Arte Contemporanea - 17 Giu 2021

Studi d’artista al tempo del Covid-19, intervista a Teresa Vella

Nuovo appuntamento del ciclo di interviste ad artisti salentini a cura di Rosanna Carrieri


Spazio Aperto Salento

Le graduali riaperture degli ultimi mesi hanno consentito di tornare ad attraversare le città e a visitare mostre e musei. Stiamo ricominciando ad occupare spazi fisici e a fruire dell’arte dal vivo, non più solo attraverso gli schermi; ma rimane ancora necessario confrontarsi con l’eredità del periodo vissuto.

Per chi lavora con la materialità, abituato alla manualità e in relazione con gli altri, questo cambiamento ha inciso in qualche modo? Un affacciarsi virtuale negli studi delle artiste operanti nel territorio salentino per conoscere le loro sensazioni e i progetti in corso. 

Teresa Vella, nata nel 1959 a Maglie. Artista, designer, organizzatrice di mostre è attiva dalla metà degli anni Ottanta. Lavora ricorrendo a diversi materiali, tra i quali il prediletto è il vetro.

Dopo il diploma all’Istituto d’Arte di Poggiardo, si laurea al DAMS di Bologna in Industrial Design e comincia la sua carriera proiettata verso la città di Milano: tra le prime mostre Muschio Verde (1987, già a Maglie nel 1986) e Forme Inattese (1988).

Quanto sono stati importanti gli studi bolognesi – volti all’approfondimento della storia delle arti visive e quindi teorici – per la definizione del suo percorso artistico?

Prima di diplomarmi all’Istituto d’Arte, dove ho appreso le basi del lavoro artistico, ho fatto un’esperienza di sei mesi nell’ambito della scenografia. Mi sono iscritta al DAMS per studiare Comunicazione dello Spettacolo; è stato al secondo anno che ho deciso di specializzarmi in disegno industriale. Studiare a Bologna mi ha dato l’opportunità di incontrare docenti del calibro di Giovanni Anceschi, Attilio Marcolli – con i quali mi sono laureata – e ancora, Tomas Maldonado, Umberto Eco. Ho sempre avuto l’ambizione di lavorare nel settore del design e dell’arte, e non potevo che scegliere di trasferirmi a Milano dopo la laurea: era un momento vivissimo, era il centro del design, della comunicazione e dell’arte. Qui ho anche frequentato lo studio di Bruno Munari. A Milano ho avuto l’opportunità di lavorare nel campo pubblicitario, collaborando con un gruppo di liberi professionisti, di lunga esperienza tecnica e artistica. Questo mi ha consentito di conoscere e frequentare diverse discipline e soprattutto di lavorare in equipe. Lavoravo come consulente creativa per note aziende, e contemporaneamente continuavo nella mia attività artistica, realizzando le mie prime personali.

Nel 2016 con la mostra Io e Francesca, 30 anni a colloquio nell’arte 1986-2016 torna a Maglie, nella Galleria Francesca Capece, lo stesso spazio espositivo in cui si è svolta la sua prima personale, come il titolo rievoca. Negli ormai trentacinque anni di carriera da artista, il legame con il suo territorio d’origine ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi un aspetto fondante nella sua produzione?

Per anni sono stata fisicamente lontana dalla mia terra d’origine, ma non ho mai rotto il mio legame sentimentale con il territorio e con i miei amici artisti, alcuni discepoli o collaboratori di mio nonno, come Nicola Cesari.
Nel centro storico di Maglie ho acquistato uno spazio per fare uno Studio, aperto inizialmente con le mie prime esposizioni in vetro. Successivamente è divenuta anche la mia abitazione. Da un po’ di anni ho fatto una scelta radicale e ho deciso di dedicarmi solo al mio percorso artistico. è impossibile non tenere conto delle mie radici, ma le esperienze milanesi ed europee – specialmente nelle fiere – sono state determinanti. Per me, infatti, sono fondamentali le vicende che si susseguono nel corso della vita. Avevo un’idea mondiale, totale delle cose e dell’essere, l’attività lavorativa mi rendeva felice perché mi consentiva di vivere come desideravo.

Il suo primo approccio – ancora bambina – con i materiali e le tecniche artistiche è stato con il legno, grazie a quanto ha potuto apprendere a stretto contatto con suo nonno, Giuseppe Vella. Si è poi dedicata alla grafica, fino a scoprire negli anni Novanta un interesse particolare per il vetro, che non ha esaurito la sua curiosità di sperimentazione. Cito, tra i suoi lavori, Fame nel mondo-Sospiri di vita (2015), un’installazione di un tappeto di stoffe colorate, su cui è posizionata della pasta, affiancato da un contenitore colmo d’acqua e ampolle di vetro sospese in alto, o ancora, Cubolibro-Badessa Suor Chiara – 1772 (2016), in cui al vetro si uniscono la carta ed elementi grafici, ripresi dal Libro mastro delle Clarisse del Monastero di Sant’Orsola di Milano. L’accostamento di un materiale fragile come il vetro ad altri elementi più resistenti rappresenta la sua cifra stilistica. Quali sono le ragioni di queste scelte?

Il mio approccio con il vetro è stato casuale: entrata nella fornace a Serenella di Murano, ne sono rimasta così affascinata che per oltre dieci anni ci sono andata ogni volta che ho potuto. Lì ho conosciuto il maestro di fama internazionale Mario Dei Rossi che mi ha insegnato a soffiare il vetro. Il vetro è difficile nella lavorazione, ma non è un materiale fragile come si crede; basti pensare al legno che si deforma, alla stoffa che si consuma, alla carta che si sgrana e si ingiallisce. Per il vetro occorre delicatezza durante la lavorazione e attenzione nel raffreddamento nei forni ad abbassamento graduale. Ogni pezzo artigianale – e quindi unico – ha un suo punto di fragilità, che non è prevedibile, come invece è in quello industriale. Nella realizzazione di stand fieristici ho utilizzato elementi in vetro fuso artigianalmente e artisticamente con elementi di grafica e disegni. Per le mie mostre ho inserito la poesia sottovetro, e proprio in quelle occasioni è più fragile la carta. Per quanto riguarda mio nonno, è stata una figura fondamentale per me: avevo 4-5 anni ed ero affascinata dal suo lavoro e dalla sua persona; sono cresciuta in mezzo alle sgorbie, al legno, alla creta e ricordo ancora l’odore e il sapore della creta che mettevo in bocca per percepirne la consistenza. Sono le esperienze di vita che modellano lo stile.

Il 27 giugno prenderà parte all’ultimo incontro in programma della rassegna “Identità salentine. Il paesaggio tra natura e coltura”, presso la Masseria “S. Angelo” a Corigliano d’Otranto. Per l’occasione presenterà un’installazione artistica, qualche anticipazione a riguardo?

Si tratta di un’opportunità per esprimere il mio pensiero riguardo la trasformazione drammatica del nostro territorio e il mio amore per la natura e l’aria aperta, di cui non ho potuto godere negli anni milanesi.
Un tempo fotografavo gli ulivi rigogliosi e fioriti, oggi fotografo disastri, alberi secchi, tronchi che sembrano sculture in un deserto. Il paesaggio era per me un punto di riferimento, oggi non più, le modifiche che ha subito mi creano un senso di smarrimento. Nonostante tutto, sono convinta che occorra guardare avanti con ottimismo. Alcuni giovani imprenditori sono già all’opera, chi per il risanamento, chi per la trasformazione e per creare qualcosa di nuovo. Bisogna ricostruire in maniera ecosostenibile, nella consapevolezza del noi, dell’umano. Va creata una memoria non solo individuale, ma soprattutto collettiva.

La sua attività artistica ha risentito delle limitazioni dell’ultimo anno, sia in termini espositivi sia di produzione?

Avevo programmato una mostra personale per maggio 2020 con un importante sponsor nel Salento, è stata rinviata con un grande interrogativo. Durante il lockdown non è stato possibile continuare nelle mie attività, considerando che più volte mi sono occupata di realizzare installazioni, con l’ausilio di altri operatori. Ma non mi sono bloccata: dopo una prima fase di stordimento, ho continuato a studiare, a progettare, a fotografare e a pensare positivo. Dobbiamo ripartire e se non lo facciamo noi creativi, chi può farlo?

Dall’eredità di questo periodo cosa ritiene si possa cogliere e quale sarà la prospettiva su cui lavorerà?

Purtroppo è un’eredità amara, ma bisogna avere pazienza ed essere forti per creare occasioni migliori di comunicazione diretta con gli imprenditori sensibili. Le mostre, infatti, si organizzano tenendo presente la disponibilità di associazioni e di sponsor. Occorre riattivare le reti di contatti. Per me è sempre stato così: da sola posso spostarmi e creare, ma quando voglio esporre non posso mettere da parte il rapporto con gli altri. Bisogna lavorare tutti insieme, creare spazi aperti per condividere e per ospitare la bellezza che solo l’arte sa dare.

Rosanna Carrieri
© Riproduzione riservata

Foto in alto: Teresa Vella, Cubolibro Badessa Suor Chiara – 1772, 2016, vetro e carta

 

Teresa Vella e il maestro Mario Dei Rossi nelle fornaci di Murano, 1995

Teresa Vella, Schegge d’oro, 1996, vetro

Teresa Vella, Fame nel mondo – Sospiri di vita, 2015, installazione, Palazzo ex Senato A.S.MI 2015

Io e Francesca, 30 anni a colloquio nell’arte 1986-2016, 2016, Maglie, Galleria Francesca Capece