Salice - 06 Ott 2020

“SCITTATIEDDHRI”, NEONATI ABBANDONATI DALL’INIZIO DEL 1600 AL 1930

Una ricerca di Ciccio Innocente


Spazio Aperto Salento

Nei tre secoli di riferimento sono stati registrati 175 casi

NELLA SECONDA METÀ DEL ‘700, L’AUTORITÀ LOCALE, PER EVITARE L’ABBANDONO QUASI CASUALE DEI NEONATI, ISTITUÌ IL “SERVIZIO DELLA RUOTA”

 

Il percorso di questo cammino, a ritroso negli anni e nei secoli, non sarà un racconto, non un’indagine, né una statistica. Avrà lo scopo di gettare un fascio di luce sul fenomeno sociale, dolorante, della società del passato che annoverava tra i suoi membri donne sole, indifese e povere. Ragazze che vivevano “a servitù”, perciò separate dalla famiglia, ragazze orfane, spesso indigenti o ingenue tanto da essere irretite con false promesse, ragazze sedotte da signorotti e da proprietari del luogo: ragazze sfortunate.

Il primo pensiero è volto all’intimo dramma che ciascuna di esse ha vissuto spesso nel silenzio, nel segreto e nella solitudine. Nessun sostegno poteva giungere loro, forse qualche conforto, nessuna possibilità di tenere con sé la propria creatura.

Il fenomeno dell’abbandono dei neonati (“scittatieddhri”) si affaccia nella storia di Salice Salentino sin dall’inizio del XVII secolo, ed esattamente dal 2 dicembre 1610, come si legge nel primo libro dei Battezzati del nostro paese, quando, per la prima volta, fu trovato un neonato esposto, di madre N.N., al quale viene dato il nome di Paolo. L’Arciprete non annota altri particolari. Tali gesti furono considerati dalla Comunità clamorosi, eclatanti sino a quasi tutto il secolo seguente, al punto che furono rigorosamente annotati. Erano le massime autorità a “tenere a battesimo” il neonato: sindaci, medici, notai ed altre autorevoli persone del luogo.

La prima fonte consultata è l’Archivio Storico Parrocchiale. Dalle sue pagine, ingiallite dal tempo, emergono 46 casi di abbandono di infanti sino agli inizi dell’Ottocento; periodo in cui entra in vigore lo Stato Civile del nostro Comune.

Le circostanze e l’orario erano le più svariate. L’atto dell’abbandono veniva consumato generalmente di notte. I luoghi più frequenti erano presso il Convento dei Frati Minori, 13 volte, la Cona dell’Aglio, 4 volte – era una cappellina, ormai andata perduta, dedicata alla “Madonna dell’Aglio” – (1). Altri abbandoni sono certificati sulla strada per Lecce, 3 volte, alla Cona delli Marzi, 2 volte, alla masseria dello Bojara, 2 volte, e in diverse altre località di campagna, nonché sulla soglia di casa di svariate famiglie ritenute affidabili a svolgere il primo e necessario intervento per l’incolumità del neonato abbandonato.

In ogni caso chi compiva quel gesto pietoso, per volontà e penosa necessità, ultimo atto di una madre disperata, faceva in modo che il neonato fosse posto bene in vista in modo da essere trovato subito, tranne che nel caso di Fortunato Margiotta, il bambino trovato il 7 marzo del 1853, in un modo del tutto fortuito, sotto un piccolo ponte, da un ragazzo che giocava nei dintorni.

Verso la fine del ‘700, l’Autorità locale, onde evitare l’abbandono quasi casuale e, per tutelare al meglio i neonati, istituisce il “servizio della ruota”. Questa non era altro che un cilindro ruotante su di un asse verticale con, al centro, un pannello che separava le due metà, anch’esso posto in senso verticale e con una base. Questo dispositivo, posto sulla finestra di casa della famiglia designata a tale scopo dall’Amministrazione comunale, permetteva di poter adagiare il neonato sulla metà che dava all’esterno senza essere visti dall’interno, quindi di far girare la ruota per portare il bambino all’interno della casa.

Agli inizi dell’Ottocento la “ruota” era posta presso la casa di Michele Grasso sita in via delli Molini. Questo “servizio”, comunque, verrà utilizzato raramente forse perché il luogo, conosciuto da tutti, era troppo visibile per chi non voleva essere visto.

È giusto fare almeno due riflessioni: la prima, come si evince dalle descrizioni dei ritrovamenti, è l’estrema povertà e solitudine della protagonista, la quale può essere facilmente identificabile con il tratto di una ragazza, non ancora donna; la seconda è il muto messaggio che la ragazza vuol fare giungere non solo a chi sa, ma anche a chi potrà capire, lasciando accanto alla sua creatura una precisa indicazione (un fazzoletto, una sciarpa da uomo e così via). Questi “indizi”, assieme alla scelta del luogo dell’abbandono del neonato, rappresentavano chiare “accuse” che non lasciano dubbi né ai concittadini di allora né all’attento lettore. Rappresentano l’urlo del silenzio: Quistu è fiju toa! (2)

Per quanto detto conviene formulare qualche considerazione: il fatto che “l’esposto” fosse dichiarato figlio di ignoti genitori, non vuol dire che nessuno fosse a conoscenza di chi fosse la madre e, nell’intimità del “vicinato”, anche il padre; infatti se una gestazione “illegittima” poteva essere tenuta nascosta ai più, non poteva essere ignorata dai vicini e da qualche parente. Non poteva mancare la necessaria e discreta presenza della ostetrica, assieme a qualche altra pietosa donna presente al momento del parto, né la complicità della persona che, quasi sempre, dopo poche ore dal parto, ne individuava la famiglia presso la cui porta di casa andare a deporre il neonato.

Dalle notizie attinte dai registri parrocchiali, ed in seguito integrate con quelle desunte dai registri dello Stato Civile, emergono i seguenti dati: nel ‘600 si annoverano 11 casi di abbandono di minore; durante il XVIII secolo vi furono 34 casi, con una media di due per anno nella seconda metà del secolo, cioè negli anni ‘73, ‘86, ‘88, ‘89, ‘95, ‘96 e ‘99; nel XIX secolo il fenomeno assume proporzioni enormi, 112 casi di abbandono con una media poco superiore di una unità per anno e con una concentrazione di 8 casi tra il 1862 ed il 1863 e 6 casi tra il 1889 ed il 1890; nel XX secolo, primo trentennio, si annoverano 19 casi. Il totale raggiunge il numero di 175, cifra che può essere considerata “per difetto”.

Bisogna dire ancora che non tutti i bambini appartenevano a madri salicesi, soprattutto quelli la cui età, al momento del ritrovamento, era di 2-4 giorni.

Non sfugga al lettore un altro dato che rispecchia il naturale andamento del corso della vita nei secoli scorsi, per arrestarsi verso la metà del ‘900: la mortalità infantile.

Dei 175 casi registrati, i bambini deceduti in tenera età sono 72, poco meno della metà complessiva, ma il numero sarebbe ancora più alto se fossimo stati in grado di conoscere le sorti di coloro i quali furono registrati soltanto per nome.

Tra tutte queste vicende, una in particolare assume i contorni dell’enigma (dovuto ad un errore di trascrizione?). Si tratta del caso di Giuseppa Garibaldi, la bambina nata il 12 gennaio del 1861, che dal registro della Parrocchia risulta essere deceduta a due anni di età, il 25 settembre del 1863. Dal registro dei Matrimoni, però, sembrerebbe che la stessa Giuseppa Garibaldi sposa, il 3 novembre del 1881, un uomo del posto: con lui formerà famiglia e morirà, all’età di 67 anni, il 13 ottobre del 1828; da non confondersi con altra Giuseppa Garibaldi che nasce l’8 aprile del 1863 e muore dopo un solo giorno di vita.

A tutto ciò si aggiunge un altro fenomeno simile al primo ma con una differente valenza sociale: quello, a dire il vero, ben più limitato, che contempla i bambini, non meglio definiti se non figli naturali; ovvero figli procreati al di fuori di un matrimonio, allora illegittimi. Costoro, proprio perché la madre naturale riceveva l’aiuto e l’appoggio della propria famiglia, non venivano abbandonati; erano tenuti e, giuridicamente, ricevevano il cognome materno. Nel 1600, 6 casi; nel 1700, 6 casi; nel 1800, 18 casi; nei primi 38 anni del 900, 36 casi. E mi fermo qui.

A suffragare quanto sopra esposto, segue uno stralcio tratto dal volume di Antonio Scandone, dal titolo “Salice ai tempi del Murat”, che nonostante tratti soltanto due o tre casi, stigmatizza tale fenomeno.

“Anche per la ‘strada de li Molini’ il Quarta ha fornito delle indicazioni esaurienti, cui si rimanda. Dalla nostra indagine balza in evidenza soltanto un nuovo particolare, che peraltro getta una luce di notevole interesse sulla conformazione sociale di Salice ai primi dell’800 e sulla sua organizzazione assistenziale, che per quanto approssimativa e demandata fondamentalmente alle iniziative delle varie Confraternite, aveva tuttavia una sua efficace presenza e operosità. Ci riferiamo al caso della piccola Maria Aloisia Fortunata, trovatella recapitata anonimamente nella notte del 24 aprile 1810 presso la casa di Michele Grasso, abitante in via delli Molini, contadino ma anche custode della ruota dei projetti”

Oggi che sono li 26 del mese di Aprile del presente anno 1810, ad ore dodici, avanti di noi incaricato del Registro degli Atti dello Stato Civile, è comparso Michele Grasso, custode della Ruota de’ Projetti, di professione contadino, di anni trentasette, domiciliato a Salice strada delli Molini, ed ha presentato una bambina di sesso femminile esposta nella notte del giorno suddetto del mese di aprile suddetto anno nella Ruota de’ Projetti di questa università, (cui è stato dato il nome di) Maria Aloisia Fortunata – Esposita – (3).

Da tale notazione risulta del tutto evidente che a quei tempi, a Salice, e precisamente alla via delli Molini, esistesse una “ruota” per l’affidamento anonimo dei neonati indesiderati, e che tale servizio era stato demandato alle cure di un contadino, che è da supporre vi si dedicasse solo all’occorrenza, probabilmente coadiuvato, con più pertinenza, dalla propria consorte. Ora, il fatto che si fosse istituito un apposito servizio, non sappiamo se specificamente remunerato o affidato alla carità cristiana del Grasso, congiuntamente all’altro particolare del contemporaneo verificarsi di altri due eventi analoghi nel biennio, il Giovacchino Napoleone del 26 aprile 1809 e il Giovacchino Napoleone Esposito del 25 febbraio 1810 (entrambi trovati vicino alla porta della casa di Cosimo Tramacere, in via delli Grassi), lascia supporre che a quei tempi fosse piuttosto diffuso a Salice il fenomeno dell’abbandono dei neonati, anzi fosse una sorta di piaga sociale, alla quale l’Università aveva ritenuto di dover porre un qualche rimedio con l’istituzione del servizio della “ruota”. Per quali motivi? Rilassatezza dei costumi? Retaggio del libertinaggio illuministico di fine ‘700? Non ci pare proprio. Piuttosto il riferimento causale va fatto alla situazione di estrema miseria in cui versava buona parte della popolazione del paese, congiuntamente alla diffusa ignoranza e incapacità di difendersi dalle angherie dei signorotti locali. Significativo, a tal proposito, è un documento custodito nel Registro dei Battesimi della nostra Parrocchia, in cui si legge che la piccola Maria Scrascia Foggetta Esposita, battezzata l’8 aprile del 1834, era stata “expositam intra palearium Francisci De Castris”, cioè esposta, abbandonata in un pagliaio, una pajara dell’avvocato e proprietario terriero Francesco De Castris. Per quale motivo la piccola viene abbandonata proprio in quella pagliara e non nella più convenevole ruota dei proietti? Era forse quel gesto un’indicazione precisa di paternità voluta dai parenti della madre, e quindi un implicito invito ad una qualche forma di assunzione di responsabilità? Se i segni hanno un valore, essi lo avevano anche per la Salice di quei tempi difficili, i cui cittadini non avevano bisogno della semiologia come scienza di indiscussa affidabilità per lanciare un messaggio di intuibile interpretazione. E così, quel grido disperato di impotente protesta è giunto fino a noi. Ma non senza la complicità, gesuiticamente simulata di compassato burocratismo ma sottilmente compiaciuta, del parroco dell’epoca, l’arciprete don Diego Gravili, il quale avrebbe potuto tranquillamente limitarsi a scrivere che la neonata era stata trovata in campagna, oppure in una pagliara qualsiasi, “intra quoddam palearium”, e invece ha voluto trasmetterci, con malcelata solidarietà verso le vittime, che essa era stata trovata proprio in “quella” pagliara.

Ecco di seguito alcuni degli atti registrati nell’Indice dei Battezzati della Parrocchia:

3 dicembre 1611 – Eligia “gettatella” fu battezzata da Don Angelo De Nisi. Fu padrino Donato Buttigliero, presenti Francesco Margarito, Cap. Pietro Tafuro ed altri.

10 ottobre 1661
 – Barbara infans exposita in quodam Sacellum nuncupatus dello Marsidonio, reperta sine signo baptismi. Baptizata fuit a Rev.do U.J.D. Giov. Bernardino Bortone Arcip.us, sub conditione. Patrino fuit Antonio Grasso.

Bambina esposta in quella Cappella nominata del Marsidonio senza alcun segno di battesimo. Fu battezzata dal Rev.do U.J.D. Giovanni Bernardino Bortone.

23 ottobre 1723
 – Senza cognome Fortunata trovata esposta, alle ore una di notte, nel camino della fornace per cuocere imbrici per le case, nel Vicinato detto Li Grassi, Battezzata da Don Antonio Civino, sostituto del Parroco. I padrini furono Oronzo Valente e Teresa Santoro, ostetrica approvata, tenuta e consegnata dal Sindaco, maestro Nicola Roppo.

14 luglio 1785 – Il Rev.do Don Angelo Tafuro, Sostituto parrocchiale, ha battezzato, sub conditione, un bambino nato la precedente notte e, verosimilmente, ritenuto esposto nel luogo detto L’Aira della Fontana e trovato da Vincenzo Corigliano a cui fu imposto il nome di Fortunato Maria. I padrini furono Angelo Colletta ed Elisabetta Iazzi. Fedele Arc. Rosato.

29 gennaio 1817 – Il Rev.do Don Giovanni Saina, per mia licenza, ha battezzato sub conditione, una bambina esposta e trovata la notte precedente davanti alla casa di Luigi Palazzo come, apparentemente, sembrava essere nata il giorno precedente, alla quale fu imposto il nome di Maria Carolina. I padrini furono Raffaele Cordella e Gaetana Ligori. Fedele Arciprete Rosato. La bambina, viene presentata alle Autorità Civili da Maria Angiolillo, moglie del Palazzo, dimorante sulla Strada Dei Ficoli, la quale dichiara: Alle ore 3, dopo essere stata picchiata la di lei porta, ho inteso un vagito di bambino, al che, avendo aperto la detta porta, ho trovato una bambina, tale e quale si presentava, avvolta in laceri cenci, della età apparente di 6 giorni. La Deputazione dei Proietti le da anche il cognome Andreucci. Serafino Capocelli Sindaco.

La neonata, accudita dalla nutrice Maria D’Attis, in casa sua muore a soli 4 mesi e mezzo, il 12 giugno dello stesso anno.

29 ottobre 1826 – Fu esposto un bambino, fuori, vicino al Venerabile Convento dei [Frati Minori] Riformati e trovato da Padre Giuseppe da Taranto. Da quanto dichiarato, alle Autorità, da Gaetano Martina, abitante nel Convento, era stato trovato appeso, in un involucro, alla corda del campanello che suona all’interno. Fu battezzato sub conditione, da Vita Faggiano, ostetrica approvata, in casa sua, nato, secondo il suo parere, il giorno precedente ed al quale fu imposto il nome di Francesco Maria. Lo stesso giorno fu portato in Chiesa dal sacerdote Don Giovanni Saina e, per mia licenza ha completato il Rito del Battesimo. I padrini furono Cosimo Martina e Lucia Simone. Io, Don Raffaele Gravili – Cantore – Economo Curato. Diego Bruno Sindaco.

2 marzo 1829 – Don Diego Gravili, sostituto, ha battezzato un bambino nato la notte precedente da genitori sconosciuti e trovato da Gaetano Politi nel territorio di questa Terra in uno sportello (sporta di piccole dimensioni, ndr) appeso ad un albero presso la Cappella detta La Cona dell’Aglio, sulla via di Veglie. Presentato all’Ufficiale dello Stato Civile, gli fu imposto il nome di Francesco De Rosa. I padrini furono Pasquale Iazzi e Vita Faggiano. Giuseppe Arciprete Colelli. Diego Bruno Sindaco.

Il bambino, morirà ad 1 anno e 3 mesi di età, il 19 luglio del 1830 in casa della sua nutrice.

14 gennaio 1853 – Io sottoscritto, Economo Curato della Chiesa parrocchiale della Terra di Salice, ho battezzato, sub conditione, una bambina che Nicola Carulli, presentandosi alle Autorità, dichiara di aver trovato verso le ore 14, sulla strada che da Salice va a Veglie, avvolta in un vantisino (grembiule, ndr) piuttosto vecchio e rigato di rosso e turchino ed un altro panno di lana e cotone anche vecchio, rigato nero e turchino e coricata sotto un albero di fico dietro [ ? ] di proprietà di “Don” Serafino De Castris e di fresco nata. Le viene imposto il nome di Maria Consiglia Filomena. I padrini furono Salvatore Dell’Onze e Raffaella Capoccello. Pietro Maria Gravili Economo Curato. Germano Scardia Sindaco.

Con sufficiente certezza si può asserire che la bambina verrà adottata, da subito, dal suo rinvenitore che le darà il suo cognome Carulli.

7 marzo 1853 – Io sottoscritto, Economo Curato della Chiesa parrocchiale della Terra di Salice, ho battezzato, sub conditione, un bambino esposto e trovato lo stesso giorno da Francesca D’Attis, alle ore 9, dichiarando al Pubblico Ufficiale, che il suo piccolo figlio, Pasquale Gravili, di anni 7, ha trovato, sotto un piccolo ponte, vicino a questo abitato della strada che da Salice porta a Campi, propriamente al Luogo detto Il Crocifisso, un bambino avvolto in un avanti seno (corpetto di panno esterno, ndr), vecchio di color turchino rigato bianco ed in un faccioletto di percalla bianco usato ed una vecchia fascia bianca rigata rossa. Viene imposto il nome di Fortunato Margiotta. I padrini furono “Don” Fortunato Margiotta e Giuseppa Degli Atti. Pietro Maria Economo Curato. Germano Scardia Sindaco.

Il bambino, come si evince, fu adottato dal padrino che gli dà il suo nome e cognome.

12 gennaio 1861 – Io sottoscritto ho battezzato, sub conditione, una bambina trovata la precedente notte in habitaculo “Ruota” di questa Terra e presentata al Sindaco Gioele Baldassarre da Angela Corigliano. Le fu imposto il nome di Giuseppa Garibaldi. La madrina fu Vincenza De Maggio. Pietro M. Arciprete U.J.D. Gioele Baldassarre Sindaco.

18 (21) giugno 1863 – Io sottoscritto ho battezzato, sub conditione, un bambino esposto, rinvenuto e presentato alle Autorità da “Don” Donato Valente, farmacista, al quale è dato il nome di Luigi Nullo. Madrina fu Rosa Perrone. Pietro M. Arc. Gravili U.J.D. Filippo Capocelli Sindaco. Nel 1886 sposerà Elena Nestola di Leverano.

12 ottobre 1897 – Davanti a me, Vincenzo Briganti Sindaco, è comparso Capoccello Vito dichiarando che alle ore 23 della scorsa notte ha sentito presso la porta di casa sua, sita in Via Piazza, dei vagiti ed immaginando quel che poteva essere, ha trovato un bambino avvolto in pochi panni senza contrassegno alcuno. Ho dichiarato al dichiarante di farlo allevare fino alla definitiva consegna ad una balia ed ho imposto il nome di Francesco Parisi. Il 30 ottobre l’Arciprete Curato Santo Presicce lo battezza. I padrini furono Pantaleone Colletta, sacrestano ed Assunta Bove, ostetrica.

Il bambino crescerà ed alla età di 20 anni partirà in guerra, verso il fronte, e verrà arruolato nel 4° reggimento Bersaglieri. Morirà, colpito da pallottola di mitragliatrice sul Monte Semmer, il 19 ottobre del 1917. Sfortunato giovane in vita ed in morte: abbandonato dai genitori, non riceverà la S. Cresima, non viene iscritto dall’Arciprete Gravili nel suo elenco dei caduti, e dimenticato dalle Istituzioni Civiche in quanto il suo nome non compare sulle lapidi marmoree del nostro Monumento eretto ai Caduti.

24 ottobre 1898
 – Davanti a me Brunetti Michele Sindaco ed Uff. di Stato Civile, è comparso Cicala Luigi dichiarando che stamane, alle ore 2, svegliato da un forte picchio alla porta di casa sua sita in Via Campi, si è alzato ed ha trovato una bambina sulla soglia avvolta in pochi panni. È imposto il nome di Cristina Tavassi. È comparsa altresì Imperiale Giuseppa col marito Maci Giuseppe, domiciliati a Guagnano, i quali mi hanno chiesto di voler prendere ed allevare la bambina come propria figlia e, non trovando nulla in contrario, ho accettato. La bambina è iscritta nell’elenco dei Battezzati della Parrocchia di Guagnano ed è stata battezzata il 23 novembre dello stesso anno. Il parroco fu Don Filippo Scozzi, i padrini Carolina Tarentini e Cosimo Leone.

Da notare che i coniugi Maci, lungo il cammino, dimenticano il cognome che era stato dato, per la qual cosa il Parroco, sul libro dei battezzati la iscrive Cristina di Salice.

Quanto riportato è frutto di una paziente, laboriosa ed appassionata ricerca. Quella passione che mi ha coinvolto intimamente sino a rivivere, assieme a quelle madri, il dramma di ciascuna di loro, e provare compassione per la sorte anche dei bambini. Drammatico è l’epilogo della sfortunata Maria Elisabetta Saletta che all’inizio del fiorire della sua vita, colpita dalla epidemia del colera, viene abbandonata dai dottori e dalla Santa Madre Chiesa. Morirà languendo, consumata dal male, senza nessun aiuto né conforto!

L’intento di questo lavoro, è quello di mettere in luce e presentare al lettore, non solo il fenomeno dell’abbandono di neonati, come il meno nobile della nostra società, ma anche quello dell’accoglienza virtuosa di Salice tutta, quasi a voler sopperire e porre rimedio ad una grave manchevolezza!

Era comunque inevitabile incontrare, percorrendo il corso degli anni, persone e nomi che, essendo sopravvissuti al fenomeno della mortalità infantile, da grandi hanno formato la propria famiglia i cui discendenti sono nostri conoscenti ed amici. Se involontariamente ho toccato la sensibilità di qualcuno, chiedo scusa.

Ciccio Innocente


Nella foto: Neonato abbandonato (fotomontaggio di Saverio Iacoi).

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(1) Da testimonianze verbali recepite da alcuni anziani, la “Cona dell’Aglio” pare fosse ubicata sulla strada per la Crocicchia, attuale via Gastone Valente, esattamente, dopo l’incrocio con via Filippa Marangi, ad un centinaio di metri sulla sinistra. All’epoca tutta la zona era aperta campagna, in quanto, già da via Convento, iniziava la grande zona paludosa di Giammatteo che si estendeva fino a via Mancini, attuale via Cairoli. Percorrendo quella stradina, sterrata e fangosa d’inverno, che portava a Veglie, la gente si recava in campagna verso le terre neure e feconde di Troppere.
(2) “Questo è tuo figlio!”.
(3) ANTONIO SCANDONE, Salice ai tempi del Murat, Tipografia Minigraf, Campi Salentina 1997, pagg. 126-127.