Rubrica - 02 Mag 2021

Pit stop dell’anima

“Pausa” di riflessione sulla Parola a cura di don Carmine Canoci


Spazio Aperto Salento

Dalla liturgia di domenica 2 maggio 2021

Dagli Atti degli Apostoli 9, 26-31

In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.

Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. 

La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

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«…La storia di Paolo è una storia tormentata dall’inizio alla fine, senza mai un attimo di pace. La sua fortuna, in questa fase iniziale, è stata quella di aver trovato un amico disposto a dargli una mano fino in fondo, Barnaba. Barnaba era un uomo coraggioso e lungimirante, che sapeva porsi come mediatore tra Paolo e i cristiani, convinto del valore di quest’uomo che non riusciva a farsi capire neppure dai fratelli di fede.

Paolo era certo un carattere difficile, dotato di una superiorità culturale che 1o distanziava dagli altri, ma Barnaba riusciva a far apprezzare in lui l’uomo votato al sacrificio, il suo ingegno straordinario, e l’irrepetibile esperienza di persecutore convertito.

Non stupisce che uomini di qualità eccezionali incontrino grandi difficoltà di inserimento, in tutti gli ambienti, anche nella Chiesa. Questi individui sconvolgono abitudini inveterate, pongono in discussione le tranquille sicurezze altrui, le loro proposte innovative destano ansia e paura e non si lasciano circoscrivere da orizzonti troppo limitati.

Purtroppo nelle nostre comunità cristiane, dove molto spesso manca una cultura dell’accoglienza, succede talvolta che le persone più valide, dopo qualche infruttuoso tentativo se ne vadano, salvo che non incontrino uomini della statura di Barnaba, capaci di introdurli, di presentarli, ed anche di difenderli se necessario.

Le comunità e i singoli membri – sacerdoti o laici – che più si lamentano di essere sovraccarichi di lavoro, di non trovare aiuto e disponibilità, qualche volta sono anche le comunità – e gli uomini – che godono di lamentarsi e scacciano senza indugio chi si presenta con idee nuove e con tanta voglia di fare.

Chi arriva da lontano non cerca tanto una folla di indaffarati arcigni e gelosi, ma piuttosto un sorriso aperto, un amico vero: Barnaba insegna, ed abbiamo assolutamente bisogno di uomini come lui».

Da “Lampada ai miei passi’”di G. Sacchetti, ed. Dottrinari 

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Dal vangelo secondo Giovanni 15, 1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto…».

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Oggi, a spiegare tale brano, a fare l’omelia chiamerei un contadino. Non avrei alcun problema se fosse malvestito, dalle mani nere e le dita callose di chi ha conosciuto stagioni di lavoro sotto il sole feroce e l’infido autunno che continua ad avere sotto le scarpe, per niente lucide, abbondanti tracce di terra di campagna.

Perché tale idea? Perché ritengo essere la persona più qualificata a spiegare la funzione essenziale della potatura di cui si parla nel brano del vangelo di oggi e ad indicare come, quando e perché va fatta.

Sono convinto che riuscirebbe a parlare delle cose di Dio con il linguaggio della terra, non cadrebbe nell’errore di confondere la potatura con una quasi ‘messa a punto’, una ‘aggiustatina’ della vite. Direbbe chiaro e tondo che la potatura è questione di taglio netto, doloroso anche per lui, ma necessario e da eseguire più volte, anche quando le cose vanno bene. Altro che “sfrondare” come a volte si sente dire, quasi per non urtare la suscettibilità di chi ascolta.

E se tale contadino venisse anche con gli arnesi del mestiere, tipo il forbicione e le cesoie varie, credete voi che la parola di Dio non verrebbe subito compresa?

E il prete, direste, cosa farebbe? Beh a lui farei fare la traduzione in simultanea di sua competenza. (A un prete non togliete mai l’ambone…!)

Questo prete, con linguaggio spartano, essenziale, ci farebbe sapere che l’interpretazione del potare e tagliare non deve indurre il lettore a pensare a un drastico intervento punitivo di Dio nei confronti di cristiani divenuti tiepidi o incoerenti con la propria fede. Questa è una falsa interpretazione tipica di sette o pseudo movimenti religiosi che amano immaginare Dio con un bazooka perennemente in mano, puntato sui discepoli che sgarrano.

Se così fosse, come la metteremmo con il Dio fatto conoscere da Gesù, padre, buono, misericordioso, lento all’ira?  È vero, molti sono portati a pensare che i rami secchi rappresentino gli individui che si comportano in modo poco edificante. Ma è sbagliato, si è in errore, non è così!

I rami secchi da tagliare e poi bruciare sono le miserie, le infedeltà al vangelo, i piccoli e i grandi peccati presenti anche nel migliore dei cristiani, le occasioni e le motivazioni che ad essi conducono. Tutti hanno bisogno, e non una sola volta, di una bella potatura. Perché solo così la potatura, l’estirpazione di questi mali, con la nostra necessaria collaborazione, diventa benedizione e redenzione.

Altrettanto giustificato e positivo è l’intervento di Dio quando anche al santo chiede più frutti di santità. Dio non crea i cattivi (i rami secchi) e poi li elimina, il cattivo diventa tale in virtù di scelte sbagliate che liberamente decide di fare, ne accetta le conseguenze e quella che maldestramente viene ritenuta punizione divina, è solo conseguenza dei propri e voluti errori.

“Fatti non foste a vivere come bruti, ma…”

Non vedo motivo di mettere alla sbarra e condannare Dio per ciò di cui spesso Lo si accusa. Buona domenica!

don carmine