-4726176.
Eseguite sino al 1986, penultima fase della copiosa produzione, chiusa con i nudi realizzati con poche linee e due-tre colori soltanto, che cedeva anche per un bicchiere di vino o una bottiglia di birra (a chi scrive, per un biglietto della Stagione lirica del capoluogo salentino), presentano marine, astratti ed altre figure umane. Ai più, almeno nella città che gli diede i natali nel 1933, De Candia era ed è ancora noto più per le eccentricità, che per la pittura. Memorabili le sue camminate a piedi sino al mare di San Cataldo, la cui acqua salata usava spesso per diluire i colori, e le passeggiate da piazza Mazzini al rione San Pio dove abitava, sempre col sorriso sulla bocca, anche quando i passanti lo evitavano ed i giovani ridevano con lui solo per incassare un innocente: “Ciao ragazzi, stasera che fate?”, scandito come fosse una canzone.
Allergico alle mode – e non soltanto artistiche – alle sigle ed in genere a tutto ciò che aveva a che fare con l’inquadramento, non volle né studiare né seguire correnti pittoriche. Salvo due brevi esperienze: la prima, la frequentazione di un’Accademia a Londra dalla quale venne cacciato; la seconda, a Milano, nel Gruppo del Teatro Laboratorio di via Roma Libera. Dopo la licenza elementare, andò a bottega dal cartapestaio Gaetano Guacci, figlio del noto Luigi. Prima di licenziarsi, fece l’apprendista per sei anni e si avvicinò al disegno. Dopodiché, prese a frequentare lo studio del pittore Michele Massari, padre dei suoi amici coetanei Antonio ed Anna Maria.
Senza una mèta precisa, tantomeno artistica, si sposta a Milano assieme al pittore Ercole Pignatelli, e di qui a Roma, dove frequenta gli amici pittori Tonino Caputo ed Ugo Tapparini, ed un altro genio come lui ancora incompreso, il drammaturgo Carmelo Bene. L’inquietudine, che è anche e forse soprattutto esistenziale, lo porta anche a Parigi e Londra, e poi ancora a Torino, Bologna, Firenze e Ferrara, dove espone nella hall del ristorante “Mazza”, ed a Venezia nel ristorante “Colomba”, dove baratta un dipinto per un pranzo.
L’àncora non viene però gettata in nessun posto, ed alla fine rientra nella Città del Barocco, anche se nel frattempo viene notato da critici ed artisti di fama internazionale, come Lucio Fontana, e nell’edizione del 5 maggio 1972, il quotidiano bolognese “Il Resto del Carlino”, scrive: “Per l’originalità del suo tratto, De Candia viene considerato dalla critica come uno degli artisti più interessanti delle nuove correnti”. A Lecce, De Candia vive ai margini della società. Ma la condizione è solo apparente. Dalla sua parte ha una folta schiera di amici ed estimatori, fra i quali i poeti Vittorio Pagano ed Antonio Verri, la scrittrice e giornalista Rina Durante, ed i già citati Antonio Massari, nel frattempo diventato pittore, e Tonino Caputo.
Prima dei viaggi in giro per Italia ed Europa, nella sua città aveva esposto nello storico Caffè “La Torinese” di viale Lo Re e nella Galleria “Olivetti” di Corso Vittorio Emanuele. Al rientro, proprio gli amici e colleghi, si danno da fare per organizzare altre mostre. Che una dopo l’altra, si tengono, nel 1959 alla Galleria d’arte “La cornice”; nel 1965 al “Sedile” di piazza sant’Oronzo; nel 1969 alla Galleria “3D”; nel 1971 alla “Caiulo”; nel 1981, curata dal designer Franco Gelli, al Consorzio degli artigiani. In mezzo c’è anche la Collettiva del 1984 nella Biblioteca “Bernardini” dell’ex Convitto Palmieri. Poi, dopo un lungo silenzio, otto anni dopo, sempre a Lecce, nel 2000, la “personale” nel Caffè Letterario, e nel 2010 al “Cibus” di piazza Mazzini, passando per la Collettiva del 2014 al Must, il Museo storico Città di Lecce, curata dal critico d’arte Toti Carpentieri.
Al pari delle altre mostre che l’hanno preceduta, la Retrospettiva su Edoardo De Candia, di volta in volta etichettato come “Il pittore pazzo”, “Il vichingo” (per via della lunga chioma e del fisico prestante), “Il pittore maledetto”, s’inquadra nel programma a lungo termine che Terragno persegue per risvegliare l’interesse nei confronti della produzione di artisti salentini attivi fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, troppo spesso dimenticata, anche dalle Istituzioni pubbliche, ed al contempo non adeguatamente apprezzata.
Toti Bellone
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Foto in alto: E. De Candia, Canneto, tempera su carta, anni ’70, cm. 50×70. Sotto: E. De Candia, Paesaggio con vegetazione, tempera e olio su carta, anni ’60, cm. 38,2×42,4 (particolare)