Biennale del Salento - 06 Gen 2022

Syncronicart-5, “Punto di riferimento per l’Arte contemporanea nel territorio”

Conversazione con Raffaele Gemma, curatore della rassegna giunta alla V edizione


Spazio Aperto Salento

Si è da poco conclusa Syncronicart-5, a cura di Raffaele Gemma. La V edizione della Biennale del Salento di Arte Contemporanea è ripartita nel 2021, in occasione del suo decimo anno, in realtà undicesimo a causa dello slittamento dovuto alla pandemia. Dopo Martano e Nociglia, è stato il Comune di Cutrofiano ad ospitare la collettiva, dal 13 novembre al 19 dicembre, nelle Scuderie di Palazzo Filomarini. Come ha sottolineato il sindaco Luigi Melissano, la Città della Ceramica ha risposto con grande entusiasmo a questo evento culturale dal carattere diffuso.

Uno degli obiettivi di Syncronicart è di promuovere e valorizzare artisti legati al territorio salentino ma non unicamente connessi ad esso. Tra i partecipanti, in questa edizione 21, figurano personalità attive in contesti artistico culturali nazionali e internazionali che, con le loro opere, sostengono la qualità della rassegna. Altrettanto forte è la volontà di rinvigorire la vitalità culturale delle piccole realtà territoriali, non sempre coinvolte nel sistema dell’arte e di guidare alla riscoperta del patrimonio architettonico salentino attraverso le sedi che hanno ospitato le varie edizioni.

Nella conversazione con Raffaele Gemma emergono alcuni aspetti in una sorta di bilancio consuntivo a undici anni dagli esordi.

Le Scuderie del Palazzo Filomarini hanno accolto le opere di un numero rilevante di artisti rispetto al passato. Alcuni ritorni dalle scorse Biennali del Salento come è nelle caratteristiche di questa iniziativa: Fernando De Filippi, Stefano Giovanni Garrisi, Antonio Giaccari, Giovanni Gravante, Antonio Luceri, Maria Luce Musca, Eva Orszagh, Luca Palma, Lorenzo Polimeno, Ezio Sanapo, Marcello Toma, Andrea De Simeis e Teresa Vella. E nuovi inviti: Uccio Biondi, Giovanni Carpignano, Salvatore Masciullo, Ester Maria Negretti e Salvatore Sava.

Raffaele Gemma

In effetti sono rimasto favorevolmente colpito dal numero delle adesioni, dall’entusiasmo dei partecipanti ed anche dalle richieste ulteriori da parte di artisti che si sono proposti in fase ormai avanzata di organizzazione, addirittura per le edizioni successive. Anticipo da subito che il numero dei partecipanti è condizionato dalla capienza delle sedi prescelte, che quasi mai si rivelano adeguate ad ospitare eventi di grossa portata.

Come nel caso dei suggestivi spazi delle Scuderie di Palazzo Filomarini di Cutrofiano.

Siamo riusciti ad effettuare un piccolo miracolo in tal senso, evitando sovraffollamenti controproducenti di opere, anche perché alcuni degli artisti, mi riferisco ad Antonio Giaccari, Giovanni Carpignano e Luca Palma si sono, per così dire, sacrificati ad esporre le proprie sculture, peraltro di pregevole fattura, negli spazi esterni del cortile, con lo sfondo delle architetture del Palazzo sicuramente suggestive ed intrise di memoria storica ma ancora non restaurate. I tre artisti avevano proposto sculture metalliche, Giaccari anche una in marmo di Carrara, certamente più resistenti alle intemperie rispetto a quelle di altri, tuttavia questo ha generato delle problematiche e delle ansie di natura tecnico-organizzativa anche nel prosieguo della manifestazione espositiva. 

Tra le sue scelte non è mancato l’omaggio commemorativo ad artisti salentini recentemente scomparsi, Antonio Pede, Salvatore Carbone e Giovanni Valentini.

Avevo degli obblighi morali nei confronti di Antonio Pede, giovane artista scomparso tragicamente durante la proroga della passata edizione di Syncronicart svoltasi al Palazzo Baronale di Nociglia, il quale considerava Syncronicart un trampolino di lancio per la sua carriera. Salvatore Carbone era un artista di Cutrofiano che meritava di essere inserito sia perché molto apprezzato nella città ospitante sia perché dotato di una fortuna critica di buon livello.

Valentini è venuto a mancare nel mese di giugno; con lui ha avuto modo di confrontarsi nella fase matura della sua carriera artistica. Le sue indagini, indirizzate alla ricerca di «una dimensione dove le distanze tra passato presente e futuro vanno ad annullarsi», per utilizzare le sue parole, sembrano riprendere l’idea stessa di Syncronicart.

Per Giovanni Valentini è opportuno un discorso a parte, in quanto l’artista, classe 1939, galatinese di origine e milanese di adozione, mi aveva contattato circa diciotto mesi fa, dopo che ne avevo perso le tracce da molto tempo e dai suoi discorsi avevo colto l’esigenza di un riordino della sua opera sessantennale. Credo mi reputasse una tra le persone più adatte cui affidare questo compito, che di fatto avevo anche intrapreso strutturando le linee guida per la nascita di un archivio e iniziando a catalogare alcune serie di opere, cosa che si dimostrò da subito di grande difficoltà, trattandosi di artista estremamente complesso. Molte delle sue opere sono collegate ai rapporti arte-scienza e arte-natura. L’annullamento da parte di questo artista del concetto di tempo comunemente inteso mi interessava molto, è un “fil rouge” che collega l’intera opera di Valentini sin dagli albori, non dimentichiamo che egli fu il primo ad adottare in arte il termine Cyborg, cibernetica della natura, che spesso ha utilizzato per i titoli delle sue opere, prospettando a volte scenari avveniristici. Ad esempio, attorno al progetto IBER che racchiude tutta la sintesi del pensiero dell’artista sul superamento dei confini spazio-temporali. Mi sentivo affascinato di poter approfondire in ambito critico le ricerche di Valentini, artista che conoscevo sin dalla mia infanzia e adolescenza. Gli avevo promesso di farlo esporre in Syncronicart, avrei preferito farlo con l’artista in vita, purtroppo gli eventi sono precipitati, ma le promesse si mantengono…

Nelle prerogative di Syncronicart , la particolare concezione del tempo diviene occasione d’incontro per generazioni, messaggi e medium artistici differenti.

Le coincidenze sincroniche sono quelle che mi affascinano di più nel corso della programmazione di Syncronicart ed amo infatti introdurre nell’esposizione nuovi artisti la cui conoscenza sia avvenuta per me in maniera quasi casuale. Nell’edizione corrente è avvenuto così per esempio con Uccio Biondi. Un po’ la conoscenza si va determinando grazie alla rotazione della sede ospitante intrapresa dalle ultime due edizioni che garantisce un’interazione più diffusa con il territorio e con gli artisti operanti in quel contesto. Ma anche nell’operato di ogni artista vi è a volte qualche circostanza che si determina casualmente, come nel caso appunto di Andrea De Simeis e della sua opera “Totentanz”.

Nella performance musicale di Andrea De Simeis, l’articolata macchina musicale “Totentanz”, dal tedesco danza macabra, ha coinvolto “diversi ingranaggi”, interpreti, attori e musicisti con sconfinamenti tra il poetico e il musicale, che hanno messo in scena siparietti sulla manifestazione della morte. Un’esperienza performativa che ha definito «multidisciplinare e multimediale» e che rappresenta una delle novità introdotte in occasione del decennale di Syncronicart. 

Un carillon monumentale in legno concepito su quattro ruote per girare in tutta Europa e che dopo il suo esordio nel Salento è stato bloccato dall’emergenza Covid nella sua seconda tappa che doveva essere Trento. Io ho avuto la fortuna di inserirmi nel programma del tour con Syncronicart e l’artista mi ha gratificato con la sua disponibilità. De Simeis, che io in altre occasioni ho definito un “cantore dell’assenza”, in antitesi all’altro modello culturale, quello della “presenza”, dove si inscrive invece quasi tutta la ricerca dell’arte concettuale, secondo le teorie sviluppate negli anni settanta da Renato Barilli in un saggio edito per Bompiani che reputo sempre attuale, è perfetto per questo concetto di stravolgimento del tempo cui tu ti riferisci. De Simeis con “Totentanz” fa riferimento ad Hans Holbein il giovane, come lui incisore, che nel XV secolo aveva dato vita a tutta una produzione di cartografie sul tema della morte. L’artista salentino lo riprende oggi con un’indagine tanatologica che sviluppa sulle incisioni in carta vergata a mano, direttamente da lui e con metodo rigorosamente naturale a base di cotone, fico e canapa. Non a caso l’artista si dimostra capace di coinvolgere nella sua operazione di arte totale musicisti, letterati, danzatrici di livello internazionale. E non è un caso che io nell’occasione lo abbia paragonato in una logica di giusta contrapposizione ad un cantore questa volta della “presenza”, come Gino De Dominicis, anche lui attratto dal tema della morte, con le dovute differenze naturalmente. 

L’approccio con questa disomogeneità induce, in un primo momento, un senso di apparente disorientamento nell’osservatore che visita una mostra volutamente atematica. Fil rouge delle cinque edizioni è il pensiero bergsoniano che analizza la realtà in una maniera più fluida, che non coincide con il tempo oggettivo. Henri Bergson definisce un tempo continuo, indivisibile. Le edizioni di Syncronicart, sebbene scandite nel tempo, non sono da leggere come singoli spezzoni, «non come fotogrammi di una pellicola, ma come una singola rassegna in continua trasformazione», ha spiegato nel catalogo della mostra. Auspicando una crescita ulteriore, augurandoci che la Biennale del Salento di Arte Contemporanea possa divenire un appuntamento culturale robusto all’interno del territorio salentino, ed oltre, si potrebbe ipotizzare, come suggerito da Massimo Guastella, l’inserimento di una tematica pur non snaturando il concetto di tempo sincronico? Ne “L’inverno della cultura” Jean Clair ha scritto «L’arte contemporanea è il racconto di un naufragio e di una scomparsa», la presenza di un tema comune – nella disomogeneità dei medium e degli artisti – dimostrerebbe che l’arte contemporanea ha ancora qualcosa da dire?

L’arte ha sempre qualcosa da dire perché è lo specchio della società in cui viviamo, certamente si evolve, come si evolvono la musica e la letteratura, ed anche se a volte può sembrare frivola, bizzarra in alcune espressioni, è sempre collegata o collegabile al passato e proiettata verso il futuro. Nell’opportunità che ho avuto di potermi confrontare con altri critici ed esperti a partire da questa edizione, Massimo Guastella stesso, docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università del Salento, della cui collaborazione mi sono fregiato, ha suggerito l’ipotesi di inserire in Syncronicart un tema, senza necessariamente snaturare il motivo conduttore generale della Biennale che è rappresentato dal concetto, di Bergsoniana memoria, di superamento della percezione convenzionale del tempo. Devo riconoscere che l’idea dell’inserimento di una tematica nel percorso evolutivo di Syncronicart potrebbe rappresentare da una parte un elemento capace di contrastare il rischio di cadere in una monotonia di espressione e comunicazione artistica e al contempo un’occasione di stimolo della creatività per gli artisti. Mentre, d’altro canto, le espressioni differenti e disomogenee degli artisti, in quanto frutto di una sensibilità particolare, appaiono quasi sempre veloci e adeguate al tempo, nel senso di una contemporaneità, quando addirittura non si determinino nel senso di un’anticipazione del tempo futuro, come nel caso dell’esempio di Valentini citato prima. 

Tornando al catalogo, come da lei stesso precisato, per la quinta edizione si è avvalso del contributo critico di Massimo Guastella e del laboratorio didattico TASC (territorio, arti visive e storia dell’arte contemporanea) dell’Università del Salento. L’interessamento da parte del Dipartimento di Beni Culturali ha provato a segnare una traccia metodologica e di ricerca. Ha in programma altri progetti per consolidare questa collaborazione?

Come detto la collaborazione con l’Università del Salento, con Massimo Guastella e del laboratorio didattico TASC da lui diretto, ha costituito indubbiamente un motivo di arricchimento della Biennale. Credo che anche gli artisti coinvolti nell’edizione corrente se ne siano ben resi conto. Una delle prime cose che lo studioso ha rimarcato è quella della denominazione del sottotitolo, Biennale del Salento, suggerendo l’opportunità di una modifica in Biennale nel Salento, a ben guardare non superflua, dal momento che sarebbe volta a privilegiare una logica geo-localizzativa piuttosto che identificativa, cosa quest’ultima che rischierebbe di generare fraintendimenti di natura restrittiva e limitativa nella selezione degli artisti, che non è nelle intenzioni, dal momento che l’aspirazione è piuttosto verso un’apertura all’esterno del territorio e magari verso l’internazionalità. Oltre a questi suggerimenti cui guardare in prospettiva la collaborazione con il TASC si è concretizzata invece già nell’edizione corrente in maniera estemporanea con la revisione delle biografie dei ventuno artisti partecipanti inserite in catalogo, affidate alle dottoresse del laboratorio didattico secondo le linee metodologiche consone ad una struttura universitaria di ricerca. Dal confronto critico e metodologico è scaturito anche un’altra possibilità di evoluzione di Syncronicart: quella di considerare la costituzione futura di un comitato scientifico con diversi critici a cui affidare sezioni diverse. Un’altra idea è quella di svolgere magari la biennale in più città contemporaneamente, dal momento che sono poche le location nel territorio atte ad ospitare un numero più consistente di opere ed artisti, di custodirle in sicurezza sotto tutti i punti di vista, e di garantire d’altro canto una continuità progettuale che oggi appare condizionata dagli orientamenti politico-amministrativi del momento. Appare ovvio che un progetto di tale portata necessita di risorse economiche consistenti e di tempistiche organizzative che dovrebbero intraprendersi con largo anticipo e non negli ultimi sei mesi, come costringono invece gli obblighi burocratici attualmente vigenti a sostegno degli enti in fase organizzativa. 

Ormai storicizzata, Syncronicart, giunta alla sua quinta edizione, mostra un andamento controcorrente nell’era della mostrificazione, o più precisamente della biennalizzazione, come definita da Trione. Biennale, triennale, quadriennale, sono termini all’ordine del giorno quando si parla di arte contemporanea. Elencate a gran voce come slogan pubblicitari (il più delle volte farlocchi), troppo spesso, altro non sono che prodotti “copie e incolla” serviti in tutte le salse. Tante, forse troppe sono le manifestazioni pluriennali che sono nate negli ultimi anni, e altrettante sono quelle ridimensionate, sporadiche e perfino cassate. Non di rado la qualità viene scalzata dal vero fine: la sopravvivenza, o almeno una seconda edizione. Un destino che sembrerebbe risparmiare solo le grandi manifestazioni che godono di una vetrina non di poco conto, di importanti interessi istituzionali e con specifiche connotazioni politiche ed economiche. Dunque, l’essere giunti alla decima edizione, rappresenta un traguardo di indubbio interesse. Quali sono le sue considerazioni ora che questo decennale si è concluso?

Tra i contributi presenti in catalogo, è stata riconosciuta la storicizzazione della rassegna, dopo aver considerato come valore primario la continuità del progetto che affonda le sue radici nel 2012 con la prima edizione svoltasi al Castello Aragonese di Martano, e riconosciuto la coerenza degli intenti che lo hanno guidato alla base. Naturalmente, guardando dall’esterno, sono state anche notate delle imperfezioni che potrebbero essere modificate in itinere, come è logico che sia se si ha l’umiltà di guardare avanti senza fossilizzarsi su posizioni consolidate e apparentemente rassicuranti. Quando si esordisce in un progetto nuovo che si prefigura con le caratteristiche di una rassegna a cadenza biennale, credo sia giustificato un certo timore nel modo di proporsi, legato all’incertezza di prevedere le possibilità di una effettiva continuità nel tempo. Dopo gli entusiasmi iniziali vengono fuori le effettive difficoltà, che scaturiscono dall’interazione con le amministrazioni territoriali le quali detengono la gestione delle sedi, spesso dimore e palazzi storici, destinate ad ospitare gli eventi culturali di un certo respiro. Altre difficoltà nel cammino evolutivo della rassegna sono intrinsecamente collegate alla vita dell’ente organizzatore, in questo caso l’associazione culturale no-profit “Progetto-Artec” che ho fondato e presiedo. Trattasi di un’associazione di promozione sociale sorta per finalità culturali generali e non certamente di una Fondazione creata allo scopo specifico, che avrebbe sicuramente ben altra forza, tuttavia se essa dovesse superare la revisione dei requisiti per transitare nel RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) che è in atto, e divenire così un ETS (Ente del Terzo Settore), questo rappresenterebbe un piccolo traguardo probabilmente capace di generare dei miglioramenti a cascata del progetto iniziale di Syncronicart, facendo diventare la rassegna un vero punto di riferimento per l’arte contemporanea nel territorio che amiamo, la Puglia ed il grande Salento.

Alessia Brescia
© Riproduzione riservata 

 

Foto in alto: l’allestimento della V edizione di Syncronicart nelle Scuderie di Palazzo Filomarini di Cutrofiano

 

Un’altra immagine dell’allestimento della V edizione di Syncronicart

Alcuni momenti della performance di Andrea De Simeis