Reportage - 02 Nov 2021

Papa Galeazzo e i suoi leggendari “culacchi”

Il mitico personaggio di Lucugnano “raccontato” da Toti Bellone


Spazio Aperto Salento

Per anni, da bambino, nelle case del centro storico di Lecce, a proposito di fatti che nulla avevano a che fare l’uno con l’altro, senza mai comprenderne il significato, dai grandi sentivo dire: “che c’entra lu culu culle quattru tempure”. Alla frase, cui  quasi sempre seguiva la risata di chi la pronunciava e di chi l’ascoltava, ho potuto dare un senso solo quando il bambino ha lasciato il posto al ragazzo. Ma senza l’aiuto di mio nonno Salvatore, per gli amici di borgata, Totu Calieddru, probabilmente avrei dovuto attendere la maggiore età.

PAPA GALEAZZO

“Il primo ad usarla – mi raccontò il padre di mio padre – fu, nel Seicento, un arciprete di   Lucugnano, Papa Caliazzu, nel suo Breviario passato alla storia per i culacchi, i racconti inverosimili, che conteneva”.

“E lo fece – continuò senza preoccuparsi, lui che non era né bigotto né benpensante, dei particolari piccanti che stava per svelarmi – in un cuntu la cui protagonista era la sua serva”.

Ma qui continuo io, sia perché a distanza di mezzo secolo non posso ricordare per filo e per segno il racconto di mio nonno, sia perché quel gustoso “culacchio” l’ho poi letto più volte. Ebbene, nottetempo mentre l’arciprete già dormiva, la serva usava ricevere nel suo letto la visita del sacrestano. Avuto sentore della tresca, una notte Papa Caliazzu cambiò di letto, e quando il sacrestano allungò le mani sotto le coperte, al posto di quelle dell’amata, di natiche trovò le sue. Senza perdersi d’animo, allorché ebbe davanti la faccia del prelato, l’incursore così tentò di scusarsi: “Sono venuto a chiedere se domani è il giorno delle Quattro Tempora, in modo da poterlo annunciare in tempo ai fedeli”.

“Il diavolo ti porti – fu la pronta risposta dell’arguto arciprete -. Ma che c’entra il mio culo con le Quattro Tempora?”. Che sono, aggiungiamo, i giorni iniziali delle Quattro Stagioni dell’anno.

L’ARCIPRETE

A distanza di quattro secoli, la figura del sacerdote di  Lucugnano (Lucus Jani, Bosco Sacro), che secondo la tradizione si accompagnava ad un somarello, è ancora viva nel linguaggio popolare e nei racconti dei salentini. E non solo degli anziani, anche se fra questi, nel paesino di 1.700 anime con Caprarica, Depressa, Sant’Eufemia e Tutino, frazione di Tricase, c’è chi sostiene che non sia neppure esistito. Ed invece, un Domenico Galeazzo arciprete esiste eccome. Intanto nel testo de “Il testamento di Papa Galeazzo”, incluso nell’edizione del Breviario a cura dello storico Michele Paone (Congedo editore, Galatina, 1979), in cui l’autore tiene a riferire: “Il testamento è originale, rinvenuto presso gli atti del mastrodatti, tal Cortese, presso cui venne depositato”, e che alla fine della narrazione,  recita pure: “Questa camera fu la stanza di Domenico Galeazzo del mondo 1560”.

La stanza intesa nel senso di casa di Papa Caliazzu, è stata individuata nella via che accanto alla Chiesa Madre di originale impianto seicentesco, è intitolata a Maria Santissima Assunta in Cielo. In una pietra dell’architrave,  la dimora riportava proprio la frase del testamento olografico.

“Quella pietra non c’è più e comunque io non l’ho mai vista – dice l’attuale rettore della Chiesa Matrice, don Rocco D’Amico -. Ma so per certo, che in un registro ecclesiastico, il nome di un Domenico Galeazzo de Palma c’è. E si tratta di un semplice prete, che il parroco del tempo,  interpellato dal vescovo di Ugento per partecipare ad una riunione, indisposto, inviò in sua vece”.

A confermare, inoltre, l’esistenza dell’arciprete il cui nome veniva preceduto dall’appellativo Papa, il Pope di origine greca con cui ancora oggi nei paesi vengono indicati i parroci (Zì Papa, Zì Prete), sono i due ritratti di un D. Galeazzo arciprete conservato nel Museo “Sigismondo Castromediano” di Lecce, e di un Papa Galeazzo rappresentato in un disegno del Buia litografato nello stabilimento tipografico Luigi Lazzaretti & Figli, pubblicato nella prima edizione del 1894 de “Gli aneddoti di Papa Galeazzo” a cura di Ruggero Rizzello di Galatone, morto a Galatina nel 1922, ristampata nel 1912 e ripresa negli Anni Settanta da Paone.

Ma c’è anche dell’altro, a riprova dell’esistenza dell’arciprete, che lo stesso Michele Paone definisce allo stesso tempo: “minchione e burlone, scarpe grosse e cervello fino, che non risparmiò né fanti né santi, un omo senza lettere, tollerato dalli superiori, i cui ‘culacchi’ possono essere paragonati alle proverbiali burle (quattrocentesche) del dotto fiorentino Arlotto Mainardi meglio conosciuto come Arlotto Pievano”. Nella sua prefazione al Breviario del 1979, cita infatti un Giovanni Cosi, che “ha reperito documentati segni che ne provano l’esistenza per gli anni tra il 1539 e il 1591”. La provano, sì, sebbene non esista, forse perché mai trovata, una sola certificazione anagrafica.

Come che sia, sempre lo storico Paone, scomparso a Lecce nel 2001, a proposito del ritratto conservato nel Museo, scrive: “Non m’importa se sia il ritratto fisico oppure quello ideale dell’uomo di Lucugnano, dell’uomo, non del prete o dell’arciprete, ché questa qualità sociale passa in secondo ordine, giacché se Galeazzo vestì la tonaca, trattò a preferenza più con un Satana beffardo e ridanciano che con un Padre Eterno esattore dei fatti e dei misfatti del ministro suo”.

MASCHERA SALENTINA

Conosciuta ancora oggi soprattutto per il Breviario di cui nei decenni, oltre alle già citate, esistono altre pubblicazioni, la figura di Papa Caliazzu non è mai assurta al valore di maschera da esibire nel Carnevale salentino, così come è invece accaduto per lu Titoru di Gallipoli e lu Paulino di Copertino. Eppure il “nostro” arciprete paragonato all’irriverente Pasquino romano e definito picaresco autore di un Decamerone di gusto salentino, proprio grazie ai “culacchi” del Breviario, è di gran lunga più famoso dei citati Titoru e Paulinu.

Tanto più famoso, nonostante che a Lucugnano non esista una sola traccia tangibile del suo passaggio e neppure un busto che lo ricordi, ma solo, nella Chiesa Madre che secondo la tradizione popolare lo vide esercitare da parroco, una  semplice effigie ad olio.

ALTRI “CULACCHI”

Ma più di busti, ritratti e documenti, a imperitura memoria, hanno potuto proprio i “culacchi”:  66 nella prima edizione del Breviario, più del doppio nella ristampa del 1912. Permeati di gustosi e sagaci doppi sensi, ma anche di storpiature di vocaboli ed abili giochi di parole, continuano a far sorridere il corpo e pure l’anima, al punto da essere consigliati alla lettura prima del sonno notturno, così da addormentarsi lieti e lieti svegliarsi. Qualche altro esempio?

“LE TESTE ERANO DUE”. Una bella casalinga tradisce il marito contadino, appena esce di casa per recarsi in campagna. Un bel dì, di ritorno dalla mezza via, dimentico del rastrello della zappa, l’uomo rientra in casa mentre la moglie finge di dormire avvolta dalle coperte. Per non svegliarla, la saluta appena, ma ripresa la strada, viene roso dal dubbio di aver visto, sotto le coperte, non una ma due teste. Sicuro della fedeltà della donna, s’immerge nel lavoro, anche se il dubbio non è del tutto svanito. Nel frattempo, per trovarsi pronta all’eventuale interrogatorio serale da parte del marito, la fedifraga pensa a quale storia raccontare per rassicurarlo. Non trovandone, corre a chiedere consiglio al suo confessore, che è giusto Papa Galeazzo. Appreso che la sera prima il contadino tradito aveva mangiato fagioli, dice alla bella casalinga di stare tranquilla, che a gabbarlo ci avrebbe pensato lui. In groppa al fido somarello, fingendo di trovarsi lì di passaggio, raggiunge la campagna del malcapitato, e vistolo, a lui si rivolge, salutandolo al plurale, come se fosse in compagnia di un altro lavoratore. Dopo un attimo di perplessià, l’uomo avverte il prelato che con lui non c’è nessuno, e che non comprende dunque perché lo abbia salutato come se si trovasse in compagnia.

“Figlio mio – si scusa Papa Galeazzo -, io vedevo due teste che erano a lavorare”. E aggiunge: “Maledetti fagiuoli, maledetti i fagiuoli!”.
“I fagiuoli?”, gridò a quel punto l’ignaro contadino.
E lui, di rimando: “Sì, i fagiuoli: tutte le volte che di sera ne mangio, mi s’ingrossa la vista e capito siffatti scherzetti. I fagiuoli, figlio mio, tra le altre cose, danno origine a strane e terribili allucinazioni”.

Inutile aggiungere, che il contadino impetrò per lo stupore, e da quel momento, non dubitò più della fedeltà della moglie.

“OH, MIA SANTA LIBERATA”. La signora marchesa di Alessano, ebbe a soffrire i dolori della gravidanza, perché il bambino in procinto di nascere, si era presentato di lato. Per ordine del marito, in tutte le Chiese del paese, venne esposto il Santissimo Sacramento, ma al pari delle preghiere del popolo,  per la guarigione dell’illustre sofferente, nulla accadde. Dell’evento venne a conoscenza anche Papa Galeazzo, che amico del generoso signor marchese, volle accorrere anch’egli al capezzale della partoriente, al fine di profondersi in preghiere. Appena al cospetto della signora marchesa, questa lo pregò di una pronta efficace preghiera. Mani giunte ed occhi al cielo, animandosi di quel tale suo umoristico spirito, l’arciprete si rivolse all’immagine di Santa Liberata che aveva di fronte, e così pregò: Oh mia Santa Liberata, fa che dolce sia l’uscita, come dolce fu l’entrata, oh mia Santa Liberata! Alla scappata di Papa Galeazzo, si legge testualmente nel ‘culacchio’, la marchesa non seppe trattenere il riso, all’urto del quale le si aprirono i vasi, il bambino subì il moto naturale del rivoltamento, e prim’ancora che la stessa signora si accorgesse, venne giù felicemente il marchesino. A questo punto, importa davvero poco anche a noi, se Papa Caliazzu sia davvero esistito oppure, per dirla ancora con Paone, “l’attore novellatore  effettivo è stato il popolo”. Che sia l’uno oppure gli altri, quel che resta, assieme ai “culacchi”, è il detto-simbolo del “nostro” simpatico arciprete: “Ieu suntu Papa Caiazzu, faciti comu ieu dicu e no comu ieu fazzu”.

Toti Bellone
© Riproduzione riservata

 

Foto in alto: particolare della litografia conservata nel Museo “Sigismondo Castromediano”

 

 Il ritratto che apre il “famoso” Breviario

La Chiesa Madre di Lucugnano in una veduta notturna e festiva (©T.B.)

Lucugnano, l’interno della seicentesca Chiesa Madre (©T.B.)

L’attuale via di Lucugano intitolata alla Madonna (©T.B.)

Un suggestivo “angolo” di Lucugano (©T.B.)