Lecce - 15 Gen 2022

Palazzo di Città, la targa dantesca di Antonio Bortone “dimenticata”

La scultura fu realizzata in occasione del VI centenario della morte del Sommo Poeta. Ad un secolo esatto dall’inaugurazione, lo storico dell’arte Paolo Agostino Vetrugno rileva una mancanza di “attenzione” per l’opera   


Spazio Aperto Salento

Chiuso definitivamente il 2021, sono anche terminate o stanno per concludersi le celebrazioni organizzate nel Salento (pandemia permettendo) per la ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Appare almeno doveroso ricordare che a Lecce il 15 gennaio 1922 fu inaugurata la «targa dantesca» firmata e datata 1921 dallo scultore Antonio Bortone (1844-1938), con una cerimonia di tutto rispetto. La stampa del tempo ricorda la singolare manifestazione come «un tributo, con cui anche Lecce, il capoluogo dell’estremo e remoto Salento, ha voluto e saputo partecipare alle solenni onoranze centenarie rese da tutta la Nazione alla memoria immortale del Divino Poeta» (La festa inaugurale del 15 gennaio, in “Corriere Meridionale”, anno 33, 19 gennaio 1922, n. 2, p. 2).

L’opera scultorea risulta tuttora collocata sull’originario sito, il prospetto del Palazzo di Città (ex Palazzo Carafa) che si affaccia su via Rubichi, l’edificio che, visibilmente trasformato, ha acquisito anche la funzione di riassumere simbolicamente l’intera comunità cittadina. La scultura è segnalata da Amilcare Foscarini nella sua Guida storico-artistica di Lecce (p. 78) del 1929 come un’opera degna di attenzione, e al tempo appariva allo studioso collocata sulla facciata municipale tra il Busto di Felice Cavalotti (inaugurato il 4 giugno 1904) ed il Busto di Giovanni Bovio (inaugurato il 4 luglio 1907), sculture in bronzo realizzate dallo stesso Bortone.

L’artista salentino concepisce l’opera commemorativa collocando su una lastra di marmo, che funge da base, lo storico labaro di Firenze, riprodotto interamente in bronzo, al centro del quale pone la testa di Dante di profilo, come appare nella conosciuta versione botticelliana del 1495. È interessante osservare che, contrariamente alle più diffuse iconografie, Dante non ha in testa una corona di lauro; inoltre, lo scultore, quasi un aggiornamento, pone «in alto, a mo’ di aureola, (…) intorno alla maschia testa dell’Alighieri la linea delle Alpi e il sacro confine della Patria, che il genio di Dante vaticinò e che la giornata di Vittorio Veneto diede all’Italia». L’unica iscrizione che contraddistingue la scultura è quella che si snoda lungo il nastro in bronzo con cui, in alto, si conclude il labaro: «Lecce nel VI centenario». Tutti questi particolari, attualmente, non sono purtroppo facilmente leggibili per il precario stato di conservazione dell’opera.

La cerimonia dell’inaugurazione fu descritta dalla stampa dell’epoca con ricchezza di particolari. L’inizio della manifestazione era stato fissato alle ore 10,30 e già dalle prime ore del giorno, che cadeva di domenica, l’intera via Rubichi appariva completamente affollata. Presenziarono molte rappresentanze della autorità civili e militari, funzionari, istituti, associazioni, che intervennero con le proprie bandiere, docenti e studenti, cittadini comuni. La Banda dell’Ospizio Garibaldi diede una singolare interpretazione dell’Inno Reale e, alla fine dell’esecuzione, fu scoperta la targa dantesca. Tenne la prolusione l’avvocato Nicola De Simone Paladini, al tempo assessore comunale e presidente del Comitato cittadino costituito per le Celebrazioni dantesche. L’intervento era stato concepito articolandolo su due linee distinte ma complementari: la prima tendeva a presentare il poeta-esule fiorentino come «cantore dell’umanità, assertore dei sacri diritti d’Italia»; la seconda parte puntava a chiarire il significato ed il valore del ricordo con cui Lecce partecipava doverosamente al tributo nazionale delle celebrazioni nel sesto centenario della morte del poeta.

Dopo l’inaugurazione della Targa dantesca, la manifestazione si spostò nelle immediate vicinanze, dove fu inaugurato il Monumento in bronzo di Fanfulla da Lodi, opera realizzata in bozzetto in gesso dallo stesso Bortone nel 1876, ma che solo allora vedeva la luce con la fusione in bronzo presso la ditta di Firenze F.A.F. G. Vignoli, scultura degnamente recuperata nel 2012 e restituita al suo splendore con un buon intervento di restauro (Cfr. Città di Lecce, Settore Lavori Pubblici, Interventi di Restauro Recupero funzionale, Fanfulla da Lodi. I Monumenti Cittadini, Editrice Salentina, Galatina, 2012). C’è da pensare che la stessa ditta avesse fuso la targa dantesca. L’artista, in quella fredda giornata festiva di gennaio, rimase a casa perché ammalato, ma la nota dell’anonimo giornalista-osservatore ci informa che «se anche fosse stato bene, invano l’avremmo cercato tra quanti assistevano all’inaugurazione della sua statua. Giacché Antonio Bortone possiede in grado cospicuo la vera dote dei grandi, l’umiltà. Egli è stato sempre assente dalle feste celebrate in onor suo, anzi è stato sempre alieno e contrario ad ogni sorta di festeggiamento, ad ogni forma di onore rivolto alla sua persona». L’articolista concludeva così: «E per questo l’amiamo di più, per questo lo ammiriamo di più, per questo lo veneriamo di più per la sua modestia nella quale chiude e nasconde la sua innata bontà».

Altri tempi, altre personalità, per noi “fortemente civilizzati” e abituati ai socials, alle storie, a tutto ciò che serve a farci apparire più che essere, quasi attratti da un costante “delirio narcisistico”. È un mondo che non ci appartiene più e che è difficile trasferire, sia pure a livello storico, nelle nuove generazioni, che non potranno mai capire, ad esempio, l’insegnamento della Calligrafia a scuola, una vera e propria materia che in pagella era indicata come Disegno e bella scrittura, (perciò c’era il quaderno della Bella copia e quello della brutta copia), non soltanto perché occorreva per decoro personale scrivere chiaro e leggibile, ma soprattutto per il rispetto di chi doveva leggere quello scritto. Il rispetto verso gli altri, a livello educativo, passava anche da questo, ed era anche un momento creativo. Ma, fortunatamente, ci siamo evoluti ed emancipati dagli altri, che democraticamente rispettiamo.

Nel 2021 ricorreva il VII centenario della morte del poeta e nemmeno la concomitanza delle celebrazioni sembra aver sollecitato negli interessati alla “cosa pubblica” una sia pure minima manutenzione dell’opera d’arte. Forse sarebbe stato opportuno organizzare almeno una cerimonia con la deposizione di una semplice e significativa corona di alloro sul monumento del Bortone, che le generazioni novecentesche vollero, evidentemente molto più attente e più sensibili di noi, sebbene uscissero dalla tragica pandemia della Spagnola, che soprattutto tra il 1918 ed il 1920/21 (oscillazione dovuta alle controverse scientifiche sui dati epidemiologici) causò milioni di decessi in tutto il mondo.

Qualche benpensante opinionista da salotto starà riflettendo come sia fuori luogo, se non assurdo, pensare e scrivere sulla manutenzione della memoria, in un momento in cui di memoria non ce n’è, forse, nemmeno per le vittime della stessa pandemia. Ma non voglio assolutamente essere frainteso e giudicato su ciò che non ho nemmeno pensato. Non dico che bisognava coinvolgere le scolaresche, proposta quanto meno strampalata perché gli studenti italiani con uno strano acronimo sono in DAD (il più delle volte con un vademecum flessibile e basato sull’armiamoci e partite, quasi un Manuale delle Giovani marmotte, una situazione che tutti gli operatori scolastici, nessuno escluso, hanno sopportato e supportato, trovandosi a dover gestire una quotidianità con regole generiche quando non confuse).

Tuttavia, questo stato di cose non toglie l’esigenza che almeno bisognava dare un segno che la vita, con le celebrazioni e le manifestazioni magari programmate e poi annullate o ridimensionate, nonostante tutto, continua e non può essere sopraffatta da eventi sia pure calamitosi, che tuttavia nel corso dei secoli si sono sempre abbattuti sull’umanità intera. Forse eravamo impreparati ad affrontare un avvenimento che coinvolgesse anche i cosiddetti Beni Culturali ed alla fine ci sarebbe da credere che il Covid non abbia nessuna colpa o forse il Covid, senza saperlo, è diventato la “cartina al tornasole” della nostra società, facendo emergere inadempienze e ritardi o, se vogliamo, diserzioni davanti agli appuntamenti che ogni giorno la vita ci presenta e ci richiede, nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, in cui occorre, sempre e comunque, dare segnali certi e sicuri, soprattutto alle nuove generazioni, che anche domani il sole sorgerà per tutti, al di là della volontà di ognuno (e meno male).

Paolo Agostino Vetrugno
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In Foto: Antonio Bortone, Targa di Dante Alighieri, Palazzo Carafa, Lecce, 1921 (attuale stato di conservazione)

 

Antonio Bortone, foto di M. N. Vais (particoolare)