Reportage - 31 Gen 2022

Lecce, “viaggio” silenzioso nella bellezza del Cimitero Antico


Spazio Aperto Salento

Guardare a destra ci era proibito. Aldilà del muro di cinta, nell’ex monastero dei padri Olivetani,  c’erano i “perieddri”, gente povera, ingombrante per le famiglie, in qualche caso persino pericolosa; poco più avanti, abbandonato, il Cimitero vecchio, con le sue storiacce di morti viventi e fiammelle che s’accendevano di notte.

Per fortuna, con quella realtà da brividi, eravamo costretti a misurarci una sola volta all’anno. Il 2 novembre, quando tenuti per mano dai genitori, dovevamo sorbirci la lugubre passeggiata del viale di cipressi a tre corsie dell’attiguo Cimitero monumentale di Lecce, per raggiungere le Confraternite dov’erano sepolti i parenti.

Da grandi, per i più la tradizione di quel rito è svanita, e con essa la paura della “casa dei perieddri”, che ormai non c’è più, e soprattutto il terrore del Cimitero vecchio, nel frattempo recuperato, all’interno del quale, ma sempre e solo in gruppo, per assaporare il gusto del proibito, col favore delle tenebre ci siamo spinti più d’una volta, senza peraltro imbatterci in fantasmi e fuochi fatui.

IL GIARDINO FUNEBRE

Un cancello in ferro battuto da riverniciare, ci apre le porte del Cimitero vecchio. Il lato destro confina con la basilica dei Santi Niccolò e Cataldo, fatta erigere nel 1180 da re Tancredi d’Altavilla. Di fronte e dall’altra parte, disseminate sino a formare un labirinto, sono le tombe antiche anche di 150 anni. Attorno ai vialetti ove qua e là, fra le croste d’asfalto che andrebbero rimosse, affiorano i basoli, sono di tutti i tipi, appartenenti a chi poteva permettersi la tomba di famiglia, evitando così i loculi in serie delle Confraternite.

Sobri mausolei, con sculture, capitelli e rosoni traforati, ridondanti di bassorilievi e vetrate policrome, in stile gotico o barocco, persino egizio, come le “mastaba” a tronco di piramide dei Faraoni. Ed altre ancora, con attorno le numerose fuori terra, ingentilite da obelischi, statue, pinnacoli, archi acuti e guglie. Tutte, indistintamente, in pietra leccese, prelevata dalle cave che un tempo circondavano la zona, già a metà Ottocento, quando l’area di forma rettangolare che fu di proprietà dell’allora sindaco Luigi Berarducci, nel 1865 venne destinata a luogo di sepoltura, sino ad ospitare, già due anni dopo, almeno 600 tombe.

Non è il Père-Lachaise di Parigi, dove si organizzano persino visite guidate alle sepolture di grandi personaggi come lo scrittore Oscar Wilde (1854-1900), la rock star Jim Morrison (1943-1971), il soprano Maria Callas (1923-1977) e la cantante Edith Piaf (1915-1963), ma la suggestione c’è tutta. E la bellezza pure. Perché sono davvero belle la maggior parte delle sepolture: fra tutte, le cappelle delle famiglie Pranzo e Quarta, quest’ultima del tre volte sindaco-avvocato leccese Luigi, passando per l’”egizia” degli Stampacchia, e soprattutto per l’altra, dei Libertini-D’Avanzo, che in tutto simile ad una Chiesa, s’erge al centro del labirinto cimiteriale, con un portone in legno sorretto da triple colonne tortili, aldilà del quale spicca, su di un vero altare, un dipinto raffigurante una leggiadra Madonna.

SILENZIOSA PASSEGGIATA

Col suo carico di automezzi, la parte finale della superstrada che collega Brindisi a Lecce, è a poche decine di metri. Ma fra le tombe del Cimitero vecchio, a regnare è il silenzio. Un silenzio, che per quanto assurdo possa apparire, in un luogo deputato alla Morte, è reso piacevole proprio dalla presenza delle sepolture, nessuna delle quali è stata privata dell’inserimento di almeno un motivo artistico. Ecco allora spiegato, perché la parte più antica del Cimitero leccese, è conosciuta come “Giardino funebre”. Al posto dei fiori, che pure, in molti casi, adornano sepolcri e cappelle, sono, assieme alle statue, i già menzionati bassorilievi, pinnacoli, capitelli e rosoni.

A distanza di più di 150 anni, il Cimitero-Giardino funebre è ancora “vivo”. Lo testimoniano sepolture più che recenti: un Enrico Emanuele Massa nel 2020, ed un altro primo cittadino leccese, Stefano Salvemini, nel 2003. Mentre proseguiamo la visita, meravigliandoci di volta in volta dinanzi alla lettura di nomi di personaggi famosi, nobili casate e giovani vite spezzate, incrociamo di qua un’anziana signora alle prese col cambio dei fiori nella cappella ove è sepolto il marito, di là due giovani a braccetto le cui sagome presto si perdono all’ombra d’un obelisco, e più oltre, veloce s’un sentiero di cipressi, una ragazza che ha l’aria d’essere una studentessa.

La maggior parte delle cappelle dev’essere chiusa da anni, forse decenni: si intuisce dai catenacci arrugginiti che chiudono i piccoli cancelli, abbondanti di ferro battuto. Ma in nessuna c’è sentore di vero abbandono. All’interno, anzi, inginocchiatoi, candelabri e candelieri, panche e mobiletti, per non dire di angeli di terracotta, fiori freschi e finti e piccole sculture di animali, sembrano governati da una mano misteriosa, a cui sfugge soltanto la polvere.

LE TOMBE FAMOSE

Subito a sinistra dell’ingresso, è quella del più famoso fra i leccesi. Tito Schipa tutto maiuscolo, è scritto alla base della sepoltura, incomprensibilmente moderna, col suo marmo nero, ma collocata su una base di “chianche”, con alle spalle una grande croce e due vasi in pietra leccese in cui bianco e fuxia, albergano ciclamini freschi. È del cantante lirico di levatura internazionale nato a Lecce nel 1888, nello storico rione delle Scause, e morto a New York nel 1965.

Poco avanti, spicca quella del poeta leccese di adozione, Vittorio Bodini (Bari 1914, Roma 1970), che in un bassorilievo viene raffigurato in giacca e cravatta. In mezzo è la grande lapide che ricorda la tragica morte, durante il terremoto del 28 luglio 1883 a Casamicciola, del giovane ingegnere Oronzo Orlandini. Fra gli stretti vialetti, confuse con le altre, ecco poi le sepolture del matematico Ennio De Giorgi (Lecce 1928, Pisa 1996), del pittore Michele Massari (Lecce 1902-1954), e del patriota Epaminonda Valentino, napoletano di nascita (1810) ma presto accolto a Gallipoli, dove aderì alla setta carbonara “L’Utica del Salento” dei fratelli Gregorio ed Antonio De Pace, e morto in carcere a Lecce, a soli 39 anni, fra le braccia di un altro patriota, Sigismondo Castromediano, duca di Ljmburgh (Cavallino 1810-1895).

Toti Bellone
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Foto in alto: Lecce, l’ingresso del Cimitero Vecchio (© T.B)

 

Una veduta del Giardino Funebre (© T.B.)

All’ombra dei cipressi, uno dei silenziosi vialetti (© T.B.)

Un altro scorcio del sacro luogo di sepoltura (© T.B.)

La sepoltura in stile egizio della famiglia Stampacchia (© T.B)

La tomba del poeta Vittorio Bodini (© T.B.)

In marmo nero, la tomba di Tito Schipa (© T.B.)

Dietro il monumento funebre s’erge la magnifica cappella dei Libertini-D’Avanzo (© T.B.)