Arte contemporanea - 26 Nov 2022

L’onirico e il paradosso surrealista nei “Cacciatori di orizzonti” di Fulvio Tornese

Personale dell’artista salentino al Must di Lecce. La mostra è visitabile fino al prossimo 18 gennaio


Spazio Aperto Salento

Nell’era del digitale o, direi meglio, della smaterializzazione, qual è il “posto” dell’Uomo? È questo l’interrogativo che si è posta Melina Scalise, direttrice della “Casa Museo Spazio Tadini” di Milano e curatrice della personale di Fulvio Tornese “Cacciatori di orizzonti”. Il titolo della mostra risponde in parte a questo interrogativo, poiché si rivolge proprio agli uomini, alle loro inquietudini esistenziali ritenendoli un po’ cacciatori in cerca del giusto “posto”, «dell’orizzonte, di un senso, un obiettivo o una direzione in cui credere e riconoscersi». Le pitture di Tornese, in mostra nella sala al piano terra del Must di Lecce fino al 18 gennaio 2023, ripercorrono la sua produzione nell’ultimo decennio fino alle più recenti come Confine e Il racconto delle cose portate, entrambe realizzate nel 2022.

Classe ’56 Fulvio Tornese nasce a Lecce e frequenta il Liceo Artistico della città, appena sedicenne consolida la propria formazione nello studio del maestro Giancarlo Moscara (artista poliedrico a cui il Must ha reso omaggio con una corposa retrospettiva) con il quale lavora per alcuni anni. Prosegue gli studi a Firenze e dal 1984 avvia la sua attività espositiva, i suoi lavori sono particolarmente apprezzati dai titolari della Monteoliveto Gallery di Nizza con i quali avvia una lunga e stimolante collaborazione: Antonio Ciervo e Chantal Lora – a cui non manca di rivolgere un affettuoso pensiero nelle prime pagine del catalogo a corredo della mostra.

Entrando nella sala, si incontrano una serie di bizzarri personaggi, molti dei quali svuotati dei tratti fisionomici che sembrano pescare nell’onirico e nel paradosso surrealista senza tuttavia rinunciare all’originalità di un linguaggio che Tornese autonomamente si è costruito. Qua e là echi da un Magritte risuonano, ad esempio, in Sono ciò che vedo. L’olio, datato 2020, raffigura in primo piano un uomo con un abito bianco, ben vestito che siede solo su un lungo muretto, raccolto e impensierito punta i gomiti sulle gambe e incontra le mani per accogliere e sostenere il volto di cui tuttavia è privo. La mancanza della testa e quindi più largamente dell’identità del soggetto, da un lato propone una delle problematiche che maggiormente interessa l’uomo contemporaneo, la crisi dei valori e la conseguente perdita dell’io che compromette l’esistenza stessa e, dall’altro, permette ad ogni osservatore di riconoscersi in quell’assenza e farla propria.

La mancanza, che interessi la tavolozza cromatica giocata quasi esclusivamente sui toni del grigio o i volti dei soggetti, tocca l’intero percorso espositivo, in Il senso delle parole che abbiamo perduto, tela che accoglie lo spettatore all’ingresso della sala e che fa un po’ da manifesto all’intera mostra, l’artista rimarca questo senso di vuoto. La perdita è descritta dall’uomo in primo piano che, con l’immancabile completo rigorosamente bianco, china il capo e rivolge lo sguardo alle mani poste come intente a sorreggere qualcosa di non visibile. L’uomo in questione emerge gigante, fuori scala, in piedi su un palazzo mentre la città sullo sfondo appare, come in diverse opere esposte, irrealistica nella sua prospettiva. Prospettiva che Fulvio Tornese ben conosce – grazie alla sua seconda attività da architetto che affianca alla carriera da artista – ma che sapientemente e con consapevolezza altera come affetto da vertigini.

Gli uomini di Tornese sono soli e anche quando ritratti in gruppo – come nella già menzionata opera Il senso delle parole che abbiamo perduto, dove alla figura centrale ne fanno seguito altre cinque fluttuanti vagamente chagalliane – i soggetti appaiono incapaci di interagire tra di loro, d’altronde lo stesso Pirandello aveva chiarito il dramma dell’incomunicabilità umana. Non si può tacere la sorpresa e il piacere nello scorgere la presenza di un volto più familiare nell’Outsider che siede sulla catasta di scatole vuote, quanto apparentemente fragili.

Si colgono sulle tele sguardi spenti, interrotti. Immancabile l’abito bianco talvolta in contrasto con la vacillante città sullo sfondo a cui l’artista concede tonalità più “calde”. Il colore steso piatto per ampie campiture, la linea di contorno nera, marcata, spessa ma semplice e pulita che distingue le opere di Tornese, denuncia l’attenzione dell’artista ai fumetti della cultura Pop. Nonostante, gustando la mostra si percepisca nelle opere di Fulvio Tornese la consapevolezza di vivere un’età complessa per l’uomo spesso dominato dall’anonimato, non respinge un possibile cambiamento.

Nel testo in catalogo “Lo spazio dell’uomo”, la curatrice pone l’attenzione agli ambienti rurali, alle campagne che «abbiamo scelto di abbandonare per andare a vivere prevalentemente nelle grandi città» ma che nelle opere dell’artista spesso ritornano seppur timidamente ai margini della tela, la presenza della natura si manifesta anche nel volo dei gabbiani e nelle grandi ali di cui dota alcuni dei suoi soggetti, conferendogli la possibilità di volare oltre e di ricercare un “meta spazio” per l’uomo.

L’attenzione dell’artista leccese a tematiche che guardano allo smarrimento umano tra gli ambienti costruiti, non gli impedisce di divertisti con l’arte che, come scrive «lo accompagna fin dall’adolescenza» lasciandosi andare a certi “capricci” come nella serie di acrilici su multistrato di carta intitolata Catalogo acconciature per giovani alberi. L’artista-parrucchiere pettina le fronde di questi alberi stilizzati e, come per i soggetti umani, dà sfogo alla propria fantasia passando dalle fronde ricce a ciuffi alla moda, alle piccole fiammelle incurvate.

Alessia Brescia
© Riproduzione riservata

 

 

Foto in alto: un’immagine della mostra di Fulvio Tornese

 

F. Tornese, Il senso delle parole che abbiamo perduto, 2019, acrilico su tela

F. Tornese, Outsider, 2022, acrilico su tela

F. Tornese, Sono ciò che vedo, 2020, olio su tela

F. Tornese, Catalogo acconciature per giovani alberi, 2015, acrilico su multistrato di carta