Arte contemporanea - 27 Apr 2021

Studi d’artista al tempo del covid-19, intervista a Salvatore Spedicato

Nuovo appuntamento del ciclo di interviste ad artisti salentini


Spazio Aperto Salento

È ormai passato un anno dall’inizio della pandemia e la vita di tutti è profondamente mutata: i tempi e gli spazi quotidiani si sono modificati, con uno spostamento di gran parte delle nostre attività nella dimensione digitale. Gli spostamenti sono bloccati, in una condizione di isolamento e contestuale iperconnessione e l’arte è fruibile solo attraverso gli schermi dei nostri computer.

Per chi lavora con la materialità, abituato alla manualità e in relazione con gli altri, questo cambiamento ha inciso in qualche modo? Un affacciarsi virtuale negli studi degli artisti operanti nel territorio salentino per conoscere le loro sensazioni e i progetti in corso.

Protagonista del nuovo appuntamento del ciclo di interviste è Salvatore Spedicato (Arnesano, 1939). L’attività di Spedicato prende avvio nel 1957, rivolta sin da subito alla scultura. L’artista è un attento conoscitore delle tecniche scultoree e sin dal 1960 partecipa a mostre di rilievo nazionale. Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta guarda con interesse alle «problematiche avanguardiste», per poi tornare alla figurazione, fino a spaziare e muoversi con maestria nella produzione plastica, a cui tutt’oggi si dedica.

Sin dagli anni Sessanta ha lavorato su opere plastiche, nel 1971 ha cominciato ad insegnare scultura e dal 1979, sino al 1993, è stato direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Lecce. Quanto è importante la formazione accademica nel percorso di un artista?

Una risposta che continua a far riflettere è data dal cosiddetto “sistema dell’arte” e dal successo di artisti carenti di formazione accademica. Certo, si tratta soprattutto di artisti che operano sul versante di poetiche “informali” e di “comportamento” che pongono “l’arte ad un livello pre-linguistico e pre-tecnico”. La didattica dell’arte invece prevedeva la “guida di un maestro” (legge del 1923), quindi l’insegnamento di un mestiere (ministerium), cioè regole inderogabili. Oggi la situazione è un po’ ingarbugliata.

In una sua intervista, raccontando del periodo che – giovanissimo – ha trascorso in Francia per decidere poi di tornare in Puglia, ha riportato queste parole: «partire è un diritto, restare un dovere». Che ruolo può svolgere un artista nel contesto territoriale in cui opera?

Risposi ad Argan, all’inizio degli anni Settanta, che non intendevo trasferirmi, pur consapevole della sofferenza che già subiva, in termini di affermazione, la mia attività artistica. Prevalse la volontà di continuare a rendermi utile nel mio Salento: con la produzione artistica, l’insegnamento – già iniziato nel 1960 – i lunghi anni di direzione (avevo un’idea di accademia, che poi ho cercato di mettere in pratica per rifondarla), con gli scritti d’arte – sin dal 1963 – le conferenze eccetera. Forse non molti si sono accorti della mia alacre e costante operosità.

Il MUST riaprirà al pubblico con un nuovo allestimento. Tra le opere esposte, già nella precedente conformazione, la sua Ferro Rosso (1973) appartenente ad un periodo di indagini rivolte all’astrazione e alla ripetizione modulare. Di poco precedente l’opera Rosso e nero (1972), conservata nella Collezione d’Arte Contemporanea (CdAC) dell’Università del Salento. In queste sculture la foglia d’ulivo, stilizzata, diventa simbolo del territorio salentino. La loro presenza, e dunque musealizzazione, in esposizioni del territorio ne attesta un riconoscimento particolare. Quale valenza attribuisce ancora oggi al lavoro di ricerca di quegli anni?

La massima valenza. Ero convinto dell’urgenza di andare “oltre l’informale”. Pertanto veniva autorevolmente teorizzata un’operatività basata sulla razionalità della metodologia progettuale al fine di un processo formativo che sviluppasse nella società, attraverso l’educazione estetica, le intenzionalità e le attività costruttive. Non a caso la mia citata opera “Ferro rosso” è stata proposta a modello nel corso di una sperimentazione laboratoriale per alunni di scuola primaria e secondaria guidati a realizzare in cartoncino una micro scultura con figure geometriche componibili.

Negli anni Ottanta è tornato alla figurazione, scegliendo sempre tecniche e materiali diversi e soggetti sia profani sia sacri, per poi in tempi più recenti arrivare a quello che la critica ha definito “plurilinguismo”. Penso ad esempio al Presepe in terracotta patinata (1988), o a Neofita (1998-2009) in resine sintetiche e marmo, o a Vittoria messapica (2010) in bronzo. Come si è articolata e ancora si articola la sua ricerca artistica?

Alla base delle mie scelte c’è la considerazione di problemi culturali cogenti. Già negli anni Ottanta si argomentava sulla “fine della modernità”. Scaduta la logica del “solo il nuovo è bello”, non restava che puntare su operazioni di recupero guardando al Museo (Citazionismo) e personalmente anche al mio stesso passato, come ho scritto nella monografia del 1982. Nel mio lavoro convivono classicità e sperimentalismo.

Malgrado le restrizioni dell’ultimo anno, nei mesi scorsi ha realizzato quattordici formelle in terracotta raffiguranti la Via Crucis, per la città di Castronuovo Sant’Andrea, in Basilicata, su invito di Giuseppe Appella. Come ha costruito e sviluppato questo lavoro, che lega l’arte contemporanea al rito cristiano?

Sono rimasto fedele alla indicazione dei “Documenti del Concilio Vaticano II” (“affrancare l’opera da gusti effimeri e da espressioni strane e sconvenienti”) e all’idea che siffatte opere devono essere di facile lettura, come un manifesto, un buon articolo di giornale. La Via Crucis di Castronuovo deriva da quella che ho realizzato nel 2008 per la chiesa di Santa Lucia in Lecce.

In questi mesi si sta dedicando ad un progetto in particolare?

Ho tanto da fare: mettere ordine nelle mie carte, preparare qualche pubblicazione, sistemare alcune opere, eccetera. Il presente per me ha perso molte delle sue attrattive, pur senza scontrosamente chiudermi, cerco di ritirarmi nel cosmo trovando quiete nel ritmo, nell’armonia, nella bellezza che ancora esistono.

Rosanna Carrieri

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Foto in alto: S. Spedicato, Alberi radar, 1971, Pinacoteca comunale di arte contemporanea “Pietro Volpe”, Sessa Cilento.

 

S. Spedicato, Rosso e nero, 1972, ferro, 183x48x33, Collezione Arte Contemporanea, Unisalento

S. Spedicato, Radar, 1973, ferro policromo, 61x42x18, già Collezione MAP, Brindisi

S. Spedicato firma la scultura Stella, 1999, Villa comunale di Ruffano

S. Spedicato, Ulivo sfregiato dalla Xylella, 2019

S. Spedicato, Via Crucis (formella VI), 2021, terracotta, 40×40

Salvatore Spedicato