Rubrica - 25 Apr 2021

Pit stop dell’anima

“Pausa” di riflessione sulla Parola a cura di don Carmine Canoci


Spazio Aperto Salento

Dalla liturgia di domenica 25 aprile 2021

Dal vangelo secondo Giovanni 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

*   *   *   *   *

La quarta domenica dopo Pasqua, questa odierna, è definita dal calendario liturgico:

Giornata del buon pastore.
o Giornata delle pecore? (nell’accezione biblica).
o Giornata dei pastori con l’odore delle pecore? (papa Francesco).

Fate voi. Potete adottare la definizione che più vi aggrada! La scelta è libera! Certo che a parlare di pastori oggi non si fa cassetta. Provo a lavorare un po’ di fantasia, anche se la realtà le abita accanto, e mi piace immaginare un parroco corrucciato che mentalmente si rammarica e sospira:

– Ah, se le mie pecore fossero un po’ più docili, meno sbadate e sbandate, mi dessero retta una buona volta, ascoltassero i miei richiami, non stessero dietro a tutti i divulgatori, sempre più numerosi, di social notizie…!

Dalla parte delle pecore, con uguali sospiri, aneliti e lamenti:

– Ah, se il nostro prete fosse così e così…, si interessasse un po’ più…, fosse meno…, stesse attento a non…, evitasse di immischiarsi in certe faccende…, prendesse una certa distanza da determinate persone…! – e via recriminando.

C’è poco da dire, un bel teatrino. Conferma di come, all’occasione, ognuno si mostra abilissimo a fare l’esame di coscienza all’altro, ad ammettere le colpe del prossimo, a battersi il petto su quello del vicino. Un gioco fin troppo sciocco, oltre che sleale.

E di slealtà e pregiudizio nei confronti dei pastori è ammorbata l’aria. Qualcuno, anche di partecipazione assidua alla messa domenicale, colto da improvviso imbarazzo, con colpevole nonchalance, si esime pure dall’intervenire in loro favore. Ricordate ciò che ebbe a dire Martin Luther King: “Alla fine, noi ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.

Mi ha colpito lo sfogo, per niente fantasioso, di un sacerdote (don Maurizio Patriciello su Avvenire) il quale, faccio sintesi, afferma come il diritto a esprimere liberamente il proprio pensiero, la propria opinione, la propria fede, è una conquista alla quale non si può più rinunciare per nessun motivo, senza dover correre il rischio di essere denunciato, umiliato, deriso. Specialmente quando il pensiero corrente marcia in direzione opposta.

Ebbene un italiano, si chiede il suddetto prete, onesto, perbene, ha la libertà di affermare, con tanto di sincero rispetto nei confronti dei fratelli e delle sorelle omosessuali e transessuali, di considerare come vero e proprio scempio l’affitto di un grembo di madre per mettere al mondo figli commissionati da altri, senza, per questo, essere calunniato come omofobo et similia?

È stato ribadito tante volte che le nostre leggi sanzionano ogni atto di violenza, a cominciare da quelle verbali. Però si vogliono aggiungere ulteriori norme che rasentando di prevaricare l’esercizio dell’altrui libero pensiero, tutelino i diritti dei fratelli e delle sorelle omosessuali e transessuali.

E allora, un prete, specialmente italiano, quando viene offeso sui social e tante volte per strada, sentendosi dire “pedofilo” per il solo fatto di essere prete, o essere etichettato “gentaglia” (F. Merlo su La Repubblica) assieme a tutti coloro che condividono la sua fede, deve chiedere forse leggi personalizzate per lui, per i suoi confratelli e fratelli di fede?

Se a parlare a favore della vita nascente e solo di quella, non della donna, di questo e di quel movimento femminista, del governo o di chi altro, è un prete, spesso arriva l’invito a farsi da parte: «Che ne sai tu del dramma dell’aborto? Se la legge lo permette, perché impedirlo? Chi non lo vuole fare non lo faccia, ma lascia in pace chi decide diversamente». 

Perché devo io avvertire la diffidenza di tanti nel solo accennare un buffetto al volto del bambino in braccio a sua madre?

Notizia di pochi giorni fa. Un sacerdote, in Italia, ha comunicato ai fedeli presenti in chiesa per la messa domenicale, con il proprio Vescovo accanto, di aver intenzione di chiedere al Papa la riduzione allo stato laicale in quanto innamorato di una ragazza con la quale intende sposarsi. Ha poi aggiunto che quella sarebbe stata la sua ultima celebrazione, dichiarando che fino ad allora non aveva per niente tradito gli obblighi del ministero.

Da ogni parte, compreso dal Vescovo, giusti apprezzamenti e comprensione per il sacerdote, per la sua coerenza e il suo coraggio e, da parte dei fedeli, garanzia di una continua preghiera.

Qualcuno commenta: “Al cuore non si comanda”. Bella frase da dire però, davanti allo specchio. Infatti, cercando di andare oltre il cuore, è facile riconoscere come la bella frase altro non è che indice di quanto, in un tempo segnato dal relativismo, il potere della ragione sia sottoposto allo strapotere del sentimento. E non confondiamo l’una o l’altro con la fede.

Si è parlato anche di eroismo da parte del sacerdote che ha mollato. Tanto rispetto per la libertà del confratello, così mi piace continuare a considerarlo, che pur avendo promesso solennemente di consacrare tutto se stesso a Cristo per il servizio alla Chiesa, non ce la fa, ma parlare di eroismo risulta davvero fuori luogo.

Gli eroi sono quelli che rimangono in trincea, anche quando infuria la battaglia, come fanno i mariti e le mogli o i padri e le madri che non cedono nei momenti di difficoltà, perché hanno preso un impegno e l’amore (la fedeltà, la fede…) li inchioda, anche nel tempo in cui i sentimenti sembrano vacillare; come fanno i sacerdoti che, senza limiti di disponibilità e con cuore libero e ardente, in mezzo a infinite difficoltà, vivono la fedeltà di una dedizione totale nel silenzio e senza pubblicità.

E allora, quale la scelta di campo per il footing di oggi?

Buon pastore? Pecore? Pastori con l’odore delle pecore? 

Suggerisco una sintesi: Buon pastore con la ‘puzza’ delle pecore.

Buon allenamento!

don carmine