A Melendugno, nella chiesa intitolata al Santo Martire, un eccezionale ciclo di affreschi dai colori brillanti. Nella campagna di Giurdignano, cittadina “Giardino megalitico d’Italia”, s’ergono i ruderi di un sorprendente complesso monastico
Salvo pochi frammenti del Monastero nell’area presbiteriale, della prima resta l’austera chiesa ingentilita, all’interno, da un mirabile ciclo di affreschi; della seconda, per quanto imponenti, soltanto ruderi abbandonati, che solo un miracolo del Santo a cui è intitolata, una volta recuperati e magari assemblati con le parti da ricostruire, potrebbe riportare all’antico splendore. Sono le Abbazie italo-greca di San Niceta, a Melendugno, e bizantina di Sant’Arcangelo de Casulis, meglio conosciuta come Centoporte o dei Santi Cosma e Damiano, a Giurdignano.
L’ABBAZIA DI SAN NICETA
Addossata alle private tombe di famiglia, sul lato destro del Cimitero di Melendugno dove spicca la tomba-monumento del 1899 della nobile famiglia D’Amelj, sorge la chiesa un tempo fulcro dell’omonima Abbazia, intitolata a San Niceta Martire, il protettore della città, unica in Italia ad averlo scelto come tale, arso al rogo solo perché cattolico, dal re ariano Atanarico. Da questo lato è l’ingresso secondario, entrato il quale, è la Sacrestia in cui sono due camini ed altrettante nicchie decorate con motivi floreali, del gusto salentino in auge nella seconda metà del XIV secolo. Per meglio godere lo spessore del luogo di culto, dopo aver percorso un breve sentiero di campagna sulla cui destra insistono gli scavi archeologici destinati a riportare in luce, dopo il “tesoretto” di monete ed il “denaro” di Federico II coniato nella zecca di Brindisi, quanto può essere restato dell’antico Monastero, e di scandagliare le trenta fosse granaie scavate nella roccia che lo circondavano, meglio è varcare il portone centrale, accanto al quale, è la bocca di un pozzo dal quale si attingeva l’acqua.

La chiesa con gli scavi in primo piano
Varcata la soglia, il silenzio che avvolge l’ariosa navata di forma rettangolare con volta a botte, dispensa serenità, ed alla vista dell’altare sul fondo con il presbiterio quadrato, anche spiritualità. Ma è alle spalle di quest’ultimo e del muro di sinistra, che splende la vera bellezza della chiesa, prosperosa col suo Monastero nel Medioevo, ed anche se di semplice struttura, buon esempio di architettura normanno-sveva. Bellezza ch’è fatta di un ciclo pittorico di pregio, qui distribuito su tre archi gotici, e dietro l’altare, su uno più ampio, costituiti da personaggi quasi tutti a figura intera e dai colori vividi, fra i quali spiccano il rosso ed il blu. Prima di ammirarli uno ad uno, lo sguardo si posa però, all’inizio del muro destro, sulla testa d’una Madonna infilzata da tre lance, con la lettera S in basso, che probabilmente indica lo status di “sancta”.

Gli archi gotici con i dipinti visti dall’altare
Nel primo arco, con al centro San Paolo con la spada, sono i Santi, Antonio da Padova e Nicola, quest’ultimo col bastone ed un cagnolino ai piedi. Nel secondo, oltre ad una scritta in greco accanto ad una figura femminile mai pienamente identificata, spiccano una Crocifissione e San Rocco. Una Madonna col bambino, San Vito con un piccolo crocifisso nella mano destra e l’Abate Sant’Antonio con barba e bastone, chiudono il terzo. Alle spalle dell’altare, ch’è in pietra leccese, sfilano una seconda Crocifissione, ma con la Vergine, San Giovanni Evangelista ed il Cristo con le piaghe in primo piano e la scritta “Mors mea vita tua”, e da ultima, la Madonna di Loreto, anch’essa col Bambino, con sullo sfondo una chiesa, che a chi scrive pare quella dell’Abbazia di Santa Maria di Cerrate. È da dire, che tutti gli affreschi di questa parte di chiesa, sono datati 1563, mentre i trittici della parete, sono della fine del Quattrocento, anche perché, di quel periodo è la conversione della copertura della navata, da legno a volta, ed il rimaneggiamento degli stessi archi oggi gotici, la cui realizzazione “rubò” circa due metri all’assetto originale della chiesa, tanto da far sparire le finestre, che effettivamente, non esistono più.
UN PO’ DI STORIA

Abside, affreschi
Al pari del Convento che pare essersi dissolto nel tempo, sebbene evento e datazione non siano certi, per desiderio di Tancredi d’Altavilla, che la donò ai monaci basiliani affinché la tenessero in custodia e la facessero prosperare, l’Abbazia di San Niceta venne realizzata nel 1167. Sul fronte storico, per leggere della sua esistenza, bisognerà attendere due secoli e mezzo, quando nel 1324, in un documento ufficiale, viene scritto: “Sancti Niceti, liciensis Diocesis”. Il nome di un suo Abate, il monaco di rito greco, Gregorio, viene inoltre menzionato in un altro documento, che è del 1365 (alla fine del Quattrocento, un altro Abate, fu Marco Antonio de Ferraris, figlio del noto umanista, nonché medico e filosofo Antonio, meglio conosciuto come il Galateo, perché nativo di Galatone). Ed in rapporto alle tasse pontificie dette “decime”, un altro inequivocabile riferimento, appare poche decine di anni dopo, nel 1392, nella vicina Abbazia otrantina di San Nicola di Casole, della quale San Niceta fu per un periodo Abbazia-satellite, pur avendo di proprio, possedimenti a Roca, Acquarica, Acaya, Vernole, e nello scomparso Casale di Pasulo, nel territorio dell’odierna Borgagne.
L’ABBAZIA DELLE CENTOPORTE
Nel silenzio della macchia mediterranea, circondata da erba spontanea e rovi, appena fuori Giurdignano, la cittadina dell’entroterra di Otranto, che per l’alta concentrazione di dolmen e menhir è nota come “Giardino megalitico d’Italia”, s’ergono le rovine di quella che fu l’Abbazia di Sant’Arcangelo de Casulis o dei Santi Cosma e Damiano. In leggera altura, fra qualche roccia affiorante ed i grossi e piccoli massi di pietra arenaria che costituivano le parti mancanti, i ruderi si parano a semicerchio, ma solo sui lati destro e sinistro, dove accanto alle mura perimetrali, è sopravvissuta una sezione dell’abside, ma non anche, purtroppo, l’altare di cui doveva essere certamente dotata. Tutto il resto è collassato. Ma anche così, l’effetto scenico resta notevole, ed immantinente, la mente elabora la fotografia, di quanto affascinante, per quanto austera, doveva essere la sua bellezza.

Giurdignano, i ruderi dell’Abbazia Centoporte
Prima dei monaci basiliani, poi dei benedettini, per via delle numerose finestre di cui era stata dotata (almeno sedici), alcune delle quali ancora visibili, dalle genti del posto era ed è tuttora conosciuta come Centoporte. Datata prima metà del VI secolo, era essenzialmente una chiesa basilicale a tre navate, lunga più di trenta metri e larga almeno dieci, dotata di un’abside poligonale e di una sorta di vestibolo a mo’ di portico, che tipico delle chiese cristiane antiche, risponde al nome di “nartece”, generalmente usato come area di attesa. Gli studi più accreditati, suggeriscono che aveva una copertura a spioventi fatta di travi di legno e tegole, più alta per la navata centrale, più bassa per le due laterali, sul modello di San Giovanni in Studion a Costantinopoli e della Basilica di Butrinto in Albania, e soprattutto, che l’interno era regolato da due file di colonne, che ognuna per proprio conto, dividevano le navate, le cui pareti dovevano essere affrescate.
QUALCHE NOTA STORICA

Resti dell’altare
Almeno un secolo dopo la costruzione, che si ritiene non sia mai stata completamente ultimata, con l’aggiunta di una Cappella nell’area absidale, un ambiente utilizzato come refettorio e dormitorio, la chiusura delle finestre, comprese le trifore della facciata, ed altre piccole strutture nel territorio circostante in direzione di Otranto, distante appena cinque chilometri, fra cui forse anche un cenobio, il luogo di culto dove si veneravano i Santi Cosma e Damiano, prese le sembianze di un vero e proprio complesso monastico. Che così strutturato, prosperò sino alla fine del IX secolo, quando inesorabile e per motivi sconosciuti, prese inizio lo stato di abbandono, successivamente interrotto – si fa per dire – dalla trasformazione in deposito di materiale edile, anche con l’apertura, poco oltre, di una cava di pietra.

L’ingresso un tempo provvisto di vestibolo
Come altre Abbazie dell’antica Terra d’Otranto, fra cui la stessa San Niceta, e nel territorio di Tricase, della Madonna del Mito, come detto, anche questa di San Arcangelo de Casulis, era collegata alla vicina di Otranto intitolata a San Nicola.
Toti Bellone
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Foto in alto: Abbazia di San Niceta, ingresso centrale

Abbazia di San Niceta, affreschi (particolari)