Arte contemporanea - 06 Ago 2023

“Scritti in controluce” di Massimiliano Cesari: “Libro limpido, costruito come un mosaico”

Recensione di Salvatore Spedicato, scultore, già direttore dell’Accademia di Belle Arti di Lecce


Spazio Aperto Salento

Chi abbia in po’ di dimestichezza con la situazione dell’arte contemporanea e con la critica d’arte, e sente parlare di un libro che raccoglie articoli sull’argomento può tendere facilmente ad arricciare il naso. Per più ragioni: perché di critica vera generalmente non si avverte più l’odore, sostituita per lo più da semplici “descrizioni”; perché ormai c’è troppa confusione oggettiva; perché dominano galleristi e mercanti non sempre raccomandabili. Non è poi casuale che direttori di musei e pinacoteche, commissari di grandi mostre internazionali vengano cercati non più tra storici, studiosi con salda formazione storico-artistica e dotati di “occhio critico”, ma tra chi possiede spiccata abilità dal punto di vista organizzativo-manageriale. E non parliamo poi di “curatori” collusi e di impresari disinvolti.

E pensare che già mezzo secolo addietro Rudolf Wittkower, nella premessa a un suo libro (La Scultura, Einaudi) scriveva: “Debbo confessare che malgrado decenni di esercizio nella lettura della prosa degli storici dell’arte, non sono spesso riuscito a leggere fino in fondo un libro sull’arte moderna”. La risposta indiretta, concisa e attendibile, alla riluttanza del citato studioso, l’ha data Hans Sedlmayr, considerato fondatore dello strutturalismo in storia dell’arte, che ha scritto: “la grande menzogna è che viene nuovamente dato, commentato, criticato e venduto come arte ciò che non voleva più essere arte” (In Arte e verità, Rusconi, 1984). Ed allora? L’arte è finita, la critica scomparsa? Macché. “L’arte vive ancora in spazi riservati”, aggiunge Sedlmayr, e la critica esiste ancora. Arte e critica bisogna dunque cercarle.

Ecco intanto un recente libro del salentino Massimiliano Cesari: Scritti in controluce. Percorsi di arte contemporanea (2008-2018), Musicaos Editore. Libro limpido e costruito come un mosaico, tessera dopo tessera, parola dopo parola, capace di misurarsi con la specificità delle opere degli artisti incontrati nei loro ateliers, scoprendo le loro idee e aprendo le porte all’interpretazione e non alla semplice informazione, senza indugiare a generiche astrazioni concettuali. Un’esperienza dunque nata e cresciuta sul campo.

Nelle dense pagine introduttive, che sono la spina dorsale del libro, l’autore dà conto innanzitutto dell’origine degli scritti e del suo esordio di critico militante, che attualmente scrive per il Giornale dell’Arte. Fu chiamato nel 2008 da Lucio Galante, col quale si era laureato in Conservazione dei Beni culturali, a collaborare per i testi del catalogo di quella che fu l’annuale, longeva rassegna d’arte sacra contemporanea, Pro Arte Pro Deo, in Monteroni, voluta dal solerte arciprete e giornalista Adolfo Putignano.

Oltre alle testimonianze scritte per quel catalogo e per circa dieci annualità, ne leggiamo altre, tra cui quella intimamente legata alla vita dell’Autore e che riguarda la pittura del padre, Nicola. Va detto in proposito che l’affetto filiale non ha fatto velo. Segue il testo scritto per il catalogo del progetto espositivo Praesepe, che prese corpo nella mostra al Palazzo marchesale Bernardini di Arnesano con gli artisti Mariano, Musarò, Sava, Spedicato, Tubia. Chiude il libro la relazione per un convegno svoltosi a Copertino nel 2017, riguardante la rappresentazione e l’impiego del corpo umano nella storia dell’arte, da Leonardo da Vinci fino alle forme estreme della Body Art (“L’arte del corpo”), con gli artisti che usano il proprio corpo direttamente come “materia espressiva”.

Tornando alle pagine introduttive, vanno rimarcate le incursioni, arricchite dal corredo di postille e note puntuali, forse anche puntigliose, sulla Babele contemporanea. Ci s’imbatte in un cahiers de doléances che riguarda una realtà complessa e travagliata nel cui labirinto non compare il filo che guidi verso l’uscita. Tra gli altri viene opportunamente citato Gillo Dorfles che ci ricorda come oggi si viva “un presente eterno, che scorre senza stratificarsi, senza creare memoria”.

Cesari, docente di storia dell’arte, ci ricorda dei “tempi lunghi che richiede l’educazione alla cultura storico-artistica”, del compito culturale, educativo e anche civico a cui non assolvono generalmente molti musei e pinacoteche, citandone alcuni del nostro territorio salentino, che sono stati aperti e presto chiusi dopo il rituale taglio del nastro del politico di turno. Si salvano, fra gli altri, il Museo “Castromediano”, il Must, la Collezione d’arte contemporanea dell’Università del Salento, promossa nel 1997 da Lucio Galante e avallata dal compianto Gino Rizzo, preside della Facoltà di Beni culturali. Collezione oggi curata da Massimo Guastella, successore di Galante all’Università.

Nel libro insomma si appalesa la predilezione per un lavoro paziente che dimentica i tempismi e che rifiuta le categorie dell’irresponsabile (casualità, effimero), puntando su gesti affermativi e di fede in un imperativo estetico che è anche un atto morale. Non sono, questi di Cesari, scritti di routine, esercitazioni di astrazione concettuale, ma onesto e diretto confronto con la realtà delle arti visive e connessi problemi.

Vale la pena infine ricordare almeno alcuni tra gli artisti con cui Cesari ha interagito. Nicola Cesari, un colorista d’istinto, si direbbe a prima vista. Si tratta per lo più di paesaggi del Sud, paesaggi dell’anima assai calibrati. Il brindisino Giuseppe Ciracì guarda ai grandi maestri del Rinascimento, Leonardo in particolare, e ci restituisce, attualizzandola, una significativa visione figurativa. Cosimo Epicoco, con simbolici volti femminili immersi nella rossa, piatta e dilatata stesura coloristica. Marco Mariano evidenzia inflessibile razionalità progettuale e “costruttivista” in dimensioni monumentali che troneggiano nello spazio, coinvolgendolo e coinvolgendoci. Pantaleo Musarò, fotografo e pittore di particolare sensibilità “concettuale” e formale. Salvatore Sava è attento elaboratore di tecniche e materiali mediante i quali dà forma ed espressione adeguate alle sue opere, tali da potersi considerare “quasi un canto alla terra devastata” da tanti veleni. La veneta Chiara Tubia, che propone una ricerca visiva articolandola con “eclettico linguaggio figurativo”. Ha presentato una composizione di circa trenta calchi del proprio volto.

                                                                                     Salvatore Spedicato
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Particolare di un’opera di Nicola Cesari

Un’opera di Marco Mariano

Un’opera di Savatore Sava