Cultura - 15 Gen 2021

Novoli e il culto di Sant’Antonio Abate: le origini e la Focara

La reliquia del “Santo del fuoco”, patrono ufficiale della comunità fin dal 1664, fu donata ai novolesi dal vescovo di Tricarico. Giunse in paese il 27 luglio del 1924


Spazio Aperto Salento


Origini del culto

Ammetto che esplorare la storia e la cultura novolese mi ha sempre affascinato; in particolare mi ha attratto, e per certi versi commosso ed emozionato (tanto da realizzarne un libro giunto alla terza edizione e dal titolo “Il fuoco Sacro. Il culto di Sant’Antonio Abate a Novoli e nel Salento”), l’indissolubile legame che stringe Novoli al suo patrono S. Antonio Abate, quell’Antonio, che per quanto egiziano ed eremita, nel nostro comune del Nord Salento, sembra quasi abitarci vivendo accanto alle ormai infinite generazioni dei suoi figli che lo riconoscono e lo amano davvero come un padre.

La venerazione di Sant’Antonio eremita a Novoli, come nell’intera Puglia, ha senza dubbio radici profonde e può essere ricondotta all’influenza bizantina nel Mezzogiorno italiano. E come è, appunto, tipicamente bizantina la devozione a S. Antonio Abate, bizantine sono anche quelle per San Nicola, San Biagio, Santo Stefano e Sant’Andrea, santi ai quali i Novolesi hanno dedicato delle chiese.

Testimonianza di questa antica venerazione è certamente infatti “il capitello dell’Hosanna” (risalente probabilmente al 1692) che si trova vicino al tempio del Santo e su cui sono scolpiti nei rispettivi lati non solo gli stemmi del Comune e dei Mattei (antichi signori di Novoli) ma anche le effigi dei protettori Novolesi e cioè la Madonna di Costantinopoli (di cui si conserva anche un pregevole affresco collocato cronologicamente nei primi decenni del secolo XIV nella chiesa dell’Immacolata in cui si nota una componente bizantina sia nell’impostazione che nella figurazione) e S. Antonio Abate.

Ovviamente il culto non si estinse con la fine della dominazione greca ma si mantenne sempre vivissimo come provano le molteplici testimonianze iconografiche sul Santo sparse per le nostre contrade. Una delle più belle ed antiche è quella ammirabile ancora oggi, nella basilica galatinese di Santa Caterina d’Alessandria. Nel 1432 proprio all’interno della splendida basilica Orsiniana, Sant’Antonio veniva raffigurato da Franciscus de Arecio. Ai piedi del Santo compare, forse per la prima volta nel ‘400 salentino, un nero maialino (è questa la prima raffigurazione datata e firmata in Terra d’Otranto; inoltre altre due raffigurazioni sempre del Santo arricchiscono gli affreschi della basilica).

Dai documenti conservati presso la Curia Arcivescovile di Lecce (rintracciati da Pietro De Leo) si evince che a Novoli, già agli albori del Seicento, esisteva un “sacellum”, cioè un tempietto dedicato al santo proprio lì dove oggi sorge il santuario. Questo piccolo luogo di culto iniziò ad essere ampliato a partire dal 1640 (I visita pastorale di monsignor Luigi Pappacoda del 18 maggio di quell’anno) sino a quando, nel 1664, rispettivamente il 20 e il 22 gennaio, il clero e l’Università, elessero in maniera ufficiale l’anacoreta copto come proprio patrono. Val la pena citare il passo più importante di tale documento perché in esso sono indicate le motivazioni di tale scelta: “Ill. mo e Rev. mo Signore, l’Università e Clero della Terra di S. Maria de Nove humilmente espone a V. S. Ill. ma, come dentro detta Terra v’è la Chiesa di Santo Antonio Abate dall’intercessione del quale Santo tutta la detta Terra ne riceve gratie infinite, particolarmente in occasione di molte case incendiate, con la sola invocatione del detto Santo detta Terra n’ha esperimentato effetti meravigliosi con essere subito cessati l’incendij, che potrebbero evidentemente far danno di molta consideratione così anco in molte occasioni d’infermità gravissime e d’armature di foco, che nel giorno della  festa di detto Santo da molte persone devote di detta Terra si sono sparate e crepate in mano di quelli senza ricevere nocumento alcuno essendosi visto il pericolo evidente di restarne offesi et essendo tanta la devozione del popolo di detta Terra e di concorso ogni giorno di tutti li luochi convicini in detta Chiesa, e per le tante obbligazioni che si devono da detta Terra a detto Santo; ha concluso detta Università unitamente al Clero, come dalle preinserte conclusioni si può vedere che si pigli detto Santo Antonio Abate per particolare Padrone, Protettore ed Avvocato di detta terra con quelle solennità che si ricercano in simili occasioni che si pigliano dall’Università o luochi, o popoli per pubblico Protettore di qualche luoco o terra città qualche santo particolare tanto maggiormente che detta terra non ha altro santo per Protettore…”.

La ratifica da parte della Sacra Congregazione dei riti giunse però (non sappiamo per quali ragioni) solo il 23 agosto del 1737, dopo essersi accertato che Novoli non aveva altri protettori, attraverso le testimonianze di D. Francesco Giampietro e D. Francesco Russo. Da allora il 17 gennaio a Novoli diventò giorno festivo a tutti gli effetti e pertanto valido per le pubblicazioni matrimoniali. Alcune fonti ci descrivono anche nei particolari, le diverse manifestazioni religiose, ormai scomparse, in cui si esprimeva la devozione verso il protettore sulle giornate di festa. In passato, ad esempio, avveniva la cosiddetta “nturciata” che vedeva i fedeli partecipare portando dei pesanti fusti di cera ardente. Oppure “la strascina”, una batteria pirotecnica che accompagnava il tragitto compiuto dal simulacro del Santo, dal santuario alla chiesa madre.

Protagonista dei festeggiamenti era poi “lu Ntunieddru”, un maialino che veniva lasciato libero di scorazzare per le vie del paese. Se l’ufficializzazione del culto, come si è visto, appartiene a tempi abbastanza remoti, l’acquisizione invece della “reliquia” del Santo che nei giorni di festa viene esposta e venerata, è abbastanza recente. Grazie all’interessamento dei sacerdoti Don Carlo Pellegrino e Don Giovanni Madaro, rettore del santuario, essa giunse a Novoli da Tricarico, paese in provincia di Matera, precisamente il 27 luglio del 1924. Tale avvenimento, segnò indubbiamente una bella pagina della storia di Novoli e una solenne manifestazione dell’amore di ogni Novolese per il “Guardiano del fuoco”.

Oronzo Madaro narra che nell’inverno del 1924 don Carlo Pellegrino si era recato a Tricarico, con altri sacerdoti per una sacra missione. Dopo qualche giorno, il Pellegrino scrisse una lettera annunziando che nella Cattedrale di Tricarico vi erano dunque due urne ricchissime di argento, dono di un cardinale, con reliquie in una di S. Polito martire, patrono di Tricarico, e, nell’altra di S. Antonio Abate. La notizia fece fremere di gioia i Novolesi e subito fu formulata una supplica per il Vescovo di Tricarico in cui lo si pregava, insieme al Capitolo di quella cattedrale, di concedere a Novoli una reliquia di S. Antonio Abate. Alla supplica, avvalorata dalla commendatizia di Mons. G. Trama, seguì una risposta affermativa e così, verso la fine di febbraio, Don Carlo Pellegrino e Don Giovanni Madaro, rettore del santuario, si recarono a Tricarico per ricevere la reliquia in consegna.

L’urna preziosa fu immediatamente prelevata dal tesoro della Cattedrale per essere esposta nella cappella privata del Vescovo “che dissuggellò l’urna, ne trasse la reliquia, la collocò in un cofanetto di cristallo con il documento di autenticità firmato e suggellato”.  Quando la reliquia giunse a Lecce, fu posta nell’attuale e ricchissimo reliquiario d’argento di stile gotico; autenticata ancora dal sigillo di Mons. Trama, essa rimase nell’Oratorio del Palazzo Vescovile di Lecce sino al 27 luglio, quarta domenica, ovvero giorno fissato per la solenne traslazione che fu effettuata con un treno speciale. Oronzo Madaro ricorda che sul piazzale della stazione Mons. Francesco Greco dette un caloroso saluto a nome di tutto il popolo Novolese; quindi si svolse la processione solenne alla quale parteciparono i due Vescovi Mons. Trama e Mons. Delle Nocche, Vescovo di Tricarico, un numeroso gruppo di canonici, di Parroci e di Sacerdoti della diocesi, il Clero Novolese, i PP. Passionisti, tutte le Confraternite, il Consiglio comunale al gran completo con il sindaco Tarantini, tutte le autorità civili e militari, le associazioni con labari e bandiere. Furono percorse le vie fra i canti e gli applausi del popolo novolese e dei forestieri che facevano ala al passaggio”.

L’arrivo del santo il 27 luglio 1924 (coll. privata)

La reliquia fu posata su un altare su cui si contemplava il simulacro del Santo Patrono, sovrastato da un grande baldacchino eretto sul sacrato della chiesa. Poiché il santuario era incapace a contenere il popolo, mons. G. Trama celebrò la messa all’aperto e tenne anche la Sacra Ordinazione di alcuni seminaristi Novolesi. La S. Reliquia fu poi esposta sull’altare maggiore e la festa religiosa continuò ancora per tre giorni.

Vi furono così numerosi pellegrinaggi, ricevuti col suono delle campane e con il saluto di alcuni sacerdoti novolesi, dai paesi vicini. Questi ebbero inizio nel pomeriggio della stessa domenica con Carmiano, Magliano e Trepuzzi, mentre negli altri giorni, sino a giovedì, si successero quelli di Campi, Squinzano, Salice, Veglie, Arnesano e Monteroni, tutti guidati dai rispettivi parroci. Dopo queste giornate di preghiera e di festa, la S. Reliquia fu custodita nel cappellone del Santo, nella bella nicchia di marmo che tuttora si ammira. Contemporaneamente nella chiesa fu murata una lapide marmorea con parole dettate dallo stesso Madaro, che ricordavano l’avvenimento e i nomi del Vescovo di Tricarico donatore della reliquia e quello di Mons. Trama che si era prodigato per ottenerla e che era stato presente alla solenne celebrazione.

La Focara 

Per i Novolesi, fondamentalmente, Sant’Antonio è il Santo del Fuoco e la Focara è il simbolo esclusivo, impareggiabile, della nostra antica devozione. Ma ci si chiede: è possibile analizzare, dal punto di vista storico, la tradizione del falò che si costruisce con particolari tecniche e soprattutto con “un’arte” che i padri tramandano ai figli? Il Santo fu proclamato patrono del paese principalmente, come si è visto, “perché custodisse le case dal fuoco che distrugge e le persone dal fuoco d’artificio che lacera le carni”.

Il falò degli anni ’20 (coll. privata)

Volendo essere sinceri perciò le origini della Focara restano ancora piuttosto oscure. Non è possibile dunque affermare con certezza quando ebbe inizio la consuetudine di onorare il Santo dando fuoco ad una grande pira. Allo stato attuale delle ricerche, il più antico documento che attesta l’esistenza del falò è un articolo apparso nel 1893 su una testata locale, la Gazzetta delle Puglie. Il documento venne rintracciato dallo studioso Alfredo Mangeli. Si tratta di un semplice pezzo cronachistico che ci informa come in quell’anno vi furono notevoli difficoltà ad accendere la Focara.

È invece del 1909 una delle più remote testimonianze fotografiche datate dell’evento. Ai primi decenni del XX sec. Risalgono gli scritti dello storico Pietro Palumbo (1938), dello studioso di tradizioni popolari Francesco D’Elia (1912) e di Mons. Oronzo Madaro (che descrive la “festa del 1900”), le testimonianze del Bertacchi (1926) e dello Sbavaglia (1928). Nelle loro pagine, tali autori sono concordi nel definire la costruzione e l’accensione della Focara “un rito antichissimo”.

Una fonte eccezionale è tuttavia quella rinvenuta alcuni anni fa presso l’Archivio di Stato di Napoli, dalla studiosa Giuliana Petracca. È una sorta di quaderno, datato 1462, in cui vengono registrati i nomi dei carbonai autorizzati a rifornire la Zecca di Lecce. In moltissimi sono originari del casale di Santa Maria de Novis, cioè di Novoli, che all’epoca poteva contare poco più di un centinaio di abitanti. Questo significa non solo che la produzione del carbone era l’attività lavorativa più diffusa tra i nostri antenati ma anche che, è innegabile, la familiarità dei Novolesi con il fuoco parte davvero da molto lontano (il Quaderno, dal punto di vista onomastico, è per Novoli, nel contempo il più antico e originale documento in cui si registrano i cognomi delle prime famiglie novolesi).

 

Focara in costruzione

Ad ogni modo, al di là delle diverse interpretazioni e ipotesi che si possono elaborare, resta principalmente il fatto che la Focara, con il suo crepitio dei “sarmenti” (tralci di vite) recuperati dalla rimonda dei vigneti, è, come ebbe a scrivere Don Oronzo Mazzotta, “come un canto d’arpa a mille corde per ringraziare il Signore che ci dà frate foco che illumina e riscalda, ma principalmente è un cero votivo che si alza al cielo per ringraziare il Protettore” (non a caso, fino al 1949, la pira si costruiva sulla piazza davanti al Santuario).

“Sappiate, homini da bene e fratelli miei cari, come in detto loco v’è la Chiesa del glorioso Santo Antonio del foco, per la cui intercessione n’havemo, ogni giorno, mille gratie e favori, sarà bene che lo pigliassimo per nostro Avocato e Protettore, qual proposta, appena intesa, fù da tutti, concluso unanimiter, nemine paenitus discrepante…”. Così parlava, infatti, il sindaco Andrea di Marso Ricciato il 20 gennaio 1664 al Parlamento riunito con il consenso del Luogotenente, Domenico Saracino, invitando i Novolesi a scegliere il Santo della Tebaide. Da allora ebbe inizio un lungo cammino di devozione e di fede che caratterizzerà, per sempre, la nostra Comunità.

Gilberto Spagnolo

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Foto in alto: Cattedrale di Otranto, affresco di Sant’Antonio Abate (particolare)

 

Riferimenti bibliografici essenziali

 

  • DE LEO, S. Antonio eremita protettore di Novoli, note e documenti, Galatina 1971.
  • MANGELI, Sant’ Antonio Abate e Maria SS. Del Pane Patroni di Novoli, Novoli 2001, p.8.
  • MAZZOTTA, NOVOLI Ritorno alle radici Alla ricerca di una identità perduta, Novoli 2012, p. 30.
  • PETRACCA, Quaterno de spese et pagamenti fatti in la cecca de Leze (1461-1462), Istituto storico Italiano per il Medioevo, Centro di studi Orsiniani, Fonti II, Roma 2010.
  • SPAGNOLO, Il fuoco sacro, tradizione e culto di S. Antonio Abate a Novoli e nel Salento, con introduzione di Mario Cazzato III Edizione, Lecce 2018.
  • A. VETRUGNO, Osservazioni su alcuni aspetti della civiltà artistica medioevale nel Salento, in “Ricerche e Studi in Terra d’Otranto”, Cellino S. Marco 1987, pp. 248-253.