Arte contemporanea - 09 Mar 2021

“Worldview”, visioni d’artista per un nuovo rapporto con l’ambiente

La mostra si tiene presso la Fondazione Palmieri di Lecce a cura di Dores e Rose Sacquegna


Spazio Aperto Salento

Il 2019 è stato un anno che ha visto i temi ambientalisti al centro della discussione sociale e politica. Le manifestazioni “Friday for Future”, guidate dai giovani in tutto il mondo, sono diventate un movimento capace di riaccendere l’attenzione sui rischi del riscaldamento globale e del cambiamento climatico.

Così, negli ultimi due anni, seppur l’impatto del movimento appare affievolito, le tematiche ambientaliste hanno continuato a mantenere un ruolo di primaria importanza, non solo per la necessaria riflessione che la pandemia ha creato sulla rottura degli equilibri tra uomo e natura, ma anche su una concreta presa di coscienza da parte della sfera politica (si pensi al ruolo centrale che rivestirà il neo istituito Ministero della Transizione Ecologica).

Una coscienza ed un’attenzione che da molto tempo sono entrate a far parte dei temi di ricerca dell’arte contemporanea e che rappresenta il fulcro del linguaggio espressivo di molteplici artisti.

La mostra “Worldview: Antropologia dell’eco-visione”, allestita presso la Fondazione Palmieri di Lecce, ne propone una selezione.

Dopo lunghi rimandi, causati dall’emergenza sanitaria (avrebbe dovuto aprire al pubblico nel dicembre 2020), la mostra organizzata da Primo Piano LivinGallery, a cura di Dores e Rose Sacquegna, vede la collaborazione dell’Ionion Center for the Arts and Culture di Cefalonia.

Grazie a questa collaborazione approda a Lecce l’artista statunitense Pam Longobardi con l’opera Sappho Mirror’s II (2010), un’installazione realizzata con materiali plastici ritrovati in mare ed assemblati in modo da creare un nuovo oggetto, simbolo e feticcio di una società consumistica.

Il rifiuto assume una nuova veste, si fissa come opera d’arte e diviene il punto di partenza per discutere l’impatto della plastica sulla biodiversità marina.

Una riflessione che non si esaurisce nell’installazione ma che prosegue con l’attivismo della Longobardi stessa, promotrice di “Kefalonia Plastic Free”, un progetto di ricerca guidato dalla sua squadra “Drifters Project”, che si occupa di documentare, studiare e divulgare i danni causati dalla plastica sull’ecosistema di Cefalonia. L’attivismo dell’artista diventa parte integrante del suo linguaggio artistico e nelle opere di video arte trova efficacemente espressione (da segnalare Act of Warming (Semaphore), video performance realizzata nel 2017, in occasione della 57a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia).

Il tema della fragilità del mare e del suo ecosistema trova espressione anche nelle sculture “archetipiche” di Luisa Elia in dialogo con gli elementi architettonici della Fondazione Palmieri, mentre nelle opere di Dores Sacquegna (qui in veste anche di artista oltre che di curatrice) e di Raffaele Quida, la relazione con i materiali della navigazione pongono dei confronti aperti con lo spettatore.

Ma la discussione si allarga su molteplici aspetti, coinvolgendo riflessioni più ampie. Come nei digital collage dell’artista cileno Hernàn Pitto Bellocchio, dove frammenti di natura, esplosioni e proiettili, si innestano sulle architetture anonime dei tessuti cittadini e metropolitani, a ricordare come le minacce generate dall’uomo stesso siano sempre presenti ma sottovalutate.

L’impatto disastroso dell’uomo ritorna nelle opere dell’artista brasiliano Luciano Pinheiro, presente con due opere. Nella serie A terra e’ do indio (2020) i pigmenti estratti da varie zone del Brasile, vengono assemblati per divenire un vero e proprio atto di denuncia contro la deforestazione e gli incendi incontrollati che negli anni recenti hanno colpito le foreste amazzoniche, mentre nell’installazione A favela resiste! (2020), focalizza l’attenzione sulla fragilità delle periferie delle grandi metropoli brasiliane.

L’opera, materica ed al tempo stesso fragile, si innesta al centro dello spazio espositivo e costituisce il prologo della grande tela dell’artista Luca Bray.

L’olio su tela del 2020 dell’artista bresciano, residente a Lecce, si pone come culmine della mostra. La scritta, nonché titolo dell’opera, “Hay historias que se tienen que contar” (Ci sono storie che devono essere raccontate) emerge dalla materia stratificata della tela, resa dalla pittura di Bray come una sedimentazione naturale, e diviene traccia di un percorso da proseguire nel futuro.

La necessità di raccontare il mondo attraverso il mutamento degli equilibri tra uomo e natura diventa una necessità e gli artisti si pongono come attori attivi nel sollecitare tale discussione. Un ruolo sociale che ritraccia le sue origini nell’opera dell’artista tedesco Joseph Beuys, chiaramente ricordato in questa occasione dalla video installazione Homage to Joseph Beuys (2012) del Gruppo Sinestetico.

La mostra-progetto richiede allo spettatore una partecipazione attiva che non si esaurisca solo nell’esperienza della visita ma che diventi un’azione concreta volta  ad assumere atteggiamenti “virtuosi” per reagire concretamente alla crisi climatica in atto, poiché, come ricorda la curatrice Dores Sacquegna nei testi a corredo della mostra, «quello che l’arte dovrebbe fare nella pratica è risvegliare le coscienze su temi come l’ecologia, l’abusivismo edilizio, il consumismo, l’influsso dei media, la degradazione ambientale, attraverso “buone pratiche”, che iniziano dalla sfera privata per poi essere condivise ed attuate su scala globale».

La mostra sarà aperta fino al 18 marzo, dal lunedì al venerdì dalle 16:00 alle 20:00, con accesso contingentato in rispetto delle normi anti-Covid.

Andrea Faggiano

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Foto in alto: Veduta della mostra “Worldview: Antropologia dell’eco-visione”, presso Fondazione Palmieri, Lecce (2021),
courtesy Primo Piano LivinGallery

 

Raffaele Quida, Superficie

Pam Longobardi, Kako lagadi