Lecce - 20 Lug 2023

“Realismo Capitalista, Banksy: l’arte in assenza di utopie”


Spazio Aperto Salento

The Immersive Experience, Wall Experience sono tra i sottotitoli delle numerose rassegne dedicate a Banksy, ma non di Banksy. Lo scopo di queste mostre è quello di permettere al visitatore di conoscere le opere più famose dell’artista inglese. Nel complesso monumentale delle Mura Urbiche di Lecce, la mostra dal titolo “Realismo Capitalista, Banksy: l’arte in assenza di utopie” non presenta pezzi unici e inediti, ma due decine di riproduzioni – ormai prive dell’aura di benjaminiana memoria – che la portano ad avere un taglio prettamente divulgativo o, per meglio dire, volto all’intrattenimento, così come ideata da Stefano Antonelli e Gianluca Marziani con l’organizzazione di A&M Cultural Consulting e la collaborazione del Museo delle Arti e Delle Espressioni Urbane e Mediafarm (SAM). Nomi, almeno quelli dei curatori, ormai ricorrenti quando si sente parlare delle mostre sull’artista: lo scorso anno, ad esempio, la stessa esposizione con lo stesso titolo è stata presentata a Bari, mentre due anni fa al Castello di Otranto. Il titolo delle rassegne riprende quello del libro Realismo Capitalista, pubblicato da Mark Fisher nel 2009, subito dopo la crisi finanziaria globale, come non mancano di ricordarci Antonelli e Marziani, che scelgono di alternare alle serigrafie alcune frasi del filosofo.

Il nome di Banksy è diventato negli ultimi anni estremamente attrattivo per il pubblico, anche per l’aura di mistero che ruota intorno alla sua identità, ad oggi ancora sconosciuta: chi è questa figura, un uomo, una donna, un gruppo di artisti? Non ci sono risposte a queste domande, dato che chiunque si celi dietro lo pseudonimo non ha mai smentito o confermato nessuna voce. Alcuni ritengono che dietro il nome di Banksy si celi Robert Del Naja, frontman dei Massive Attack, già graffitista di Bristol; altri che la persona misteriosa sia Robert Gunningham anche lui graffitista, ma la questione si è amplificata così tanto da coinvolgere la scienza: nel 2016 la Queen Mary University di Londra ha svolto delle analisi scientifiche con modelli matematici e geografici utilizzati dalla criminologia, riscontrando una concreta possibilità che l’identità nascosta sia quella di Gunningham. Ad ogni buon conto, «è evidente che l’identità di Banksy non può essere racchiusa in quella anagrafica che gli sta dietro. Banksy è Banksy, ha scelto questo profilo per fare arte» (Gianni Mercurio).

Sebbene ad oggi non si conosca, e probabilmente non sarà mai noto, chi sia davvero Banksy, è certo che intorno alla sua figura si è creata una sorta di idolatria con una ossessione allo smascheramento. Sembrerebbe che, nonostante la sua notoria avversione al sistema dell’arte e la sua critica spiccata al modello produttivo e sociale attuale, il sistema stesso lo abbia inglobato, costruendo il feticcio di Banksy e portandolo all’interno di musei e spazi espositivi. Il suo nome diventa così occasione, per il luogo di destinazione di riproduzioni e serigrafie, per attrarre il grande pubblico. L’unica eccezione alle numerose mostre non ufficiali e prive di autorizzazione è quella in corso a Glasgow, Cut & Run, visitabile fino al 28 agosto, dove sono esposti stencils originali e inediti, anche datati alla fine degli anni Novanta, presentati al pubblico solo ora, dopo aver superato alcune accuse per danneggiamento criminale, non nuove per l’artista britannico. In continuità con la volontà di Banksy di non riprodurre i suoi messaggi, non possibile fare foto (i cellulari vengono chiusi in una custodia prima di iniziare la visita), ma – nella tendenza esperienziale che stiamo vivendo – lo staff è disponibile a scattare ai visitatori delle foto polaroid su richiesta, totalmente gratuite.

Eccezion fatta per questo caso, il pullulare di mostre su Banksy tenutesi negli ultimi anni sembrerebbe trovare risposta in una frase della critica d’arte Rosalind Krauss: «rarità, unicità e così via sono anche valori a cui la galleria dà un prezzo». È infatti intorno a questi concetti che si sviluppano queste esposizioni, senza però avere nulla di unico e inedito. Sono pacchetti preconfezionati e qualsiasi lavoro diventa un prodotto commerciale. Il fenomeno Banksy rende palese una tendenza generalizzata, ormai in corso da alcuni decenni, della commercializzazione dell’aspetto culturale e delle mostre, basti pensare alle cosiddette esposizioni immersive o experience o blockbuster. Proprio in quest’ultimo filone si pongono quelle dedicate al britannico, nonostante la sua posizione ben nota contro questi tipi di meccanismi: solo quest’anno, in Italia, sono state aperte al pubblico ben cinque rassegne sul writer. Una delle risposte è da trovarsi nel costo del biglietto, sicuramente oneroso; il caso di Lecce non è esente: l’ingresso alla mostra ha un costo superiore ai 10 euro. Inoltre, è stata inaugurata proprio durante il periodo estivo – sarà visitabile fino al 30 settembre – quando Lecce è invasa dai turisti che, incuriositi dal nome di un artista di richiamo internazionale, non rinunceranno all’esperienza, attirati anche dal complesso storico che la ospita. Nelle sale delle Mura Urbiche, sono due gli spazi dedicati, in un percorso che racconta la carriera del britannico, anche attraverso la presenza di alcuni video risalenti ai primi anni Duemila e delle fotografie di Martha Cooper, fotografa e fotoreporter che da oltre quarant’anni immortala la cultura underground della street art.

Sono esposte riproduzioni delle sue serie più apprezzate e conosciute, tra cui i rats: Love Rat, Gangsta Rat, Get out while you can e Because I’m worthless tutti del 2004. Non manca Napalm (Cant’ beat the feeling), del 2004, rinomata per il suo forte impatto e significato: si tratta della rivisitazione della famosa fotografia realizzata da Nick Ut, The Terror of War e che inquadra una bambina di nove anni durante i bombardamenti a Trang, Vietnam nel 1972 ed ustionata dal napalm. Banksy, però, la affianca a due icone della cultura americana, Topolino e Ronald McDonald; il sottotitolo Cant’ beat the feeling, fa riferimento al famoso slogan della Coca – Cola, altro simbolo del consumismo americano. Se a Lecce (e così a Bari, Bologna, Gallipoli, perfino su internet) possiamo vederne una riproduzione, si sa che di quest’opera vi è solo una tela ed è stata acquistata da Damien Hirst, che ha sempre nutrito una grande stima ugualmente ricambiata, per l’artista. In mostra è presente, tra le altre, anche una stampa di Girl with Balloon, datata 2004-2005, che riprende il murale originale realizzato all’esterno di un negozio di Shoreditch e poi a SouthBank, quartiere di Londra, nel 2002. Girl with Balloon è, peraltro, ormai nota al grande pubblico, anche a seguito dell’episodio che l’ha direttamente riguardata nel 2018, quando una riproduzione a stampa si è autodistrutta qualche secondo dopo essere stata battuta all’asta per oltre un milione di sterline. Lo street artist ha commentato sui canali social l’avvenimento, facendo intendere la natura intenzionale del gesto.

Durante la sua ultraventennale carriera, Banksy ha sempre trovato il modo di rivolgersi alla platea di tutto il mondo rimanendo comunque indipendente dal sistema, utilizzando un linguaggio che con il tempo è diventato sempre più duro, polemico e non risparmiando feroci giudizi. In un periodo storico in cui basta poco per essere esposti alla cosiddetta cancel culture, Banksy riesce a mantenere un equilibrio e il supporto del pubblico. Parlare di Banksy è anche occasione per toccare temi importanti: politica, disuguaglianze, guerra, vicinanza ai più deboli, gli underdog; dimostra di essere un attivista, dando voce a chi non ce l’ha o più semplicemente non viene ascoltato. Potrebbe essere, in tal senso, un bene continuare a fare conoscere il più possibile Banksy, ma a quale costo? Quanto può essere costruttiva la visione di una mostra che presenta lavori di uno street artist attraverso opere stampate in serie? Vediamo l’autentico Banksy in ciò che ci viene proposto o ne vediamo la sua versione commercializzata? Come sempre, attorno a Banksy si aprono discussioni.

Cristina Sergi
© Riproduzione riservata

 

 

 

Foto in alto: Napalm (Can’t beat the feeling), 2004, serigrafia su carta

 

Because I’m worthless, 2004, serigrafia su carta

Girl with Balloon, 2004-2005, serigrafia su carta