Patù - 25 Set 2022

Patù, fra storia e leggenda, viaggio nella misteriosa Centopietre delle Gigantesse di Vereto

All’interno rischiano di sparire i resti degli affreschi di tredici Santi


Spazio Aperto Salento

La prima immagine è di un avamposto militare costruito in fretta e furia per difendere un esercito prossimo alla battaglia. Un grande manufatto, detto Centopietre, eretto nel Salento messapico, ma che ricorda le antiche strutture celtiche del Nord Europa. Nella piccola Patù del Capo di Leuca, 1.700 abitanti che vivono a 114 metri sul livello del mare, si staglia in un’area periferica che i raggi del sole illuminano per quasi tutto l’anno.

LA CENTOPIETRE

Nascosta dalla chiesa romanico-bizantina a tre navate costruita fra il X e l’XI secolo ed intitolata a San Giovanni Battista, al visitatore si para davanti all’improvviso. Ed è un bel vedere: allo stesso tempo affascinante e misterioso. Realizzata con cento enormi pietre (oggi ne sono 99) in tutto simili a quelle dei muretti a secco delle campagne salentine, si sviluppa soprattutto in lunghezza e larghezza: 7 metri e venti centimetri per 5 e mezzo, contro i soli 2 e mezzo, poco più, di altezza. La leggenda la vuole eretta dalle robuste donne della vicina città messapica di Vereto (Veretum), che in altura per dominare lo Jonio ed avvistare le navi dei Saraceni, si trovava poco distante. Le Gigantesse innalzarono un luogo di culto pagano, ma in realtà, la Centopietre è un “heroon”, un monumento funerario, costruito per accogliere le spoglie di un militare di rango. Il generale francese Géminien, che prima della battaglia di Campo Re del 24 giugno 877, messaggero di pace, venne inviato dai Cristiani nell’accampamento saraceno. Di pace, però, questi ultimi non ne vollero sapere, ed anziché lasciarlo andare libero, lo trucidarono. La battaglia dell’esercito cristiano inviato dal Re di Francia, Carlo il Calvo avvenne, dunque, nella piana ancora oggi denominata Campo Re, e inaspettatamente, vide prevalere i seguaci di Dio. Per onorare la memoria del suo valente Generale, che i popolani chiamavano Siminiano o Geminiano, e degli altri Cavalieri periti in battaglia, il Re ordinò la costruzione del mausoleo sepolcrale, successivamente trasformato in “thémenos”, luogo di preghiera e meditazione, con cento grosse pietre prelevate fra quelle, possenti, delle mura di cinta di Vereto, che tempo prima, i Saraceni avevano quasi raso al suolo. Probabilmente, qualcuno le contò, quelle grandi pietre, e da allora, il monumento è noto come la Centopietre.

UN TESORO NASCOSTO

Di per sé, il mausoleo è già un tesoro, che a dispetto del tempo che passa e della scarsa valorizzazione di cui gode, pare indistruttibile. Non così, però, è per gli affreschi a soggetto sacro che contiene. Risalenti al XIV secolo, l’umidità e la mancanza di protezione, li sta lentamente ma inesorabilmente consumando, senza che nessuno si preoccupi di salvaguardarli. Per lasciarli in eredità a chi verrà nei decenni, e per offrirli, oggi, ai turisti locali e forestieri. Al riparo – si fa per dire – del tetto spiovente a due falde sorretto da cinque sostegni verticali (piedritti), consistenti in due colonne e tre pilastri che sorreggono l’architrave su cui poggiano i conci caratterizzati da blocchi con i triglifi (elementi architettonici decorativi dei fregi), sono 13 Santi di origine orientale. Alcuni in posizione eretta, altri frontale, secondo lo schema basiliano che testimonia la trasformazione della Centopietre, nel Medioevo, in Chiesa, a malapena si distinguono un San Giorgio col Drago, un San Giuliano giovane, le Sante Anna col bambino, Margherita e Barbara, ed una Crocifissione. Ma per quanto tempo ancora? Sicuramente poco, se non si interviene tempestivamente e con decisione.

MONUMENTO NAZIONALE

Un grido di allarme, è datato nientemeno che 1872. Gli studiosi lo lanciarono per la Centopietre e per quanto di prezioso conteneva. Il risultato, però, fu modesto, nel senso che un anno dopo, il manufatto venne solo dichiarato Monumento Nazionale. Non seguì, infatti, la messa in sicurezza degli affreschi, che pure, assieme al monumento, ricadono in un territorio comunale, che a fronte di appena 1.700 abitanti, è Città dal 2004 e Borgo autentico d’Italia dal 2016, per di più inserito nell’Unione dei Comuni della Terra di Leuca, che oltre a Patù, comprende Alessano, Castrignano del Capo, Corsano, Gagliano del Capo, Miggiano, Montesano Salentino, Morciano, Salve e Tiggiano. Tutte assieme, le tre realtà potrebbero, anzi, dovrebbero trovare i fondi per “salvare” i 13 Santi ancora affioranti, e con essi l’intero monumento. Che – va detto – ha due accessi attraverso i quali chiunque può entrare in contatto con l’interno e dunque con gli affreschi. Dopo la distruzione di Vereto, più a valle, Patù nacque nel ricordo del dolore seminato dalle orde saracene. Non a caso, il suo nome deriva dal greco “pathos” o “pathior”, il cui significato è proprio dolore, patimento. L’auspicio, è che dopo quello  patito nell’877 con la battaglia di Campo di Re e prim’ancora con la capitolazione di Vereto, i veretini di ieri, oggi patusci o patuensi, non abbiamo a patirne altro, di dolore, per la distruzione dei mirabili affreschi della loro, nostra, mitica Centopietre.

Toti Bellone
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Foto in alto: la Centopietre vista dall’ingresso principale (© T.B.)

 

Uno dei due accessi privi di protezione, sullo sfondo la Chiesa di S. G. Battista (© T.B.)

Il secondo accesso privo di protezione (© T.B.)

Un particolare della misteriosa struttura (© T.B.)

Una veduta dell’interno (© T.B.)

Un’altra immagine della parte interna (© T.B.)

Uno dei 13 Santi raffigurati negli affreschi murari (© T.B.)

Un altro affresco affiorante che rischia di consumarsi (© T.B.)