Spettacolo - 09 Ott 2021

“Medea, Desìr”, un gran lavoro teatrale della Compagnia Astragali

L’opera è stata messa in scena nei giorni scorsi nei locali dell’ex Distilleria De Giorgi di San Cesario


Spazio Aperto Salento

“Un gran lavoro”. Questo è per noi “Medea, Desìr”, la tragedia messa in scena per tre sere di seguito (3, 4 e 5 ottobre 2021) da Astragali Teatro, in uno dei locali dell’ex Distilleria De Giorgi di San Cesario.

Tre parole consegnate al direttore della Compagnia leccese, Fabio Tolledi, dopo aver seguito in religioso silenzio, assieme ad altri attenti spettatori, la riuscita performance recitata e gestualizzata da Roberta Quarta, Simonetta Rotundo, Matteo Mele e Samuele Zecca.

Questa “Medea”, Astragali l’ha tessuta sul romanzo della scrittrice polacco-tedesca Christa Wolf. Tolledi, che l’ha diretta e che ha ideato il penetrante spazio scenico tinto di nero e soffuse luci artificiali, ne ha fatto una propria scrittura, ed il risultato è un’opera in cui predominante è la condizione di “straniera” della protagonista, il cui mito è stato reso immortale da Euripide, ma anche da Corrado Alvaro e dal “nostro” Quinto Ennio nativo di Rudiae, nonché da scrittori, musicisti e pittori. Una “migrante” dei nostri giorni, vista con diffidenza e per questo tenuta a distanza, soprattutto dal Potere.

Bellissima, oltre che pertinente, proprio in tema di migranti, la  “trovata” del regista-autore, di far tagliare da uno dei suoi attori, fettine di carne da un pezzo (vero) di animale macellato, e di farle cuocere (realmente) in una padella, associando ad ognuna di esse il nome dei luoghi dove gli “ultimi” della terra continuano a sbarcare: Lampedusa, Malta, Otranto, Leuca, Grecia, Messico.

Nella tragedia targata Astragali, Compagnia da 40 anni sulla scena nazionale e non solo, la vicenda di Medea viene narrata in quattro mini scenografie, guarnite dalla direzione tecnica di Sandrone Tondo, dai costumi di Donatella Sulis e Sacha Fumarola e dall’organizzazione di Ivano Gorgoni e Cosimo Guarini. Ed è una Medea che “ama aldilà di ogni valore, aldilà di ogni morale”, si legge nella nota cartacea distribuita agli spettatori prima della visione.

Nella stessa nota ove campeggia, nella grafica di Marina Colucci, una testa di Medea, per far comprendere il personaggio centrale della tragedia, si legge inoltre: “Medea è donna, straniera e selvaggia. Creatura altra che resiste e sfugge al Potere, regina adolescente a cui tutto si può chiedere, depositaria di un sapere profondo ed antico”.

Nell’opera di Euripide, Medea uccide i suoi due figli maschi per vendicarsi del marito Giasone che la tradisce. Nel romanzo di Christa Wolf, a sua volta accusata, ma ingiustamente, di tradimenti, alla morte dei suoi figli, Medea è invece costretta ad assistere, prima di essere scacciata da Corinto e vivere, violenta e sconosciuta, vagando per l’intera Grecia. Ma nell’una come nell’altro, ieri come oggi, a subire è sempre lo “straniero”: colui che viene da fuori e che non viene accettato a prescindere.

Toti Bellone
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Foto in alto e in basso: tre scene di “Medea, Desìr” (foto di Marina Colucci)