Salento - 26 Nov 2023

Patù, attorno al Fortino rivive la magica atmosfera del Castello Terro

Un magistrale restauro ha restituito una delle quattro antiche Torri e parte della cinta muraria. Tra filari di agrumi ed alberi da frutto, un tour da non perdere


Spazio Aperto Salento

C’era una volta un Castello e adesso non c’è più o quasi. Innalzato a scopi difensivi nella prima metà del XV secolo, quel che rimane si trova in uno degli undici paesini del Salento aderenti all’Unione dei Comuni “Terra di Leuca”. Si tratta di Patù, 1.700 abitanti, noto, fra le altre bellezze (Chiesa romanico-bizantina di San Giovanni Battista e Cripta basiliana di Sant’Elia), per “La Centopietre”, un mausoleo sepolcrale del IX secolo, e per l’insediamento d’epoca messapica di “Veretum”, distrutto dalle orde saracene nello stesso periodo.

IL CASTELLO TERRO

Inserito nell’elenco dei Borghi autentici d’Italia, in tutte le stagioni dell’anno, Patù, fondato nel 924 dopo Cristo dai superstiti della vicina Vereto, s’offre al visitatore come un paesino  ordinato e ben tenuto, elevato a città nel 1984. Fra le vie Silvio Pellico e Giuseppe Romano, i resti del maniero insistono nel cuore urbano, e si distinguono per il riuscito restauro messo a punto nel 2017.

L’antica costruzione, detta “Castello Terro”, che come altre esistenti in Terra d’Otranto, segnò il passaggio dalla dominazione angioina a quella aragonese, si sviluppava per una lunghezza di 70 metri ed aveva mura spesse da un metro e sessanta ad un metro e trenta centimetri. A pianta quadrata, contava quattro Torri realizzate con muratura a sacco, ed un cordone in pietra lavorato a toro tipico delle fortificazioni del Cinquecento, al di sopra del quale erano le bocche di fuoco per l’artiglieria, che correvano lungo i camminamenti di Ronda affacciati sulla Piazza d’Arme. Delle quattro Torri, solo una, conosciuta come “Il Fortino”, ancora svetta sul lato Sud. Assieme ad essa, resta pure un tratto delle mura, ed all’interno, un suggestivo ambiente con la volta a padiglione.

OASI DI TRANQUILLITÀ

Un filare di sette alberelli d’agrumi che si snoda lungo una via lastricata, funge da invito all’insediamento, le cui origini risalgono all’epoca in cui il territorio tutto attorno a Patù, s’identificava come Terra del Pato. Unitamente alle opere di restauro, le sue storia e vicissitudini, sono  opportunamente descritte in una composta plancia. E di esse, si trova traccia anche negli “Appunti di viaggio” datati 1884, dello studioso e medico di Lizzanello, Cosimo De Giorgi (1842-1922). Il quale ricorda pure, che oltre alle mura rinforzate da quattro Torri, esisteva un fossato in parte interrato ed in parte trasformato in giardino, nonché una Porta d’ingresso del XVI secolo, su cui spiccavano, inserite in altrettanti medaglioni, due teste umane in pietra ed uno stemma araldico. Grazie alle foto esistenti, la bella ed elegante Porta, potrebbe essere ricostruita.

Sull’altro lato del filare, a ridosso di ciò che resta delle mura, s’apre un’aiuola a forma di rettangolo, al cui interno, fra cespugli fioriti e piante in vaso, sono alcuni arbusti da frutta: nespolo, cotogno, pero, albicocco, fico, gelso moro, prunella, susino, melo e mela limone, varietà antichissima originaria del Kazakhstan. L’insieme, spazi a verde e Fortino, anch’esso lastricato nella passeggiata che ne consente la fruizione, conferiscono all’area recuperata anche nelle abitazioni confinanti, tutte ad un solo livello, un’atmosfera, che via via si tinge di magia.

Ammirando la tenuta ed i colori della pietra calcarea saldata con una miscela di terra rossa, le feritoie per l’artiglieria, persino il vetusto cannone che rimanda il pensiero ai tempi bui delle invasioni turche e delle scorribande di altri barbari, voltati gli angoli, manca solo che si materializzino le Dame ed i Signori delle famiglie feudatarie, che a partire dal 1318, dai saloni del Castello Terro, si avvicendarono al potere: dai Sambiasi ai Capece, dai De Electis ai Guarino, sino ai Granafei.

IL FOSSATO

Come ogni Castello che si rispetti, anche il Terro aveva dunque il suo fossato. Un ambizioso progetto dell’attuale Amministrazione comunale guidata dal sindaco Gabriele Abaterusso, per quanto sarà possibile, si propone l’obiettivo di riportarlo alla luce. E con esso, l’Arco decorato d’epoca romana, di cui esiste traccia nei testi antichi. Per farlo, fondi statali sono alla porta, e grazie ad essi, i lavori sono in fase di progettazione e realizzazione.

Così accresciuta, la già preziosa area storica del Fortino, lo sarà ancora di più, anche perché incastonata fra la vicina “Centopietre” voluta per celebrare la gloria del cavaliere Geminiano, messaggero di pace trucidato dai turchi che assediavano “Veretum”, ed i resti archeologici dell’antica città messapica abitata anche dalle leggendarie Gigantesse. Donne forti ed ardite alte sopra la media del tempo, che a spalla trasportarono le cento grosse pietre, con le quali venne costruito proprio il monumento funerario in onore dell’eroico cavaliere.

Toti Bellone
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Foto in alto: la Torre detta “Il Fortino”  (© T.B.)

 

Uno scorcio della Torre rimasta in piedi  (© T.B.)

Due delle feritoie per l’artiglieria  (© T.B.)

Particolare di una delle bocche di fuoco  (© T.B.)

Un cannone a guardia dello storico insediamento  (© T.B.)

Il frutteto a ridosso delle mura superstiti  (© T.B.)

Il Fortino prima del restauro

Il Portale da ricostruire