Appunti / Riflessioni - 29 Dic 2023

Un Vescovo di frontiera, monsignor Eugenio Raffaele Faggiano

Missionario passionista, guidò la Diocesi di Cariati dal 1936 al 1956. Nato a Salice Salentino il 28 gennaio 1877, si spense a Manduria il 2 maggio 1960


Spazio Aperto Salento

“La permanenza a Cariati di monsignor Faggiano – scrive il dottor Antonio Rizzuti[1] – coincide con un ventennio (1936-1956) che a livello nazionale ha conosciuto due guerre, la spedizione in Abissinia nel 1936 e la seconda guerra mondiale (1940-45), seguite (dal 1945 al 1955) da un periodo ricco di avvenimenti e di trasformazioni economiche e sociopolitiche: l’avvento dei partiti politici e delle elezioni politiche e amministrative, lo smembramento del latifondo nel vicino Marchesato Crotonese, la spartizione delle terre ai contadini, la creazione dell’Opera Valorizzazione Sila, i fatti di Melissa, il ginestrificio e la teleferica, i lavori a regia e infine la ripresa (dopo la stasi del periodo bellico e postbellico) della emigrazione (questa volta in prevalenza verso la Germania, con caratteristiche nettamente distinte rispetto al flusso migratorio precedente verso le Americhe).”[2]

In una pagina di storia così ricca di avvenimenti e trasformazioni monsignor Eugenio Raffaele Faggiano (Salice Salentino 1877 – Manduria 1960)  ha saputo incidere il suo nome. Ha camminato in punta di piedi trovandosi sempre presente, lasciando in ogni settore della sua attività pastorale una chiara impronta del suo passaggio. La Diocesi di Cariati, per lungo tempo lasciata alla deriva, aspettava di rinascere e lui non ha perso tempo. Da nocchiero esperto e lungimirante si è imbarcato coraggiosamente, orientando la diocesi a lui affidata, col suo stile di vita silenzioso e discreto ma sicuro e determinato, verso orizzonti sereni e promettenti. Ha amato la sua gente. Stanco e spesso malato, è stato più volte consigliato a chiedere il trasferimento ad una diocesi più comoda, ma lui non ha mai pensato di abbandonare Cariati.

“Ho fatto quello che ho potuto”,[3] ha scritto nella Relazione della “Visita ad Limina” del 28 Aprile 1956, l’ultima. Non immaginava che, da buon antofilo,[4] come amava chiamarsi, esperto coltivatore di fiori, nei suoi vent’anni di lavoro aveva saputo piantare e coltivare, trasformando la Diocesi di Cariati, in un giardino in cui già sbocciavano fiori di autentica sanità[5].

Cariati

Agli inizi del ventesimo secolo Cariati si presenta come “una cittadina prospera e ricca”.[6] Dispone di uffici comunali, tribunale, uffici postali, carcere, sede dei Carabinieri e presidi sanitari. Vi prosperano l’agricoltura, la pastorizia, la pesca e l’artigianato con antichi mestieri: maniscalchi, sarti, tessitrici, ricamatrici, “vucalari”[7], laboratori di falegnameria ed orologiai; vi sono scuole, asili e anche i primi indizi di rivendicazioni sindacali: “famosa la rivolta dei contadini e delle raccoglitrici di olive a difesa dei loro diritti e dell’orario di lavoro (non potendosi permettere orologi venivano raggirati dai proprietari); ottennero dall’amministrazione e dalla chiesa aiuto e solidarietà ed oltre ai tocchi dell’orologio campanario che segnava le 4.30 e le 5.30, per recarsi nei campi fu installata una sirena che squillava alle 4 ed alle 5 del pomeriggio e si sentiva ad una distanza di 15 km per segnalare la fine del lavoro”.[8]

Cariati comunque, all’inizio dell’Episcopato di monsignor Faggiano, non sembra fosse molto diversa da tanti altri paesi della Calabria, che si contraddistinguevano per una diffusa arretratezza sociale e culturale, con un elevato analfabetismo e caratterizzati dalla mancanza di servizi essenziali, soprattutto quelli idrici e igienici.[9] Riferendosi alla situazione di tutta la diocesi, nella Relazione della “Visita ad Limina” del 1941, la prima, monsignor Faggiano scriveva: “La condizione e lo stato delle scuole elementari in questa diocesi sono degni di commiserazione! Mancano edifici scolastici! I bambini vengono educati ordinariamente in ambienti sporchi, scomodi e con grande danno dell’anima e del corpo”.

Poi… la guerra, l’emigrazione, lo spopolamento. Nel 1936, anno di arrivo di monsignor Faggiano, la città di Cariati contava 4.074 abitanti,[10] con un andamento di crescita demografica negativo (-1,0%) rispetto al precedente censimento del 1931,[11] in cui la crescita progressiva della popolazione[12] aveva mostrato un incremento del +22,0% (4.117 abitanti). Cariati era sede vescovile dal 1437. Il 27 giugno 1818, con la soppressione delle diocesi di Cerenzia, Strongoli e Umbriatico e l’annessione dei loro territori, divenne una delle diocesi più estese della Calabria, arrivando a comprendere ben venti paesi.[13] Fu una delle prime diocesi in Calabria a introdurre l’istituzione del Seminario Vescovile (1593),[14] in obbedienza al decreto del Concilio di Trento (15 luglio 1563, sessione XXIII, c. 18) con cui si chiedeva la fondazione, presso tutte le chiese cattedrali, di un perpetuum seminarium, in cui il vescovo potesse “mantenere, educare religiosamente ed istruire nella disciplina ecclesiastica” i giovani che aspiravano al sacerdozio.[15]

Monsignor Faggiano

Monsignor Eugenio Raffaele Faggiano prese possesso della diocesi di Cariati il 19 maggio 1936. “Si era in piena era fascista, – scrive Franco Liguori[16] – e il Comune della cittadina ionica era governato da un podestà locale, l’agronomo, di antica famiglia patrizia, Nicola Venneri, che tanto si era adoperato per far tornare il vescovo a Cariati, dopo che la sede era rimasta vacante per 11 anni, in seguito a un tafferuglio verificatosi durante la processione del venerdì Santo 1925, in cui fu coinvolto fisicamente il vescovo Giuseppantonio Maria Caruso”.

Vi arrivò da Manduria (TA), in treno. Ad attenderlo alla stazione, in quel memorabile pomeriggio del 19 maggio, c’era tutta la popolazione, emozionata e felice di rivedere il Vescovo tornare tra le sue mura, dopo tanti anni di assenza. Mons. Gaetano Maone ricorda anche l’ora: “Alle ore 13.20 – egli scrive – il treno entra in stazione e S. E. il Vescovo Monsignor Faggiano si affaccia dallo sportellino e benedice la folla fra gli scroscianti applausi e il suono della musica”.[17] L’accoglienza fu trionfale, scrive Romano Liguori: “vide la partecipazione di tutte le autorità, non solo civili, militari e religiose, ma anche di quelle fasciste, come riferisce un dettagliato servizio della «Cronaca di Calabria» del 24 maggio 1936”.[18]

Il podestà Nicola Venneri, “uomo mite e cattolico praticante”, gli rivolse per primo il benvenuto, presentando al Vescovo, con parole semplici, squisitamente evangeliche, un popolo che aveva tanto sospirato e pregato per la sua venuta: “Ecco il mio gregge, eccellenza, lo affido a Voi buon Pastore degno figlio di San Paolo della Croce, perché possiate guidarlo e menarlo all’ubertoso pascolo della fede cristiana e possiate ricondurlo all’ovile della santa Chiesa Cattolica”.

Il Podestà non poteva pensare che il Vescovo non sapesse dei fatti che avevano causato l’abbandono della diocesi, un abbandono che pesava ancora come una scomunica. Perciò, per liberarlo da eventuali pregiudizi, si affrettò a rassicurarlo: “Questo gregge è buono, è ubbidiente, è amoroso, è affettuoso. Ho ricevuto l’incarico di fare a nome di tutti all’E. V. formale dichiarazione e promessa che la massa completa del popolo cariatese Vi amerà come un padre vero”.[19]

Non vi potevano essere parole più emozionanti. E il Vescovo mostrò di essere in sintonia con i sentimenti del Podestà: “Vengo a voi apportatore di pace, nuncius pacis… La mia cura speciale, il mio dovere continuo, i miei sforzi saranno impegnati per procurarvi questa pace!… so che mi amate… dimenticate il passato, e pensate all’avvenire… Non più tristi ricordi!…”.[20] Parole rassicuranti, presenza pacificante: l’orizzonte tornava ad essere sereno e promettente. Tra due ali di popolo osannante, musiche, canti e petali di fiori scroscianti dai balconi ornati a festa, il Vescovo salì, a cavallo, verso la Cattedrale, ove le porte si aprirono per accoglierlo.

“Trionfo e solitudine”, è il titolo con cui P. Anselmo Librandi, Passionista, biografo di monsignor Faggiano, introduce l’ultimo paragrafo del capitolo dedicato all’ingresso in diocesi del Vescovo. “A tarda sera – egli racconta – dopo aver benedetto ancora i fedeli dalla finestra dell’Episcopio, come s’inoltrò nelle stanze interne, sentì stringersi il cuore. Vide pavimenti logori, persiane sconnesse, vetri rotti alle finestre… gli uscì spontaneo un lamento: Dove sono capitato”.[21] È come se gli si fossero aperti improvvisamente gli occhi e avesse visto affiorare dallo squallore di quell’episcopio, con drammatico realismo, il volto della Diocesi che aveva sposato.

Viene spontaneo alla memoria quanto è narrato dal professore Pietro Pontieri:[22] “Già il suo predecessore Mons. Giovanni Scotti, vescovo di Cariati dal 1911 al 1918, venendo a Cariati, vedendo la catte­drale sconnessa e piena di ragnatele, aveva scritto dopo il suo ingresso, per la desolazione incontrata: “Le vandaliche asportazioni d’interi blocchi delle superbe colonne mi parlavano tacitamente degli sforzi degli altri vandali per scrollare le basi della fede…, i brandelli del trono epi­scopale e dei paludamenti del rito, mi annunziavano che sbrandellata era l’autorità del Vescovo e la dignità dei sacer­doti; le rozze tavole inchiodate alle pareti per nascondere l’as­senza di imposta, e mal proteg­genti dai venti brumali mi ri­chiama­vano alla mente le feste esteriori, che orpellavano la to­tale assenza della vita cristiana, ed erano l’unica protezione della fede dei nostri padri dalle raffiche dell’ateismo e dello scostume”.[23]

Conoscendo le abitudini di monsignor Faggiano, immaginiamo che, da buon Religioso Passionista, il mattino seguente, ancora al buio, sia sceso, solo, in cattedrale, e alle prime luci dell’alba che lentamente rischiaravano quel luogo sacro, il suo sguardo si sia fermato a quel   “Cristo morto” che, undici anni prima, era stato causa di discordia, e con Lui, quel mattino, sia iniziato un dialogo che durerà per tutti i vent’anni della sua permanenza a Cariati.[24]

Giustizia e pace

Quando, il 21 gennaio 1936, ricevette la conferma della sua nomina a Vescovo di Cariati, P. Eugenio Faggiano, allora Maestro dei Novizi, non fece alcuna fatica a trovare una frase biblica che potesse costituire il “motto” del suo Episcopato. Ce l’aveva già dentro, impressa nel suo stesso carattere: “Justitia et Pax osculatae sunt”[25]. Come una “parola di vita”, quella frase l’accompagnava da sempre, ispirando ogni sua attività e caratterizzando il suo stile di vita.

Giustizia era l’indiscutibile primato di Dio, la gioiosa consapevolezza di essere sempre alla sua presenza, la puntuale e fervorosa obbedienza a tutto ciò che gli esprimeva la sua volontà. Lo aveva imparato dal suo papà, umile agricoltore, coerente testimone di uno stile di vita cristiana che era espressione della solida spiritualità popolare. P. Anselmo Librandi, scrive: “Suo padre, di sera, usciva di solito con i suoi ragazzi, e la passeggiata terminava in chiesa davanti al Tabernacolo, dove si tratteneva mezz’ora in ginocchio, senza appoggiarsi; e la stessa compostezza esigeva dai suoi figliuoli, mettendosene uno a destra e l’altro a sinistra”.[26]

Il primato di Dio, la gioia di sentirsi sempre alla sua presenza, l’impegno nel regolare il proprio comportamento secondo la sua Volontà, erano la fonte della sua pace. “Justitia et Pax osculatae sunt”: in questa parola di vita monsignor Faggiano ci ha sempre creduto. Ad essa si ispirerà quotidianamente nell’opera di rinascita e rilancio spirituale della diocesi. Sarà la sua passione e anche la sua croce. Trent’anni più tardi, il Concilio Vaticano II, nella Costituzione pastorale «Gaudium et spes», affermerà: “La pace non è semplicemente assenza di guerra, né si riduce solamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti e neppure nasce da un dominio dispotico, ma si definisce giustamente e propriamente «opera della giustizia» (Is 32, 17). Essa è frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo fondatore”.[27]

Giustizia, pace, ordine, sono parole continuamente ricorrenti nelle Lettere Pastorali di monsignor Faggiano, che cercherà di infondere nei suoi Sacerdoti il suo stesso fervore, indicando loro nella puntuale osservanza dell’ordine costituito dalle norme e prescrizioni della Chiesa la via sicura all’unione con Dio, alla santità, alla pace. A volte non sarà capito, qualche volta sarà anche umiliato. Dando uno sguardo retrospettivo alla sua azione pastorale, troviamo una lettura chiara e illuminante del ventennio di Episcopato di Monsignor Faggiano nel telegramma con cui il suo fedele collaboratore monsignor Alessandro Vitetti, ora Servo di Dio, accompagnò la partenza del Vescovo da Cariati, al momento del suo ritiro a Manduria: “Seguo sua partenza pregando, piangendo. Ricompensi Iddio suoi venti anni durissimo lavoro apostolico, gravi diuturne pene religiosamente sofferte, lasciandoci esempi luminose virtù, profondo spirito fede, abnegazione amorosamente paterna”.[28]

“Incipit novus ordo rerum”[29]

“Incipit novus ordo rerum”, D. Gaetano Maone[30] inizia così la sua “Cronaca dei principali avvenimenti dell’Episcopato di S. E. Mons. Eugenio Raff.le Faggiano C.P.”.[31] Una frase che riflette perfettamente il clima di freschezza, rinascita e speranza che con l’avvento del nuovo Vescovo si cominciò a respirare a Cariati. Le opere fiorivano a sorpresa, l’abbandono e inerzia del decennio senza Vescovo era già un ricordo del passato. Fu come un colpo d’ala che portò la Diocesi a volare alto e a contemplare orizzonti nuovi, sereni e promettenti. “L’ora solenne è scoccata – dice Don Maone – per l’avvenire bello, glorioso della nostra Diocesi”.[32]

Liguori da parte sua scrive: “Con l’intraprendenza e il coraggio suggerito dallo spirito missionario passionista, il Neo-eletto Vescovo si lancia in opere di risanamento e ricostruzione che animano i suoi Sacerdoti e fanno rifiorire la speranza e la gioia nei fedeli. Il Seminario riapre subito i battenti, la vita nella Cattedrale è riorganizzata e c’è anche un’iniziativa di avanguardia: a Perticaro, sulle falde ioniche della Sila, nasce il Seminario estivo per le vacanze dei Seminaristi”.[33]

Monsignor Faggiano era un uomo di grande esperienza, non solo spirituale ma anche umana. L’intraprendenza e la determinazione erano la sua caratteristica. L’esperienza della prima guerra mondiale, alla quale aveva partecipato da giovane col ruolo di Cappellano militare, lo aveva temprato e segnato profondamente. Da Religioso Passionista, si era dedicato con passione alla promozione vocazionale e alla formazione dei giovani aspiranti missionari. Nella funzione di Superiore Provinciale operò instancabilmente per lo sviluppo, l’espansione ed il consolidamento della Congregazione dei Passionisti nel Meridione d’Italia.[34] Il campo di azione che ora gli stava davanti, come Vescovo della Diocesi di Cariati, era quindi una nuova promettente sfida.

Schivo da ogni forma di apparenza, cercava solo il successo della gloria di Dio. Si potrebbe dire che costruiva con le ginocchia più che con le mani. Le ore notturne trascorse in preghiera davanti al SS.mo Sacramento, e quelle diurne dietro la grata che dall’Episcopio dava in cattedrale, nessuno le ha contate, ma sono testimoniate. Aveva una sola ambizione: la rinascita spirituale della diocesi e la santificazione del Clero. Le realizzazioni che caratterizzarono il suo impegno pastorale, le ritenne opera dello Spirito e della Provvidenza. Nel discorso d’inaugurazione del Seminario Estivo di Perticaro così si espresse: “Escluso a priori l’abilità nostra in questa faccenda! Noi siamo tutti deboli strumenti in mano di un artefice Sapiente e Potente, da cui vengono le opere più belle, ammirabili. Iddio non ha bisogno di grandi architetti, ma vuole che tutti confidiamo in Lui che sa fare e fare davvero”.[35]

Vale la pena riportare per intero un brano della conferenza di Don Francesco Rizzuti dal titolo I miei giorni con Monsignor Faggiano: “Come Cancelliere della Curia, Canonico e Parroco della Cattedrale, insegnante nel Seminario Diocesano, ebbi la fortuna di stargli vicino e di ammirare la sua forte personalità, il suo fervore apostolico, la sua testimonianza di fede, radicata nell’austerità di vita, nella diuturna preghiera e nella carità operosa. Scriveva Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze: “Bisogna credere alla luce durante la notte, bisogna forzare l’aurora a nascere, credendovi”. E monsignor Faggiano, uomo di fede, ha creduto alla luce nella più buia delle notti. Umanamente parlando, mancavano tutti i presupposti per affrontare con serenità il suo Episcopato: scarsezza di clero, seminario chiuso da un decennio, cattedrale fatiscente, episcopio che faceva acqua da tutte le parti (non è un eufemismo, è la verità!), parrocchie che non vedevano il Vescovo da un ventennio, abbandonate su le impervie montagne della pre-Sila. E lui non aveva un soldo in tasca, tanto è vero che dovette prendere in prestito del danaro da un sacerdote per le prime spese giornaliere”.[36]

Nel capitolo dedicato alla Ricostruzione spirituale della Diocesi, il biografo A. Librandi scrive: “Una volontà tenace che si alimenta di una fede incrollabile, non può non realizzare grandi cose, soprattutto quando quella volontà ha come fine supremo la maggior gloria di Dio, procurata costantemente nella santità dei suoi figli”. E aggiunge: “Il nostro Monsignor Faggiano ebbe in grado eminente questa tenace volontà, perché amava Dio sopra ogni cosa, e ne zelò la gloria nel suo Clero e nel suo popolo, non risparmiando sacrifizi, pur di ridare un nuovo volto autenticamente cristiano alla sua Diocesi, rimasta in un pluriennale abbandono”.[37]

L’onda dello Spirito

“Sin dall’inizio del suo episcopato – scrive P. Luigi A. Perrone – Monsignor Faggiano non s’interessò solo al riordino delle strutture necessarie per un buon governo, ma suo principale e assillante pensiero fu quello della santificazione del clero e dei fedeli a lui affidati. Quasi subito egli visita in modo accelerato tutte le parrocchie e ovunque promette la Missione Popolare. Poi pensa e prepara con cura la Prima Visita Pastorale ed in vista di questa desidera che ogni parrocchia sia animata da una predicazione straordinaria. Si rivolge subito ai suoi confratelli Passionisti; chiedendo la Missione Popolare per tutta la Diocesi”. [38]

Dopo appena sei mesi dall’ingresso del Vescovo in Diocesi, si dà il via a questo piano di evangelizzazione. L’iniziativa, assolutamente nuova per la gente, genera entusiasmo e risveglio nella fede. Della prima missione predicata a Caccuri il cronista riferisce: “La chiesa ogni sera era letteralmente gremita di popolo, famelico della parola di Dio, costretto ad ascoltare le prediche del Missionario dallo spiazzale del tempio, tanto era l’afflusso”.[39]

La cronaca delle Missioni che si predicano in tutti i paesi continua a muoversi sull’onda del successo. “Ovunque i Padri sono accolti con grande entusiasmo, vengono tolti molti scandali, accomodati matrimoni, prime Comunioni di uomini adulti, vari battesimi di adulti. In qualche paese è tale l’entusiasmo che si è costretti a prolungare la missione di due o tre giorni per dare la possibilità a tutti di accostarsi ai sacramenti della Confessione e Comunione. A Casabona, l’ultimo giorno della Missione, durante la predica di chiusura si gettano fiori e confetti sul palco; così sarà ripetuto per tutti i Missionari alla loro partenza. Una considerazione generale che emerge da tutte le relazioni delle Missioni – scrive P. A. Perrone – è che il Vescovo Monsignor Faggiano si fa Missionario con i Missionari, partecipando immancabilmente per qualche giorno ad ogni Missione per confessare, predicare, distribuire l’Eucaristia. Credo anche che per la prima volta nella storia della Diocesi e nella storia delle nostre Missioni, si sia realizzato un piano così unitario, organico e capillare di catechesi”.[40]

L’attività delle Missioni Popolari continuò anche durante la Visita Pastorale e fu ripresa negli anni del dopo-guerra. Non sempre tutto fu rose e fiori. La mancanza di Sacerdoti aveva allontanato dalla Chiesa le famiglie lasciando le nuove generazioni senza alcuna forma di catechesi. La presenza dei Missionari, con la loro uniforme religiosa e il crocifisso, mai visti prima, fu a volte oggetto di scherno da parte di bambini che li presero perfino a sassate. Uno dei Missionari, infatti, prese una pietra in fronte proprio mentre predicava durante una celebrazione all’aperto.[41]

Nella relazione inviata da un Missionario al suo Superiore Provinciale leggiamo: “Veramente questa volta mi è stato affidato un compito molto ingrato. Si figuri che tra una popolazione di 2.500 abitanti vi sono 260 individui senza battesimo e, tra questi, giovani e signorine dai 20 ai 27 anni. Sabato col Parroco si è fatto un giro per le case per vedere di battezzare questi adulti. Moltissimi, commossi per il nostro gesto, hanno risposto affermativamente. Qualcuno ci ha messo fuori la porta con disprezzo: Abbiamo bisogno di pane e non di battesimo! De Gasperi avrebbe potuto mandarci lavoro e non missionari!… In questi giorni si farà una capatina nelle miniere di zolfo per affrontare direttamente i più accaniti e scalmanati…”.[42]

La posizione geografica dei paesi della Diocesi rendeva difficile la comunicazione tra i Sacerdoti e il Vescovo. E allora ecco che già a gennaio del 1937 nasce il “Bollettino Diocesano”. “L’idea di avere un Bollettino proprio – scrive monsignor Faggiano nella lettera di presentazione del periodico – è stata carezzata, sin dal principio del nostro governo pastorale, e vi abbiamo pensato sempre. Non sarà un notiziario qualsiasi: Esso deve illuminare e dirigere, richiamare ed ammonire: è il portavoce del Superiore lontano, che parla e si mette in comunicazione con i suoi amati figli e Confratelli nel Sacerdozio”.

Convinto del ruolo importante che la stampa svolge nel campo dell’attività pastorale, ne sottolinea la capacità di unire i fedeli, portarli alla comunione di pensiero e di azione: questo “mezzo potentissimo per diffondere il bene, per metterci in guardia dal male, servirà, carissimi, anche per farci stare più vicini col pensiero e con l’affetto, per rinsaldare sempre più l’amore scambievole”. E, quasi personificando il Bollettino, lo lancia nella sua funzione evangelizzatrice, investendolo come di una speciale diaconia: “Ed ora va pure nel nome di Dio o Bollettino della Diocesi di Cariati! Sii tu come fiaccola ardente per illuminare e riscaldare le 29 Parrocchie sparse sui monti e tra le foreste! Appena arrivato dà il saluto di pace! Pax vobis!”.[43]

Il Pastore e il Gregge

Mentre i Missionari Passionisti, con le Missioni Popolari, battevano a tappeto tutto il territorio della Diocesi, monsignor Faggiano diede inizio alla sua Prima Visita Pastorale alla Diocesi. Iniziata il 30 aprile 1938, essa si protrasse fino al 9 novembre 1939. Per spiegare al popolo il senso della Visita Pastorale, il Vescovo scrive: “Uno dei doveri più gravi del Vescovo è la S. Visita Pastorale. In essa egli deve rendersi conto del vero stato, delle condizioni spirituali in cui si trovano le anime alla sua cura commesse. Deve indagare, vedere, osservare se davvero le leggi sante di Dio e della Chiesa sono rispettate, se il nemico delle anime è penetrato, se ha fatto stragi, se ha fatto preda tra loro senza che se ne accorgessero, o peggio perché forse hanno disprezzato la chiamata di Dio in tante belle occasioni…”.[44]

Con la Visita Pastorale il Vescovo tastò il polso di ogni Comunità parrocchiale e percepì la fragilità della vita spirituale che pulsava nel cuore dei fedeli e in particolare dei loro Pastori. Si andava così delineando, giorno per giorno, davanti ai suoi occhi, in maniera sempre più chiara, il volto reale, tanto drammatico, della Chiesa che gli era stata affidata, un volto che a volte lo inteneriva, spesso lo rattristava, raramente lo rallegrava. Monsignor Faggiano non era nuovo a questo tipo di servizio pastorale. Come Superiore Provinciale della Provincia Religiosa Passionista denominata “Sacro Costato di Gesù”, comprendente le Regioni di Puglia-Lucania-Calabria, aveva più volte visitato le Comunità, vigilando sulla fedeltà dei religiosi ai propri voti e alle prescrizioni delle Regole dell’Istituto.[45]

Già da quelle Visite traspare tipica la sua figura di Superiore preoccupato del bene spirituale delle persone e del loro progresso nel cammino di santità, vigilante sulla fedeltà alla vocazione ricevuta, intransigente quando si tratta di richiamare qualcuno alle proprie responsabilità, contemporaneamente però comprensivo, attento al bene anche materiale delle persone,[46] sempre pieno di umanità, anche quando deve esprimere il suo fermo disappunto. Questa è anche la figura che emerge nelle relazioni della sua Prima Visita Pastorale alla Diocesi. Significativa la relazione della Visita a San Morello, un paesino di montagna, nella pre-Sila, ove si reca, insieme col Convisitatore D. Amedeo Palmieri, il 9 novembre del 1939. È lui stesso che racconta: “Alla Stazione di Campana trovammo le cavalcature e dopo due ore e mezzo di cammino stentato e assai difficile, con la grazia del Signore arrivammo a San Morello, accolti festosamente dal popolo, che accorse numeroso, benché di giorno feriale. Il paese è assolutamente abbandonato, anche dalle Autorità civili. Non vi è luce, né vi è acqua, non una farmacia, non un medico, né una levatrice; né vi è strada per andarvi: è inaccessibile! Ebbi per quel popolo parole d’incoraggiamento”.

Quanto alla chiesa e gli arredi sacri osserva: “I sacri paramenti deteriorati e luridi. Nel Ciborio, invece della teca per portare il S. Viatico agl’infermi, trovai una scatola di pastiglie Valda, che tolsi con orrore, rimproverando fortemente il Parroco, il  quale si scusò col dire che non aveva altro! Ho provveduto io stesso ad una teca con borsa. La Chiesa è indecorosa e cadente nella tettoia. Pregai il popolo perché concorresse per gli accomodi più urgenti, ed aprii una sottoscrizione, versando io per primo L. 200… ”.

Il volto della Sposa

Il 24 giugno 1941, a cinque anni dal suo ingresso in Cariati, monsignor Faggiano presenta alla Sacra Congregazione per i Vescovi[47], in occasione della “Visita ad Limina”, la prima Relazione sullo stato della sua Diocesi. Il volto che ne emerge è sostanzialmente quello stesso che ha incontrato al suo ingresso, pur avendo avviato importanti iniziative per una profonda riforma nella Diocesi: un volto assente, non interessato, segnato ancora dalle rughe del lungo periodo di abbandono. Nella Relazione il Vescovo risponde a un questionario,[48] articolato in cento domande suddivise in dodici capitoli,[49] nei quali si passa al setaccio ogni aspetto della vita della comunità cristiana, offrendo le seguenti informazioni.

La Diocesi conta circa 45.900 abitanti, tutti cattolici e di rito latino. I Sacerdoti diocesani sono quaranta; undici i Seminaristi nel Seminario Regionale e ventidue in quello Diocesano; vi sono sette Comunità di Suore. Parlando delle strutture, dice che l’Episcopio, lasciato in stato di abbandono, è quasi inagibile. E ne indica la responsabilità: il Sacerdote delegato ad amministrare la diocesi in assenza del Vescovo “ha amministrato male, ma ha provveduto bene a se stesso”.[50] Le chiese in genere non sono tenute pulite, né convenientemente adornate; “lo dico con dolore!”,[51] osserva il Vescovo. La condizione e lo stato delle scuole elementari in diocesi sono degni di commiserazione! Mancano edifici scolastici! I bambini vengono educati ordinariamente in ambienti sporchi, scomodi e con grande danno dell’anima e del corpo. Aggiunge però: “Sono frequentate da molti alunni con profitto”.[52]

Quanto alla fede e ai costumi dei fedeli, il Vescovo scrive: “I costumi del popolo in molti paesi non sono irreprensibili, ma corrotti, specialmente tra i ricchi. In genere la vita cristiana privata e pubblica è professata apertamente, ma non è bene osservata… Nei funerali e nelle solennità s’incaricano poco dell’aspetto spirituale. Quasi tutti i fedeli, in occasione delle missioni si ravvedono; ma dopo poco tempo, si raffreddano perché le cure dei parroci non sono assidue.[53] Il popolo – afferma il Vescovo – non mostra grande rispetto per i Sacerdoti, perché molti del clero non si preoccupano delle cose di Gesù Cristo”.[54]

Il precetto di ascoltare la messa e astenersi da opere servili nei giorni festivi generalmente è poco osservato, eccetto a Natale, Pasqua e il giorno del Patrono della città.[55] L’osservanza del precetto pasquale è “tra le donne il quaranta, tra gli uomini appena il quindici per cento, durante le sacre missioni la maggior parte”. I fedeli sono però solleciti “circa gli ultimi sacramenti”.[56] Tra i contadini e i poveri, in genere “l’educazione cristiana in famiglia è trascurata”.[57] Solo poche parrocchie hanno oratori festivi, nessuna i dopo-scuola. Poche sono quelle in cui si fa scuola di catechismo per i bambini, e per le bambine quando c’è una Comunità Religiosa femminile. Così pure solo poche parrocchie hanno “asili per l’infanzia e laboratori per le ragazze”.[58] Dove non mancano le suddette associazioni, si ha molta cura che i fedeli “siano istruiti nella dottrina della fede e conducano una vita cristiana”.[59]

Il Vescovo afferma infine che in Diocesi non vi sono associazioni socialiste.[60] Nonostante le tante lacune, Egli si mostra ottimista per il futuro della diocesi. Conosce il cuore della sua gente e può dire: “Spero che poco a poco il popolo ritorni ad un comportamento migliore”.[61] Alla domanda finale sui rapporti con l’autorità civile risponde con soddisfazione: “Con l’autorità civile del luogo ho rapporti buoni e amichevoli, e posso stare tranquillo in tutto”.[62] 

Il punctum dolens, nella Relazione del Vescovo, sono i Sacerdoti. Monsignor Faggiano è convinto: da loro dipende il risveglio e rilancio della vita cristiana nelle parrocchie. E alla loro riabilitazione, in alcuni casi, e santificazione Egli si impegna con tutte le sue energie. Con compassione e paterna tenerezza, ma anche con tanta amarezza, guarda anzitutto alla loro situazione economica. Alcuni di loro vivono in autentico stato di miseria. “Pochi – egli afferma – dispongono di una casa canonica propria e adeguata”. In genere “sopravvivono con le intenzioni di sante messe che non sono assolutamente sufficienti”. Lui deve provvedere a “non pochi” di loro. Con forte disappunto egli nota: “Alcuni parroci vivono lautamente con i redditi dagli immobili e incerti di stola… La maggior parte non vive bene, e alcuni addirittura in miseria”.[63] Per risolvere questo problema, nella conclusione della Relazione “Ad Limina”, il Vescovo si permette di dare alla Sacra Congregazione qualche suggerimento.[64]

Tutto questo però per il Vescovo non costituisce una scusante nei confronti dei propri doveri pastorali. Nella maggior parte dei Sacerdoti il Vescovo nota molta “trascuratezza nell’osservanza delle leggi liturgiche e canoniche”.[65] “In genere – egli scrive – i parroci non sempre soddisfano, eccetto alcuni, a tutto quello che i canoni prescrivono. In molti casi bisogna spingerli”.[66] Ciò di cui si lamenta e preoccupa è lo stato di tiepidezza, la perdita di sensibilità ai propri doveri, l’apatia in cui i Sacerdoti si sono adagiati: “Invano – dice – mi sono premurato e senza frutto perché alcuni Sacerdoti mettano in pratica le prescrizioni dei canoni circa la confessione sacramentale e gli esercizi di pietà, circa la coabitazione con donne e il comportamento con i secolari”.[67]

“La maggior parte del Clero è obbediente e presta la debita reverenza all’Ordinario e alla Santa Sede; ma non pochi a parole e non a fatti e nella verità, perché facilmente si fa poco conto degli ordini”.[68] Non pochi – prosegue – anche nella cura delle anime, preferiscono condurre una vita oziosa, anche se scoppiano di salute; e questo per indolenza, ignoranza e tiepidezza nella carità di Cristo”.[69] “Per la verità non c’è in molti parroci la premura e lo zelo perché i fedeli si nutrano più spesso e anche quotidianamente del pane Eucaristico”.[70] E aggiunge: “Dei Vicari foranei che cosa devo dire? Come se non ci fossero! Del loro ufficio fanno poco conto per apatia; e di questo ho detto abbastanza”.[71]

Se da una parte egli mostra paterna comprensione e carità per la situazione in cui i Sacerdoti vivono, dall’altra non esita a ricorrere ai mezzi che il Diritto Canonico pone a sua disposizione per svegliarli e spronarli a correggersi, applicando, quando necessario, l’antico detto di Ippocrate: “A mali estremi, estremi rimedi”. Con la coscienza di chi sa di aver dovuto compiere un dovere, alla Sacra Congregazione riferisce con serenità e pace nel cuore: “Nonostante le ammonizioni e le minacce non tutti osservano ciò che è prescritto circa la catechesi e il catechismo, mancando zelo sacerdotale”.[72] “In alcuni casi ho punito con frutto con la pena della sospensione”.[73]

Il quadro si completa con alcune ultime informazioni: “Ci sono tre Sacerdoti, che per vita scandalosa sono spontaneamente ritornati allo stato laicale, e da pochi anni sono stati ammessi ai sacramenti alla maniera dei fedeli. Non è possibile riportarli ad un risultato migliore.”[74] “Ho inflitto una pena come è nel Nº 4 can: 2298 a un Parroco, che è stato mandato per due anni al confino dall’autorità civile per causa di pederastia.[75]

Nella Relazione “Ad Limina” del 3 ottobre 1946, emerge il caso di due Sacerdoti che stanno procurando al Vescovo molta amarezza, non intendendo porre alcun rimedio al loro stile di vita assolutamente inaccettabile. Monsignor Faggiano scrive: “Ci sono due Sacerdoti sospesi da due anni perché concubinari pubblici”. Per indurli a “deporre l’abito ecclesiastico”, ha adottato nei loro confronti le misure previste dal can. 2300, “ma invano!!”.[76]

Si trattava di due Sacerdoti che vivevano “more uxorio”, con donna e figli, e pretendevano di poter continuare il loro Ministero Sacerdotale. Monsignor Faggiano si mostra intransigente al riguardo e applica nei loro confronti le misure previste dal Diritto Canonico, sperando di poterli in qualche modo recuperare o indurre al ravvedimento. Questa dolorosa vicenda apre una finestra sulla diffusa situazione di degrado spirituale nel clero, dal quale Monsignor Faggiano vuole tirarlo fuori a tutti i costi e con tutti i mezzi spirituali a sua disposizione. E lo fa con estrema energia.

“L’intransigenza ed inflessibilità di Monsignor Faggiano – scrive il professore Pietro Pontieri – ha in definitiva la sua radice nella situazione complessiva del Clero che egli ha tentato e, si può ben dire, è riuscito a risanare, e nell’elevatissima figura ideale del prete, che lo ha accompagnato per tutta la vita, così come descritta nella Lettera del 1942”.[77] “Sullo sfondo delle due vicende – aggiunge Pontieri – e di quelle degli altri preti ridotti allo stato laicale e riconciliati con la Chiesa, viene agitato come uno spauracchio il sospetto, purtroppo fondato, che molti preti vivano in concubinato e da ciò l’insinuazione da parte di (N.N., i due Sacerdoti in questione), che non si voglia intervenire sugli altri casi, e che siano essi soli presi di mira dal rigoroso Vescovo Passionista… Un’accusa infondata, perché mi constaafferma il professore Pontieri – dei numerosi interventi del Vescovo, delle ammonizioni e sospensioni”.

Del modo come monsignor Faggiano vive questa tempesta in cui si trova a navigare troviamo qualche cenno nelle lettere a Maria Scarpelli, sua figlia spirituale. Il 19 marzo 1945 scrive: “È una bella e facile cosa il dire: Si fa quel che si può e basta! Io dico che non basta! Il demonio lavora per distruggere, ed il Pastore non può, non ha i mezzi per difendere il gregge; si può stare allegri? Anche che il Pastore dei Pastori Gesù mi compatisse, io non posso rassegnarmi, e tiro avanti così alla meglio. Grazie a Dio, la pace del cuore non la perdo”.

Il 23 marzo 1948, tre anni dopo, dà segni di stanchezza: “Figlia cara, (mi trovo) col peso, che Gesù Pastore dei Pastori, mi ha affidato con pochi, pochissimi Sacerdoti che mi aiutino: è una cosa che sconcerta! Ma… qui è il segreto della nostra santificazione! Quando mi arrivano certe lettere circa la condotta di qualche Sacerdote in questi tempi…, quali angosce mi producono! Penso alla vita tranquilla del P. Eugenio, benché le preoccupazioni non mi son mancate mai, e dico: O pace della vita religiosa, ove sei? Ma mi conforta che il più è passato, e resta ben poco! Intanto è più perfetto il fare la volontà del Signore con tanta allegrezza che godere la tranquillità esonerandosi da tanti pesi”.

Sei giorni dopo essersi espresso con questi sentimenti, gli giunge un biglietto anonimo che mostra chiaramente in quale mare monsignor Faggiano stava navigando. Nel biglietto trova scritto: “Dopo avere visto le gloriose e stupide funzioni di questa settimana degne di un popolo pugliese ciuccio come voi e dopo avere passato il giorno di Pasqua senza messa come i Turchi eguali a voi vi diciamo cretino ignorante maligno velenoso mangione andate a farvi (…….)[78] voi e tutti i monachi. 29.3.48”. Il Vescovo prende il foglio e lo conserva nel suo “Archivio Segreto”, a perpetua memoria di quello che si dice di lui.

Ma a lui interessava la santificazione del suo Clero. E per questo non aveva timore di battere il pugno sul tavolo o – com’era solito fare – di togliersi lo zucchetto e sbatterlo sul tavolo, quando doveva scuotere l’indolenza o reagire a comportamenti inaccettabili per la sua coscienza; pronto poi a chiedere scusa, fino a mettersi in ginocchio, quando si accorgeva di aver un po’ intimidito la persona. A questo proposito D. Mario Ferraro, Parroco di Crucoli, morto in concetto di santità, in una sua testimonianza, tra l’altro afferma: “Ricordo la sua grande umiltà, il suo voler buttarsi a terra, tanto che certe volte mi chiedevo se lo facesse intenzionalmente. E umiltà è la prima virtù dei santi”.[79]

Il nocchiero e la barca

“A me – scrive monsignor Faggiano, confidandosi con la sua figlia spirituale Maria Scarpelli – succede come ad un povero nocchiero, che guarda alla meta, al faro senza pensare alle onde spumanti, che passano lambendo od agitando la piccola nave della vita… Ti confido una cosa: come godo di trattare con le anime di perfezione, assetate di Dio e di Paradiso! Veramente sono stato sempre così, con la grazia del Signore: solamente che non ho saputo corrispondere a tanti benefici!”.[80]

Un nocchiero “assetato di Dio e di Paradiso”, “che guarda alla meta” e ha fretta di giungervi presto e non si spaventa delle “onde spumanti” che agitano “la piccola nave”: è l’immagine più appropriata che lo stesso Vescovo poteva offrici di sé e dello spirito che anima la sua azione pastorale. Le sue Lettere Pastorali ne sono uno specchio fedele. Le scrive in occasione dell’annuale ricorrenza della Quaresima, tempo di conversione, per rivolgere a tutti, fedeli e clero, l’invito a imbarcarsi con lui e viaggiare insieme verso la meta della santità.

È quello che facevano gli Apostoli, egli dice: “Quando questi Santi Apostoli scrivevano, a chi indirizzavano le loro lettere, forse agli anacoreti, ai monaci dell’Egitto? No! Scrivevano ai semplici fedeli, ai semplici cristiani del secolo, occupati come voi negli affari, nei traffici, nei negozi. Scrivevano, ai coniugati, ai magistrati, agl’intellettuali, ai commercianti, ai ricchi, ai nobili: a tutti i Cristiani. Erano aggregati alla Chiesa, e per questo solo dovevano esser santi”.[81]

Come nocchiero, il Vescovo mostra grande capacità ed esperienza nel saper orientare la vela della sua “piccola nave” seguendo i “segni” offerti dal vento degli eventi storici del tempo e quelli, tanto burrascosi, della sua stessa diocesi. Ogni Lettera è un nuovo colpo d’ala, un invito a volare alto per non perdere di vista l’unica meta da cui può sbocciare una nuova umanità, quella della propria santità. E la sua attenzione è rivolta sempre, soprattutto, ai Sacerdoti, ai quali è affidato il Ministero della santificazione e dai quali dipende il cammino e destino delle comunità cristiane. “L’impegno nel promuovere la santificazione dei Sacerdoti – scrive A. Librandi – fu una costante della sua vita di Religioso e di Vescovo: le prediche al clero, le lettere di direzione spirituale, talora i richiami energici, lo documentano abbondantemente; soprattutto l’esempio di quella sua gravità sacerdotale ed episcopale come l’espressione più chiara della sua abituale unione con Dio”.[82]

Nella Lettera del 1940, monsignor Faggiano prende spunto dalla realtà emersa durante la prima Visita Pastorale per affrontare il problema dell’urgente necessità di rilancio della vita cristiana nella diocesi. Avendo sullo sfondo la triste realtà del secondo conflitto mondiale, la Lettera si presenta con un titolo provocatorio: “Nella vittoria la pace”. Ma il Vescovo spiega subito: “Di quale Vittoria Noi parliamo?… di una vittoria trascendente e suprema: la vittoria su tutto il mondo, sulle sue passioni, sulle sue ambizioni… È questa la vittoria che vince il mondo, la nostra fede![83] In questa vittoria vi sarà immancabilmente la vera pace”.

Il Vescovo è preoccupato per lo stato di allontanamento dalla fede e di rilassatezza dei costumi in cui ha trovato la diocesi durante la Visita Pastorale. Il risveglio della fede e l’entusiasmo portato ovunque dalle Missioni Popolari predicate dai Padri Passionisti è durato poco e “…bisogna andare con la lanterna di Diogene per trovare un uomo onesto!”, egli dice. E allora? “Occorre tornare a Dio per godere la vera pace, la vera tranquillità;… è necessario ravvedersi, rinsavire. Se tutto il mondo è inquieto, se è nello spasimo di un’attesa ansiosa per l’avvenire incerto, ne è causa l’essersi allontanati dalla fonte di verità e di giustizia, che è Dio…”.

Tornare a Dio significa rimettere ordine nella propria vita e nella società. E cita l’insegnamento dei Padri della Chiesa: “S. Agostino, ha bellissime parole su quest’argomento: La vera tranquillità, – egli dice – il vero senso permanente di contentezza e di pace consiste nell’ordine. Mettete tutte le creature in quest’ordine che loro è naturale, e tutte le troverete tranquille; fatele uscire da quest’ordine, e saranno sempre in tumulto, in agitazione, in tempesta. Qual è l’ordine naturale dell’uomo? Eccolo: che le passioni siano sottoposte alla ragione, la ragione a Dio”.[84]

Con la Lettera per la Quaresima del 1941 si rivolge specificamente ai Sacerdoti per indicare loro le piste sicure da seguire per raggiungere la meta. È un discorso a cuore aperto: “Non ci siamo sentiti ispirati a comporre e pubblicare la Pastorale per tutti i fedeli della Diocesi – egli dice – mentre abbiamo creduto doveroso, indispensabile parlare a voi ex professo, perché ne avete estremo bisogno, e perché tutti, come Sacerdoti, avete degli obblighi gravissimi coram Deo et hominibus”.

Mutuando dal linguaggio corrente la parola tecnica “dinamismo”, molto in uso in quel tempo, chiede che si imprima dinamismo anche a tutti i settori dell’attività pastorale, ma specialmente nell’esercizio del ministero sacerdotale. “È nella bocca di tutti – scrive il Vescovo – la parola: dinamismo(…). Occorre essere dinamico, si dice oggi (…). La società, già troppo assillata dagli avvenimenti del giorno, vive di continue emozioni, e per moltissimi tali emozioni sono una seconda vita (…). O Fratelli carissimi, e perché non siamo noi dinamici nell’apostolato, nel propagare il regno di Dio, nel salvare le anime? Avevano mai riposo gli Apostoli? Lo hanno avuto mai, e lo hanno i successori degli Apostoli, i banditori del Vangelo?”.

La sua mente vola al momento in cui ha accettò l’Episcopato e al motivo per cui disse. “Scossi per l’inaspettata nomina a vostro Vescovo quando la cara cella ci era più dolce ed attraente… piegammo la fronte ai divini voleri. Arrivati in Diocesi, ci mettemmo subito all’opera toto corde; e non ci siamo permessi né soste, né riposo”. La realtà emersa durante una prima rapida visita alla diocesi – egli dice – “c’impose un dovere sacrosanto, che divenne come una parola d’ordine, un programma: Ricostruzione, Riforma! E si cominciò subito con le SS. Missioni”.

L’abito dei Passionisti che egli continuò ad indossare anche da Vescovo fu il “segno” chiaro del suo sentirsi sempre in permanente stato di missione. E solo nella passione per la Passione del Signore trovò la forza della perseveranza: “Il Signore sa – egli dice – quante ansie, quante notti insonni, quante preoccupazioni abbiamo dovuto subire soli con Gesù solo!…”.

“Ricostruzione, Riforma!”. Cosa chiedeva monsignor Faggiano ai suoi Sacerdoti? “Vi sono tanti abusi in tutte le Parrocchie, – egli scrive – che il Sinodo Diocesano s’imporrebbe senz’altro, anche per ottemperare ai Sacri Canoni (C. 356). Non possiamo tenerlo per forza maggiore: mancano i Sacerdoti! Il solo Parroco, per ogni Parrocchia; e ve n’è qualcuna vacante! Ci limitiamo a richiamare la vostra attenzione su alcuni punti di estrema necessità ed urgenza, che riguardano la vostra vita, i vostri doveri, sia che siete in cura di anime, oppure avete altre responsabilità; e tutti ne avete perché Sacerdoti! Eccovi come in un codice i doveri principali che abbiamo creduto necessari elencarvi”.

I punti sui quali richiama l’attenzione sono distinti in quattro sezioni: Doveri verso Dio, Verso noi stessi, Verso il prossimo, Verso i Superiori. Si tratta di uno schema classico di riforma che passa al setaccio tutti gli aspetti della vita cristiana e del ministero sacerdotale, con riferimento a tutti i problemi riscontrati durante la prima Visita Pastorale.

Nei “Doveri verso Dio” pone al primo posto la consapevolezza di essere Ministri di Dio e la doverosa risposta al dono della vocazione e della Grazia: “Conoscete benissimo quanto il Sacerdote deve amare Iddio: lo amate voi, lo amiamo tutti quanto dovremmo?”. Sono prova d’amore la pulizia degli ambienti, degli arredi sacri e il comportamento rispettoso e devoto in chiesa. Naturalmente, l’attenzione del Vescovo si ferma soprattutto sull’incontro con Dio nella celebrazione Eucaristica: “Come celebrate la S. Messa?… È lo stesso Sacrificio della Croce… e dovremmo tremare ogni qualvolta saliamo l’Altare!… Fate voi almeno un quarto d’ora di preparazione per la S. Messa, e poi il dovuto ringraziamento? È un’imposizione che vi facciamo caso mai non ne comprendeste l’obbligo ed il dovere”.

Sembra riascoltare le raccomandazioni che, due secoli e mezzo prima, S. Carlo Borromeo, impegnato nella riforma della Chiesa di Milano, dopo il Concilio di Trento, rivolgeva al suo Clero: “Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?… Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni”.[85]

Nei 15 punti riguardanti i “Doveri verso se stessi”, monsignor Faggiano pone al primo posto il dovere della formazione permanente. “Imponiamo a tutti i Sacerdoti indistintamente lo studio della Teologia Morale e Dommatica almeno per un’ora la settimana, e per mezz’ora quello di Diritto Canonico. Almeno una volta al mese, per lo spazio di mezz’ora, si rileggano tutto ciò che riguarda la S. Liturgia. Tutti i Sacerdoti devono essere forniti non solo delle opere più recenti di Teologia Morale e Dommatica, del Codice di Diritto Canonico, delle sacre cerimonie e rubriche, ma anche dei manuali di sacra liturgia e dell’edizione più recente del Rituale Romano. Il libro per eccellenza, cioè la S. Scrittura, dev’essere il pascolo quasi continuo del Sacerdote insieme alla lettura di libri spirituali…”.[86]

“Verso il prossimo” ciò che più vale è la testimonianza di una “vita santa per edificare il prossimo col buon esempio: Exempla trahunt – Gesù ci dice: Vos estis lux mundi… Sic luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona etc. (Mt 5, 14-15)”. Il Vescovo insiste a lungo sul dovere del Parroco di conoscere i parrocchiani e accompagnarli con una adeguata catechesi in tutte le fasi della loro vita, ricordando che questo è un dovere prescritto dai Sacri Canoni. Egli domanda: “Fate voi la catechesi agli adulti?… Spiegate voi tutti il Vangelo nelle Messe festive?… Se alcuno ha difficoltà per predicare, legga il vangelo con un breve commento”. Ma raccomanda: “La spiegazione del Vangelo non passi mai il quarto d’ora affinché i fedeli vi assistano volentieri, diversamente sarebbero tentati ad evitare la Messa parrocchiale”.

Parlando infine dei doveri “Verso i Superiori”, riferendosi a se stesso come Vescovo, dice soltanto: “Vi raccomandiamo di pregare assai per la santificazione dell’anima nostra, come noi non manchiamo mai di pregare per voi tutti”.

Non sembri azzardato accostare l’opera di riforma intrapresa da monsignor Faggiano a quella portata avanti con coraggio e perseveranza nella Diocesi di Milano dall’Arcivescovo Card. Alfredo I. Schuster, Monaco Benedettino,[87] contemporaneo di monsignor Faggiano. Ponendosi sulle le orme del predecessore S. Carlo Borromeo, per rinnovare la Diocesi di Milano puntava sulla santificazione del Clero e il decoro delle chiese e della Liturgia. Negli ultimi giorni della sua vita, congedandosi dai suoi seminaristi, disse: “Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. Ha paura, invece, della nostra santità”.

Negli anni quaranta e cinquanta già soffiava forte il vento dello Spirito. Guardiamo a loro come Vescovi che, insieme con tante altre persone profeticamente ispirate, per traghettare la Chiesa dal molo del Concilio di Trento al porto del Vaticano II, in tempi di profondi cambiamenti socio-politici e religiosi, hanno indicato e tenuto saldamente spiegata la vela santità, l’unica capace di accogliere e lasciarsi sospingere dal vento dello Spirito.

Chiesa e Patria: un solo amore

Non è facile coniugare il rapporto tra fede e politica, chiesa e stato, come aspetti complementari della stessa passione per la vita. Monsignor Faggiano si muove in questo campo con sorprendente libertà e agilità. Il rapporto Chiesa-Stato raggiunge nel suo vissuto quotidiano una tale sintonia da diventare oggetto di catechesi, anzi il suo progetto pastorale. Ne parla attingendo alla propria esperienza. Neanche il ricordo di spiacevoli episodi di nonnismo,[88] sopportati nel periodo del servizio di Leva, ha minimamente incrinato il suo giovanile entusiasmo di dedizione e devota obbedienza alla Patria. La drammatica esperienza dell’esplosione e affondamento della “Benedetto Brin”[89] nel porto di Brindisi, ove egli prestava servizio come Cappellano militare, sembra avergli inciso nel cuore la certezza che rispondere Presente! alla chiamata della Patria comporta l’eroica scelta di esser pronti a perdere per essa anche la vita.[90] Egli scrive[91]: “Bello, suggestivo questo nome Patria! Nome sacro ed amabile, nome dolce ed attraente come l’etimologia Pater, che ci rappresenta un padre circondato dai suoi figli, vale a dire una grande famiglia ch’è unita con gli stessi legami di leggi, di doveri e di diritti”.

“L’Amor di Patria” è il titolo della seconda Lettera Pastorale di monsignor Faggiano, scritta per la Quaresima del 1938. È un vero programma di formazione alla “cittadinanza” attraverso un percorso di rinascita interiore che attinge la luce dalla Scrittura, dall’insegnamento della Chiesa e dall’esempio di rispettosa obbedienza allo Stato dato dai Cristiani fin dai primi tempi. E cita il celebre passo apologetico di Tertulliano: “Noi cristiani giuriamo per la vita dei Cesari, per la loro salute che è più augusta… Noi consideriamo nei dominanti l’elezione ed il giudizio di Dio, che ha loro affidato l’impero. Noi insomma li rispettiamo siccome quelli, che sono eletti da Dio, e li veneriamo in maniera che il rispetto nostro giunge ad una specie di culto; non già quel culto di latria, ch’è dovuto al solo Dio, ma un culto diretto ad una maestà secondaria, ch’è raggio, ch’è riflesso, ch’è emanazione della medesima maestà del Signore”.

Il Vescovo parte da un principio: la Patria è una società fondata sulla natura e sull’ordine. Cosa s’intende per natura e ordine lo spiega con le parole di S. Tommaso d’Aquino: “Nazione è un vero corpo politico, simile nel suo essere al corpo umano, che sussiste per l’intima unione delle sue parti, le quali pur avendo relazione tra loro, tutte concorrono al suo complesso, e tutte dipendono dal capo, ove è la sede del senso, della vita e della ragione”.

L’armonia e la salute di uno stato dipendono dal grado di fede e onestà dei cittadini: “Separare la Religione dalla cosa pubblica è cosa assurda… È necessaria anche l’onestà nei cittadini, occorre la morale cristiana! Oramai basta la raffinatezza nei divertimenti e nelle ricercate voluttà!… Giova qui ripetere l’espressione ben ponderata ed opportuna del Capo del Governo: Attenta alla Patria chi attenta alla religione dello Stato”.” Queste ultime parole offrono l’opportunità al Vescovo di congratularsi con l’operato del Governo che ha assicurato unità e pace alla nazione firmando il Concordato con la Santa Sede: “La Patria nostra è invidiata dalle altre nazioni dopo il Concordato, che Pio XI fermissimamente volle (così il Duce ai Vescovi e Parroci il 9 gennaio 1938), e per cui l’Italia nostra, diciamola ufficiale, è tornata a Dio”. E aggiunge: “Gli effetti di tale Conciliazione si son visti e si vedranno. Le migliorate condizioni del Clero, che svolge liberamente il suo ministero divino con immenso profitto delle anime, e con quel prestigio che gli si doveva; l’assistenza religiosa perfettamente organizzata per l’esercito e per tutte le istituzioni fasciste”.

Qualcuno potrebbe essere indotto a riconoscere in queste dichiarazione l’orientamento politico di monsignor Faggiano. Ma qui il Vescovo semplicemente riconosce ed elogia il bene che si fa, indipendentemente da chi lo compie, come anche – quando necessario – stigmatizzerà e condannerà senza mezzi termini il male. Forse dobbiamo parlare di una apertura mentale che il Vaticano II raccomanderà a livello universale: “I cristiani cooperino volentieri e con tutto il cuore all’edificazione dell’ordine internazionale, nel rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti” (GS, 88).

A scopo di chiarezza, comunque, è significativo il seguente episodio narrato da P. A. Librandi: “All’inizio stesso del suo Episcopato, trovandosi un giorno a Manduria, mentre la Comunità era riunita nella sala di ricreazione per il sollievo pomeridiano, un giovane Padre osò consigliare al neo-Vescovo una condotta compiacente verso l’Autorità Fascista, che voleva dire Mussolini. Non l’avesse mai fatto! Sua Ecc.za, con un gesto nervoso, si tolse la berretta, la batté sul tavolo della ricreazione, e disse con voce ferma: Sono Vescovo della Chiesa, e devo prendere ordini solo dal Papa!”.[92]

Per il benessere e il progresso della Patria, scrive il Vescovo, è necessario estirpare i seguenti mali:

– l’ignoranza religiosa. “È giusto, è doveroso combattere l’analfabetismo, che degrada l’uomo davanti alla società odierna… Ma perché non combattere anche l’ignoranza religiosa, che tanto domina ai nostri giorni?… Quel catechismo, quella dottrina cristiana che ha formati tanti eroi, e di cui tanto si gloriavano un Manzoni ed un Volta, un Dante ed un Petrarca, è ignorato e non curato da tanti professionisti ed intellettuali che si dicono cattolici autentici il cento per cento!”…;

– il rispetto umano. “V’è poi un’altra lue contagiosa, dalla quale non vanno esenti moltissimi cristiani, che si dichiarano cattolici, ma non sanno vincere il rispetto umano che li tiene lontani dalla Chiesa e dai Sacramenti!… Si somigliano a quei soldati che si vergognano della propria divisa e della bandiera!… Aver paura, vergognarsi di Gesù Cristo è vera viltà!”.

Si rivolge quindi ai Sacerdoti e li sprona a rimboccarsi le maniche e stare in mezzo alla gente aiutando i più poveri a migliorare anche la propria situazione sociale: “In ogni circostanza, la nostra Patria ha potuto contare sui Parroci e sui Sacerdoti sempre fedeli e sempre pronti a fare sacrifici per la sua prosperità… Se il Parroco, se il Sacerdote ha un ascendente, e lo deve avere, sulle masse rurali, accostandole, dando consigli pratici per ottenere maggior produzione dalla terra, otterrà facilmente da loro l’adempimento dei propri doveri e verso Dio e verso la Patria”.

In quanto al laicato, punta con fiducia sul movimento di Azione Cattolica: “L’Azione Cattolica poi procura beni immensi alla Patria, perché mentre si sforza di formare uomini profondamente credenti ed esemplarmente praticanti, procura in pari tempo allo Stato ottimi cittadini, tanto più amanti della prosperità e grandezza della loro Patria in quanto maggiormente il loro animo è temprato alla virtù ed al sacrificio”. La conclusione della Lettera non poteva essere che questa: “Stringiamoci tutti a Gesù, alla Chiesa ed al Papa, e saremo cittadini fedeli alla Patria, alla quale auguriamo pace, prosperità, grandezza!”.

Il cielo da una stanza

Le più belle pagine della sua vita, monsignor Faggiano le ha scritte nel silenzio e nella solitudine della sua cella; prima quella del piccolo convento di Laurignano, ove svolgeva il ruolo di Maestro dei Novizi, e dove, dalla finestra come da un piccolo balcone, il suo sguardo poteva spaziare verso le belle montagne della Sila; e poi alla luce tenue che filtrava attraverso le persiane sempre socchiuse dalla sua stanza, nell’Episcopio di Cariati, togliendo tempo al riposo; e ancora nella contemplazione della natura che il piccolo Seminario di Perticaro gli offriva durante il suo ritiro estivo in montagna. Le ultime le ha scritte a Manduria, ove si ritirò nell’ultimo scorcio della sua giornata terrena per prepararsi, come lui diceva, al “grande passaggio”.

Stiamo parlando delle sue lettere di direzione spirituale inviate a Maria Scarpelli,[93] un’anima assetata di Dio che, fin dall’età di vent’anni, lo aveva scelto come Direttore spirituale; un epistolario intenso e voluminoso, che copre l’arco di circa trent’anni, da cui emerge una dimensione della personalità di monsignor Faggiano, quella mistica, quasi sconosciuta, perché incarnata e umanizzata nella routine del suo vivere quotidiano. Quel cielo che egli contemplava dalla finestra della sua stanza riempiva di luce la sua giornata, e oggi traspare ancora sereno e luminoso dalle parole che egli scriveva alla sua figlia spirituale, in un dialogo incessante, volando sempre alto, senza il minimo segno di rallentamento o perdita di quota.

La Direzione Spirituale era l’aspetto della pastorale che più lo affascinava. Egli stesso lo confida alla sua figlia spirituale in una lettera scritta dal Seminario di Perticaro: “Per me è stata sempre un’attrattiva speciale dirigere le anime che tendono alla perfezione, come lo è stato il coltivare i fiori scelti: curiosa questa inclinazione, non è vero? È stato, ed è un difetto, di cui non mi sono mai corretto… Confesso però che non ho saputo dare quell’indirizzo speciale, che richiedevano tante anime belle, e che Gesù si aspettava da me. Egli avrà supplito a tutto!”.[94]

Le lettere inviate da monsignor Faggiano a Maria Scarpelli sono 156, contro le 285 scritte da lei, e cominciano a datare 6 luglio 1932 fino quasi alla sua morte, avvenuta il 2 maggio 1960. Circa 80 lettere precedenti, datate 6 luglio 1932 – 12 febbraio 1942, furono distrutte dalla stessa destinataria,[95] ricavandone prima un florilegio spirituale, come un “vademecum di ascetica cristiana”.[96]

Monsignor Faggiano scrive con molta semplicità le sue lettere e si deve tener presente – osserva L. Materdomini[97] – che il Vescovo scrive in risposta alle domande della persona che dirige: non si deve quindi cercare nelle sue lettere lo sviluppo di un discorso su argomenti di Teologia Ascetica. Riguardo ai “principi ascetici” che animano la Direzione Spirituale di monsignor Faggiano, P. Materdomini scrive: “Possiamo riassumere i contenuti della direzione di Monsignor Faggiano nel modo seguente. Il cammino verso la santità si realizza attraverso l’adesione incondizionata alla volontà di Dio, scoperta nella preghiera e nella continua unione con Lui, in uno stile di vita semplice e nella convinzione profonda della propria nullità personale. L’impulso all’apostolato nel proprio ambiente e secondo le proprie possibilità è un’esigenza dell’unione con Dio.

Il riferimento a Cristo Crocifisso è continuo. Egli ripete spesso che nella contemplazione del Crocifisso l’anima aderisce alla volontà di Dio, specialmente nelle ore nere della sofferenza e delle aridità, e sarà semplice ed umile come Lui, donandosi in maniera generosa, come il Signore, alla salvezza dei fratelli”. Proponiamo alcuni brani.

Unione con Dio

(…) “L’apostolo S. Paolo dava ai primi cristiani il nome di Santi, ed ogni cristiano dev’essere tale per la sua vocazione; figuriamoci noi! Ma che dico! Che cosa dovrei essere io che ho la pienezza del Sacerdozio, e per diritto divino sono successore degli Apostoli: Temo, che ammaestrando, esortando gli altri, io poi… Le vite dei Santi ci sono di sprone, d’incoraggiamento, ma poi ognuno di noi ha un aspetto speciale, un’esigenza, un’attrattiva, una vita tutta propria designata dalla Divina Provvidenza; e vuole che andiamo per essa, alle volte totalmente sprovvisti di doni gratis dati (miracoli, estasi, profezie ecc. ecc.); ma sempre ricchi di virtù, che ci rendono grati a Dio con una sete sempre ardente della giustizia. Anche se avessimo un amore ardente verso il Sommo Bene come serafini, non avremmo fatto altro che un po’ del nostro dovere, e null’altro!”.[98]

(…) “Bella è la santità umile e nascosta; ma essa è profumo, che non sempre si riesce ad occultare; né ti preoccupare di ciò. Da parte nostra lasciamo lavorare il Divino Spirito con la sua grazia senza timore d’inganno, essendovi la retta intenzione di piacere unicamente a Dio”.

(…) “Nel leggere le vite dei Santi non dobbiamo scoraggiarci per l’enorme differenza tra essi e noi; ma piuttosto emulare il loro impegno, i loro sforzi e la grande fiducia verso la bontà di Dio; e qualche cosa la faremo, con la sua grazia”.

(…) “D’altra parte il nostro amorosissimo Creatore non bada quanto si fa (dice S. Gregorio), ma con quale impegno si fa una cosa per la sua gloria”.

(…) “Vorresti che l’amor proprio fosse del tutto spento? Non sai che il fomite del peccato, cioè l’inclinazione al male, resta sempre durante la nostra vita? La santità consiste nell’esercitare la virtù in grado eroico: senza lotta come si vince? Figlia mia, sono le cattive inclinazioni che dovremmo vincere a tutti i costi con la grazia del Signore e con ogni nostro sforzo.”[99]

(…) “La nostra perfezione avrà il suo compimento quando ci sarà dato unirci a Dio nel Santo Paradiso: ora abbiamo sempre motivi ed occasioni di riconoscere le nostre imperfezioni senza numero. È una ragione di più per guardare non quello che abbiamo fatto, ma quello che ci resta da fare.

La Volontà di Dio

(…) “L’unica felicità è quella di fare in ogni cosa la volontà di Dio: lavorare, vivere, penare secondo il gusto di Dio e non secondo il gusto nostro; è questo il Paradiso in terra…”.[100]

(…) “Che fanno gli Angeli e i Santi in Paradiso, se non continuamente la volontà di Dio, che benedicono e glorificano tanta Maestà? Tutte le anime religiose, tutti coloro che tendono alla perfezione hanno per fine essenziale la volontà di Dio sempre e ovunque! Finirebbe l’inferno se i dannati fossero capaci di fare la volontà di Dio!”.[101]

(…) “Il grande, il massimo affare della nostra santificazione è opera di Dio; ma è anche opera nostra con l’immolazione, con l’annientamento di noi stessi, e coi continui sacrifici giornalieri pigliando tutto dalle mani dello Sposo delle anime nostre”.[102]

(…) “Come si è felici quando ogni cosa si piglia dalle mani amorose di Dio! Tutte le nostre premure, tutte le nostre ansie devono essere raccolte, unite nel fare la volontà dello Sposo divino, non omettendo mai i nostri doveri, per fare ciò che piace a Lui. Egli è il Tutto: noi siamo il nulla e questo nulla deve perdersi nel Tutto: oh! che guadagno si fa!”.[103]

La preghiera

(…) “Basta il riposo in Dio che l’anima gode e si sente inebriata, perché attratta da tale Bene Infinito e non occorrono certi voli sensibili, che neppure io ho goduto mai, benché mi pare di non perdere di vista abitualmente Dio e ciò per grazia speciale”.[104]

(…) “Basta un pensiero a Gesù, alla Mamma Celeste, uno sguardo, una giaculatoria breve, un sospiro, un desiderio ecc… è il segno dell’amore attivo e passivo, ami e sei amata nello stesso tempo “.[105]

(…) “Le tenebre dell’aridità non sono altro che scherzo dello Sposo divino: Egli si nasconde per vedere che fai e che dici. Allora l’orazione deve essere di contemplazione: tutte le potenze dell’anima devono stare tranquille, perché ciò che cercavano è vicino. Da qui viene proprio quella gioia, che si può chiamare ebbrezza dell’anima nel patire o nel desiderare patimenti per uniformarsi a Gesù Crocifisso. Senza dubbio ciò è migliore e più meritorio. Restando in silenzio contemplativo si soddisfa a tutto, cioè soddisfi a tutto, anche alle preghiere vocali”.[106]

(…) “Sai che significa amor puro? Disinteressato, incondizionato e senza cercare ricompense: a queste ci deve pensare Gesù, oggetto amato. Dobbiamo amarlo non perché ci dà il Paradiso, ma perché è degno di essere amato: ed a questo ci si può arrivare benissimo…”.[107]

(…) “Se vi è qualche distrazione involontaria…, non ti devi impressionare: per i ciechi e i sonnolenti gli scogli e i rialzi sono d’inciampo; per coloro che sono svegli e hanno occhi per vedere, servono per innalzarsi di più salendo sopra di loro e calpestandoli”.[108]

Semplicità/umiltà

(…) “Il farsi piccoli con la semplicità è condizione essenziale per entrare nel regno dei cieli e per acquistare .posti sublimi in Paradiso: è la lezione speciale che diede il Divin Maestro ai suoi discepoli (Mt.18-2)”.[109]

(…) … “Diventare bambina; queste sono le lezioni che io do ai miei Novizi per farli stare bene moralmente e fisicamente. Mi dica: i bambini si preoccupano mai del domani? Hanno timore che manchi loro qualche cosa, o che non staranno bene? No: il bambino è totalmente abbandonato nelle braccia della mamma sua, e così lei dev’essere totalmente abbandonata nelle braccia della cara nostra Mamma Celeste.

(…) “Nell’assoluta oscurità cerca di stare sempre tranquilla e calma, considerandoti più vicina a Gesù: una bambina è grande e potente quando sta vicina ai suoi cari genitori; in questo modo devi considerarti quando sei sola sola, perché  stai vicina al Sommo Bene.”[110]

(…) “Non occorre davvero attaccarsi poi ad una santità con un patire troppo rigido e severo: Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero – ha detto Gesù -. Cammina pure e servi il Signore in santa letizia.[111]

(…) “A me piace, e voglio la delicatezza di coscienza, ma non lo scrupolo, che inceppa e rende l’anima gretta e piccola nelle sue ascensioni spirituali. Il P. Germano scriveva della B. Gemma: E’ disinvolta, ed il suo conversare è gradevole, né ti saresti accorto, come nessuno se ne accorgeva, della grand’anima che possedeva. E la Sig.ra Cecilia Giannini mi disse a voce quando io andai a Lucca nel 1917: Gemma trattava famigliarmente coi Religiosi, e faceva notare il suo spirito semplice ed ingenuo proprio di chi possiede il vero candore del cuore. Quindi dico: agisci pure con semplicità da bambina, ed avrai sempre la pace dei bambini”.

Apostolato 

(…) “Non devi essere sola, no, nell’ardere di amor di Dio, devi bramare di avere tante e tante anime in compagnia. Bonum est diffusivum sui, è proprio del bene il diffondersi – dicono i filosofi. L’apostolato dev’essere per tutte le anime ed oh! quanti modi di apostolato vi sono! Come si esercita bene esso con le persone che ci molestano, cercando sempre di contraccambiarle con i benefici o almeno pigliando tutto in buona parte”.[112]

(…) “Tutte le espressioni, che mi hai scritto sono segni manifesti di una sete ardente per le anime: tanta sete dobbiamo averla tutti, specialmente ai nostri tempi così turbolenti e così insidiosi! Anime, anime voglio, esclamava S. Agostino, il resto non è per me! Se Gesù è venuto per le anime, se per esse ha dato il suo sangue prezioso sino all’ultima stilla, noi dobbiamo vivere, dobbiamo soffrire per le anime, cominciando dalla nostra: tutto a gloria di Dio, tutto per la salvezza delle anime!”.[113]

(…) “Conservate pure e alimentate l’ideale per l’unità della Chiesa per mezzo del Cuore Immacolato di Maria SS.ma: vivete, anzi viviamo per questo dolce e caro ideale”.[114]

(…) “Ogni respiro sia una Comunione spirituale ed ogni battito del cuore, unito al Cuore di Gesù, sia la conquista di un’anima, piena del suo amore”.[115]

Il Calvario

(…) “Per le anime amanti, e che si sprofondano nell’abisso del proprio nulla è proprio il Calvario, e solo esso, che fa entrare immediatamente nella gloria dei Beati per cantare l’eterno Gloria in excelsis Deo! insieme agli Angeli!”.[116]

(…) Vorrei dirti tante belle cose, che sapeva dire il nostro amante di Gesù Crocifisso;[117] ma non è da me, che sono sì poco amante della Croce! Son contento, contentissimo di lavorare per il bene delle anime; ma sono poi contento e rassegnato quando nessuno apprezza il lavoro, ed anche quando vi sono false interpretazioni da parte delle creature, che non dovrebbero farlo? Ecco una lezione che dobbiamo apprendere da Gesù appassionato! Egli taceva sempre! E noi rassegniamoci almeno, e sopportiamo tutto con pazienza, senza lasciare neppure per un minuto di fare il bene. Quanto è più prezioso il patire, specialmente quando non apparisce! Allora è tutto di Gesù! Figlia mia, stiamocene sul Calvario come e quanto vuole l’Amato Bene, anzi nel nostro cuore formiamo un Calvario perenne con l’abbracciare ben volentieri ciò che ci avviene di avverso, o di poco gradito!”.

(…) “Bramerei che tante anime, tutte le anime distratte si raccogliessero e convenissero sul Calvario, sul monte dell’amore e del dolore. Ma quanto son poche, quanto son rare quest’anime. Suppliamo noi a tutte ed a tutto”.[118]

La presenza di Dio

Monsignor Faggiano lasciò la Diocesi di Cariati la mattina del 29 settembre 1956, giorno del suo onomastico. Nel convento passionista di Manduria, ove egli aveva chiesto di ritirarsi, i Confratelli gli avevano preparato un appartamentino, costituito da due stanze, povere, uguali a quelle dei Religiosi, una per il soggiorno e l’altra come stanza da letto, con due finestre rivolte ad oriente. Da lì poteva continuare a contemplare il miracolo della vita che ogni mattina con l’alba rinasce. Era lo spazio di silenzio e solitudine che lui cercava, per riempirlo finalmente della realtà a cui solo anelava: la presenza di Dio. Ritornano qui alla mente alcuni versi che lui scrisse in età giovanile:

(da “Alla mia cara cella”)

Bella a me tu sei più che ricco ammanto
Quando povera ti miro, o mia cella,
Quando di tuo squallor tu meni vanto,
Quando della miseria sei sorella.

E ancora:

(da “Sospiro di un’anima”)

Lascia ch’io provi qual delizia sia
Far sempre con Gesù dolce soggiorno,
Consumare per Lui la vita mia.

La consapevolezza di essere alla “presenza di Dio” nel vivere quotidiano è un punto fondamentale della spiritualità passionista. Il Fondatore S. Paolo della Croce la raccomandava alla sua figlia spirituale, Agnese Grazi: “Se ne stia alla presenza di Dio, con una pura e semplice attenzione amorosa a quell’immenso Bene, in un sacro silenzio d’amore, riposando con questo santo silenzio tutto il suo spirito nel seno amoroso dell’Eterno Dio” (L I, 103).

A Maria Scarpelli monsignor Faggiano scrive: “… dobbiamo stare soavemente alla presenza di Dio sempre”. [119] E ancora: “Nessun timore devi avere sul metodo di orare nella semplice presenza di Dio: Egli stesso te lo ha imparato e basta!”. [120] “Mi hai sempre ripetutamente scritto, che prima di leggere o scrivere le lettere che ci riguardano, ti metti alla presenza di Dio, e preghi, rinnovando l’intenzione retta e santa per ricevere lumi dall’Alto. Proprio così bisogna fare per ricevere gli aiuti divini”. [121]

Lei voleva sentirsi alla presenza di Dio unendosi alla sua preghiera negli stessi orari di preghiera del Vescovo. Lui la accontenta, avvertendola: “Non sempre mi riesce ad essere puntuale, perché alle volte vi sono occupazioni impreviste, di cui non si può fare a meno, ed allora sposto necessariamente l’orario. Quindi puoi unire l’intenzione e starcene insieme alla Divina Presenza”.[122]

Negli ultimi mesi della sua vita, la corrispondenza si limitò a qualche biglietto. Il 4 settembre 1959, inviando a Maria Scarpelli gli auguri per il suo onomastico, scrisse: “Oramai sono tre anni dacché lasciai la cura delle anime, e sono qui in perfetta solitudine in attesa della divina chiamata quando piace al caro Gesù”.  Due mesi prima, il 7 luglio 1959, le aveva scritto: “Sono sempre nel mio appartamentino alla presenza del caro Gesù e della Mamma Celeste!”.

P. Lombardo Lonoce C.P.
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In foto: il Vescovo monsignor Faggiano durante una visita canonica alle Parrocchie della Diocesi di Cariati

 

NOTE

[1] Dott. Antonio Rizzuti, Provveditore agli Studi di Lucca, fratello di Don Francesco Rizzuti, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Rossano-Cariati e Cancelliere della Curia Vescovile di Cariati dal 1946 al 1956.
[2] Antonio Rizzuti, Cariati e la sua gente nel ventennio di Monsignor Faggiano, contributo di ricerca in preparazione alla Causa di canonizzazione di Mons. E. R. Faggiano. Pro m., Arch. Causa Monsignor Faggiano, Manduria – TA.
[3] Vis. ad Lim.. 28 Aprile 1956.
[4] “Antofilo” (Amante dei fiori), pseudonimo con cui si firmava nella rubrica La pagina dei fiori curata da lui sul periodico del Santuario di Laurignano.
[5] Del suo Cancelliere, D. Alessandro Vitetti, è stato celebrato il Processo di Canonizzazione.
[6] Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Cariati.
[7] Artigiani di ceramiche, anfore, tegami e pignatte di terracotta.
[8] Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Cariati.
[9] Mauro Santoro, Curiosità storiche di Cariati e Terravecchia, in cariatinet.it/ 23.01.2021.
[10] Censimento del 21 aprile 1936.
[11] Ivi.
[12] Fonte: Censimento del 10 febbraio 1901: 3.086 abitanti.
[13] Fonte: archivaecclesiae.org/, Bolla “De utiliori” di Pio VII. Il nuovo territorio comprendeva: Cariati, Cerenzia, Strongoli, Umbriatico, Terravecchia, Scala Coeli, San Morello, Crucoli, Cremissa (Cirò), Verzino, Savelli, Casino, Caccuri, San Nicola dell’Alto, Pallagorio, Carfizzi, Casabona, Zinga, Melissa, Belvedere Spinello.
[14] Il Vescovo di Cariati Properzio Resta (1568-1601), grande teologo, fu promotore di un importante sinodo, svoltosi nel 1594 nella cattedrale di Cariati, sulle disposizioni del Concilio Tridentino (Cfr. R. e F. Liguori, Cariati nella storia, pag. 191 ss.).[15] Fonte: SIUSA.archivi.beniculturali.it.
[16] Romano e Franco Liguori, Cariati nella storia – Vicende di un Comune della Calabria Jonica dalle origini ai nostri giorni, Ferraro, Cirò Marina (Cz) 1981.
[17] Mons. G. Maone, Cronaca dei principali avvenimenti dell’Episcopato di S. E. Mons. Eugenio Raff.le Faggiano C.P. – Vescovo di Cariati (1936 – 1960), Arch. Postulazione Causa Monsignor Faggiano, Manduria, TA.
[18] Romano e Franco Liguori, Cariati nella storia – Vicende di un Comune della Calabria Jonica dalle origini ai nostri giorni, Ferraro, Cirò Marina (Cz) 1981.
[19] Periodico «La missione», n. 4, maggio 1986: 50 anni fa – Consacrazione episcopale del Servo di Dio Eugenio R. Faggiano.
[20] Ivi.
[21] P. Anselmo Librandi, Passionista, Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, pag. 83.
[22] Sac. Prof. Pietro Pontieri: L’impegno di Monsignor Faggiano nella promozione e animazione vocazionale, nella formazione e santificazione del Clero. Pro m., Arc. Causa Monsignor Faggiano, Manduria.
[23] Mons. Giovanni Scotti, Arcivescovo di Rossano, oh i miei sogni, Napoli, 1943.
[24] Nota. Nel tempo in cui si celebrava a Cariati il Processo informativo per la Canonizzazione di Monsignor Faggiano, un signore riferì al Parroco della Con-Cattedrale che quando era bambino – all’età di cinque anni – entrando un giorno per caso in chiesa, vide il Vescovo Mons. E. R. Faggiano che pregava davanti all’urna di Cristo Morto. Si avvicinò senza farsi notare e sentì che il Vescovo, sapendo di essere solo, pregava come se stesse parlando con l’immagine di Cristo e da quell’immagine sentì che veniva una voce come se dialogasse col Vescovo. Il fatto che il Vescovo, quando sapeva di essere solo, pregasse a voce spiegata è testimoniato anche da P. Roberto Plotino, Passionista, il quale riferì al Vice-Postulatore di averlo sentito spesso pregare ad alta voce nella Cappellina riservata a lui, quando ormai si era ritirato nel Convento di Manduria.
[25] Sal 85,11. Nova Vulgata: giustizia e pace si sono baciate – Versione CEI: Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno.
[26] P. Anselmo Librandi, Passionista, Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, pag. 15.
[27] Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (N. 78).
[28] Mons. Alessandro Vitetti (Cirò 12.10.1915 – Cariati M. 24.02.1995) è stato per circa dieci anni Cancelliere della Curia Vescovile di Cariati al tempo di Monsignor Faggiano. Il Processo informativo per la sua Canonizzazione è iniziato il 24 febbraio 2008 e si è concluso il 24 marzo 2011.
[29] Parafrasi del testo virgiliano: magnus ab integro | saeclorum nascitur ordo, Quarta Bucolica.
[30] Mons. Gaetano Maone, per vent’anni fedelissimo collaboratore di monsignor Faggiano come Rettore del seminario e poi parroco della cattedrale, autore del prezioso manoscritto: Cronaca dei principali avvenimenti dell’Episcopato di S. E. Mons. Eugenio Raff.le Faggiano C.P. – Vescovo di Cariati (1936 – 1960).
[31] Mons. G. Maone, Cronaca dei principali avvenimenti dell’Episcopato di S. E. Mons. Eugenio Raff.le Faggiano C.P. – Vescovo di Cariati (1936 – 1960). Arch. Postulazione Causa Monsignor Faggiano, Manduria, TA.
[32] Ivi.
[33] Sac. Francesco Rizzuti: I miei giorni con Monsignor Faggiano, Chiesa Concattedrale di Cariati, 14 novembre 1987. Arch. Postulazione Causa Monsignor Faggiano, Manduria, TA.
[34] P. Anselmo Librandi, Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, p. 42 ss.
[35] Ivi.
[36] Mons. Francesco Rizzuti, “I miei giorni con Monsignor Faggiano”, Ms., Arc. Causa Monsignor Faggiano, Manduria.
[37] P. Anselmo Librandi, Passionista, “Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate”, pag. 97.
[38] P. Luigi A. Perrone, Missionario Passionista, “L’attività missionaria dei Passionisti nella Diocesi di Cariati durante l’episcopato di Mons. E. R. Faggiano”, Arch. Postulazione Causa Monsignor Faggiano, Manduria, TA.
[39] Ivi.
[40] Ivi
[41] Episodio raccontato allo scrivente.
[42] Ivi. Vedi anche: P. Anselmo Librandi, Passionista, Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, pag. 101.
[43] La pubblicazione del “Bollettino Diocesano” dura fino al ‘43. La guerra e la mancanza di risorse economiche costringono a sospenderne la stampa. Si sospende la pubblicazione, ma non la comunicazione che il Vescovo tiene sempre viva attraverso lettere ciclostilate.
[44] Lettera Pastorale per la Quaresima del 1940: Nella Vittoria la Pace, pag. 11.
[45] È interessante conoscere come si svolgeva il rito della Visita Canonica. Riportiamo quanto scrive lo storico Tito Paolo Zecca, C.P. (La vita quotidiana dei Passionisti, 1720-1970, Saggio storico, Effatà Editrice, pag. 224-225): “Era molto importante e rivestiva una particolare ritualità la visita canonica annuale compiuta in tutte le comunità dal superiore provinciale. Questa iniziava in chiesa. Il visitatore, rivestito di cotta e piviale bianco, accompagnato dai ministri, apriva la porticina del tabernacolo e recitava tre Padre nostro, Ave Maria e Gloria. Si cantava poi il Tantum ergo con l’orazione al SS. Sacramento e quindi si procedeva alla benedizione degli astanti con la pisside. Dopodiché cambiava il piviale con uno di colore nero e si procedeva con la benedizione del tumulo, ossia si pregava per tutti i defunti sepolti sotto il pavimento della chiesa. Era cura del visitatore controllare tutte le parti della chiesa e della sacrestia per vedere se era tutto in ordine e tenuto con decoro. Era sua cura controllare i registri delle messe e tutti gli altri registri, soprattutto quelli di amministrazione, quelli dei ministeri e dello stato dl famiglia nonché degli ospiti e dei benefattori. Visitava anche le officine e tutte le stanze dei religiosi per controllare che non vi fosse qualche cosa contraria alle regole e alle consuetudini. Inoltre riceveva uno per uno tutti i religiosi di comunità con i quali doveva avere pazienza nell’ascoltarli e spirito di discernimento. Teneva delle allocuzioni a tutta la comunità e infine, se lo riteneva opportuno, lasciava delle istruzioni che venivano scritte: in apposito registro. Per concludere la visita il visitatore, indossata cotta e stola violacea, assolveva da tutte le censure ecclesiastiche nelle quali qualche religioso di comunità era incorso”.
[46] Significativo quello che scrive nella relazione sulla Visita alla Comunità di Ceglie M.: “Conferii con ciascun Religioso in particolare e diedi gli avvisi opportuni. Dovei insistere vivamente e con ordini affinché il vitto fosse più conveniente, specialmente nei giorni di magro, nell’Avvento e nella Quaresima”.
[47] Ai tempi di monsignor Faggiano si chiamava “Sacra Congregazione Concistoriale”.
[48] Questionario di 18 pagine, tutte in latino.
[49] I capitoli del questionario sono i seguenti: I. Informazioni generali sullo stato delle persone e dei luoghi della diocesi; II. L’amministrazione dei beni temporali etc.; III. La Fede e il Culto divino; IV. Ciò che riguarda l’Ordinario; V. La Curia diocesana; VI. Il Seminario; VII. Il Clero in generale; VIII. I Capitoli; IX. I Vicari Foranei parroci; X. I Religiosi; XI. Il popolo fedele; XII. Giudizio sintetico dell’Ordinario sullo stato della diocesi.
[50] Vis. ad L. n. 26.
[51] Vis. ad L. n. 21.
[52] Vis. ad L. n. 91.
[53] Vis. ad L. n. 84.
[54] Vis. ad L. n. 85.
[55] Vis. ad L. n. 86.
[56] Vis. ad L. n. 86.
[57] Vis. ad L. n. 89.
[58] Vis. ad L. n. 94.
[59] Vis. ad L. n. 95.
[60] Vis. ad L. n. 98.
[61] Vis. ad L. n. 87.
[62] Vis. ad L. n. 36.
[63] Vis. ad L. n. 68.
[64] Vis. ad L. n. 100/1. Così egli scrive: “Nella mia conclusione, molto umilmente suggerisco: 1°. I benefici più pingui siano amministrati dall’Ufficio Amministrativo perché la Diocesi abbia come aiutare i sacerdoti poveri e impegnati, dopo aver determinato una sufficiente congrua per i parroci beneficiari”.
[65] Vis. ad L. n. 19.
[66] Vis. ad L. n. 69.
[67] Vis. ad L n. 47.
[68] Vis. ad L. n. 49.
[69] Vis. ad L. n. 50.
[70] Vis. ad L. n. 71.
[71] Vis. ad L. n. 63.
[72] Vis. ad L. n. 74.
[73] Vis. ad L. n. 53.
[74] Vis. ad L. n. 52.
[75] Vis. ad L. n. 53. Non è chiaro se il Sacerdote citato sia lo stesso di cui parla nella sua Visita pastorale a Belvedere-Spinello, compiuta il 27 Agosto 1939: “Nella stessa mattinata andai anche a Spinello vicinissimo a Belvedere, che trovai in peggiori condizioni perché il popolo ha perduto ogni buon concetto pei Sacri Ministri a causa del Parroco precedente, accusato di omicidio, e carcerato per otto mesi. Fu poi messo in libertà per non aver commesso il delitto, che il popolo attribuisce a lui”.[76] Rel. ad Limina, 3 ottobre, 1946, nn. 52-53.
[77] Sac. Prof. Pietro Pontieri, Mons. Eugenio Raffaele Faggiano ed i “Preti in crisi e censurati’,  Pro man., Arc. Causa Monsignor Faggiano.
[78] Non trascriviamo la parola per riguardo a chi legge.
[79] Arc. Prov. C.P., Manduria. «Postulazione». Testimonianza riportata in Relazione sulla Fama di santità.
[80] Lett. a M. Scarpelli, Laurignano 24-8-42.
[81] Lettera Pastorale per la Quaresima 1940.
[82] P. A. Librandi, Il Vescovo dalle mani bucate, pag. 107.
[83] 1Gv 5, 4-5.
[84] Tunc est vera tranquillitas, vera pax, quando caro anima indice regitur, anima vero indice Deo. Aug.
[85] Breviario Romano, Memoria di S. Carlo Borromeo, 4 novembre.
[86] Queste solide basi di spiritualità e cultura fecero fiorire nella Diocesi di Cariati una nuova generazione di Seminaristi e Sacerdoti tra i quali spiccano i nomi del Servo di Dio Mons. Alessandro Vitetti, del Professore e autore di numerose opere di Filosofia Mons. Giovanni Di Napoli, del venerato e zelante Parroco di Crucoli D. Mario Ferraro, del giornalista e scrittore Mons. Pietro Pontieri.
[87] È stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996.
[88] Cfr. P. A. Librandi, Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, pag. 27.
[89] P. Anselmo Librandi, Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, pag. 43.
[90] Il rapporto tra fede e politica in Monsignor Faggiano è stato ampiamente analizzato dal Prof. Pietro Borzomati: La pastoralità e la spiritualità di Mons. R. Faggiano Passionista e Vescovo di Cariati dal 1935 al 1956; dalla Prof. Maria Mariotti: La Pastoralità di Monsignor Faggiano nel contesto storico sociale religioso della Calabria negli anni 30/50; e dagli storici Franco e Romano Liguori: Cariati nella storia, autori di numerose altre pubblicazioni su Monsignor Faggiano. È stato anche oggetto di una tesi di laurea: Antonia Fr. Bruno, Un vescovo calabrese – Mons. E. R. Faggiano – tra fascismo e democrazia.
[91] Seconda Lettera Pastorale, “L’Amor di Patria”.
[92] P. A. Librandi in Monsignor Faggiano, il Vescovo dalle mani bucate, pag. 131.
[93] Maria Scarpelli (Lappano, CS, 05.06.1912 – 09.02.1998) conobbe monsignor Eugenio Raffaele Faggiano quand’era postulante nell’Istituto delle Canossiane, a Cosenza. Uscita dall’Istituto per ragioni di salute, dal 1932 si affidò alla sua direzione spirituale. Quando in casa Scarpelli si verificarono i due miracoli operati da S. Gemma, P. Eugenio, allora Maestro dei Novizi, collaborò con il Postulatore Generale alla relazione per il loro riconoscimento.
[94] Lett. 22-7-39.
[95] Maria Scarpelli confidò, a me che scrivo, che all’inizio c’era stata un’intesa tra loro, quella cioè di distruggere reciprocamente le lettere ricevute, perché non finissero in mano a persone estranee. (In questo modo sono andate perdute tante preziose lettere inviate da monsignor Faggiano ad altre figlie spirituali). Col tempo però sia monsignor Faggiano che la Scarpelli si accorsero che nessuno dei due aveva il coraggio di distruggere quelle lettere così ricche di spiritualità. Maria, all’inizio trascriveva le frasi che più toccavano la sua anima, prima di distruggerle. Da qui è nato il “Florilegio”. Poi entrambi continuarono tacitamente a conservare le lettere che ricevevano.
[96] Sulla “Direzione Spirituale” di Mons. Eugenio R. Faggiano segnaliamo le seguenti ricerche:
– Luigi Ireneo Materdomini, La Direzione Spirituale di Monsignor Faggiano, pubblicato sul Bollettino del Santuario di Laurignano.
– P. Tarcisio Turrisi, Mons. E. Raffaele Faggiano Direttore Spirituale, inedito. Arch. Causa Monsignor Faggiano, Manduria.
– Fausta Lanzo, Mons. E. Raffaele Faggiano, Vescovo di Cariati (1936-1956), Formatore e Direttore Spirituale, Tesi di Magistero in Scienze Religiose, Oria (BR).
Esistono inoltre pubblicazioni varie in cui sono raccolti, in forma di “itinerario ascetico”, testi estratti dalle sue lettere di monsignor Faggiano, a cominciare dalla biografia scritta da P. A. Librandi.
[97] Vedi sopra.
[98] 19-9-1940.
[99] 24-3-1941.
[100] 23-3-1942.
[101] 27-1-1943.
[102] 19-3-1945.
[103] 17-3-1951.
[104] 28-9-1939.
[105] 10-1-1940.
[106] 14-10-1940.
[107] Febbraio 1941.
[108] 8-8-1941.
[109] 27-5-1940.
[110] 24-3-1941.
[111] 17-4-1941.
[112] 17-1-1941.
[113] 5-2-1946.
[114] 13-4-1947.
[115] 16-6-1954.
[116] 27-12-1937.
[117] S. Paolo della Croce
[118] 9-3-1940.
[119] 3-9- 1949.
[120] 9-12-1938.
[121] 1-3-1945.
[122] Febbraio 1941.