Shoah - 27 Gen 2021

La Giornata della Memoria, il perché del ricordo

27 gennaio: una data per non dimenticare l’Olocausto e tutti i genocidi che ancora oggi si consumano nel mondo


Spazio Aperto Salento

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale voluta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, istituita nel novembre del 2005, a sessant’anni dalla liberazione dai campi di concentramento nazisti e dalla fine dell’Olocausto, per commemorarne le vittime.

In Italia già dal 2000, con Legge 211 del 20 luglio, fu istituito il “Giorno della Memoria”, in ricordo dello “sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.

La storia dell’Olocausto ebbe origine a Monaco. Un giorno, in una birreria, un imbianchino disse: “Se andrò al potere, la prima cosa che farò sarà quella di distruggere il popolo ebraico”.

Alcuni anni dopo, quell’imbianchino, di nome Adolf Hitler, andò al potere. Il 29 gennaio 1933 fu nominato cancelliere e mise in moto una macchina che assassinò i nove decimi del popolo ebraico in Europa.

Hitler era convinto che il popolo tedesco fosse una “razza superiore” e che gli Ebrei rappresentassero una razza inferiore, un pericolo per la popolazione germanica e, con questa propaganda, conquistò il potere in Germania.

Durante il periodo nazista, le autorità tedesche presero di mira anche altri gruppi ritenuti di “razza inferiore”: i Rom, i disabili, le popolazioni slave (Polacchi, Russi) e gli omosessuali.

Altri gruppi vennero invece perseguitati per le loro idee politiche, per il loro credo ideologico o a causa di determinate caratteristiche comportamentali: in particolare, coloro che credevano negli ideali del Comunismo, del Socialismo e i Testimoni di Geova.

Durante il regime nazista circa sei milioni di Ebrei e un numero tra i sei e gli undici milioni di altre genti, furono perseguitati e sterminati.

Questo assassinio di massa si chiama, in ebraico, “Shoah”; e per indicare lo sterminio di tante genti si usa la parola “Olocausto”, termine di origine greca, che significa “sacrificio tramite il fuoco”.

La condizione civile degli ebrei d’Europa inizia a mutare radicalmente con la Rivoluzione francese. Dalla limitazione nei diritti, di proprietà terriera, di residenza e di esercizio delle professioni cui erano stati sottoposti dal medioevo a tutto l’antico regime, fino alla fine dell’Ottocento, gli ebrei degli Stati europei, compreso l’Impero russo e quello ottomano, passano a una più o meno ampia uguaglianza di diritti con gli altri cittadini.

Nell’anno 1900, in Germania, gli studenti ebrei, che conseguivano la maturità, erano otto volte di più dei loro compagni cristiani e cento anni prima, il gap era ancora maggiore.

L’ascesa del nazionalsocialismo tedesco, basato sull’antisemitismo, riporta la questione ebraica al centro dell’attenzione.

La propaganda nazista accusò apertamente gli Ebrei di essere i responsabili della sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale e di costituire un’internazionale di capitalisti e di sfruttatori, tendente al dominio del mondo e all’oppressione della razza ariana.

Il regime cavalca un fenomeno molto antico, un’ostilità di carattere religioso, viva fin dai primi secoli del cristianesimo; si accusano gli  ebrei di essere il popolo discendente da Giuda, da cui giudei, il traditore di Gesù, venduto per i famosi trenta denari.

Le quattro tappe dell’Olocausto furono: emigrazione, ghettizzazione, massacri con unità mobili, campi di sterminio.

La “persecuzione” degli ebrei e delle altre genti, fu effettuato per gradi, per tappe, da una politica apertamente discriminatoria, si passa ad una persecutoria, fino a giungere allo sterminio.

Soluzione emigrazione (1933-1941)

Inizialmente, sino allo scoppio della guerra, l’obiettivo principale del nazismo di Hitler consistette nel rendere il Reich judenfrei, vale a dire “libero dagli ebrei”.

Il sistema prescelto per “ripulire” la Germania dagli ebrei fu, in questa prima fase, costringerli ad emigrare all’estero, rendendo loro impossibili le condizioni di vita, con emarginazione, arresti, allontanamento dai posti di lavoro, confisca di tutti i beni.

Ma la soluzione “emigrazione”, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, era sostanzialmente fallita, nacque allora l’idea di trasferire forzatamente gli ebrei in un luogo distante, nell’isola di Madagascar, una colonia francese, ma occorreva raggiungere un accordo diplomatico con la Francia, la quale non acconsentì.

E comunque, nel 1940, la situazione era mutata: non si trattava più di far emigrare 520.000 ebrei tedeschi, occorreva sbarazzarsi anche degli ebrei polacchi, che assommavano a più di 2.000.000 persone.

Ghettizzazione

Il regime nazista, per controllare con maggiore facilità gli ebrei, creò appositi ghetti, cioè parti delimitate di una città.

Il ghetto, indica una zona della città in cui gli appartenenti a determinate genti sono confinate, completamente rinchiuse durante la notte.

Già dal 1.200 iniziarono a formarsi i primi quartieri riservati agli ebrei in Germania, Spagna e Portogallo, dove le tensioni razziali erano più acute.

Per molti secoli la chiesa alimentò, nel popolo, questa convinzione demagogica, che servì a giustificare la persecuzione e l’eliminazione della “concorrenza” religiosa.

Il loro costante rifiuto di farsi cristiani era una specie di legittimazione alla persecuzione. Gli ebrei erano da sempre percepiti come diversi ed erano appena tollerati; per tale ragione spontaneamente tendevano a vivere in gruppo. In piena guerra il problema si aggravò ulteriormente.

L’invasione del Belgio, dell’Olanda, della Francia, della Danimarca e della Norvegia fece aumentare ulteriormente il numero degli ebrei caduti nelle mani del nazismo.

L’obiettivo prioritario, rendere judenfrei la Germania, si allargò a dismisura: si trattava ora di rendere judenfrei l’intera Europa.

Si fece così strada un’altra soluzione: deportare gli ebrei europei all’Est, concentrandoli nei territori polacchi occupati. Creare in Polonia dei grandi ghetti apparve la soluzione migliore, ma si scontrava con un altro pilastro dell’ideologia nazista: la Germania doveva espandersi ad Est, nei territori occupati.

Sterminio in Unione Sovietica

Nel 1941 la Germania si stava preparando ad invadere dell’Unione Sovietica.  Ma l’invasione dell’Ucraina, della Bielorussia e della Russia europea, avrebbe aggravato il “problema ebraico”.

Infatti gli ebrei che vivevano in Unione Sovietica, ammontavano a circa 4.000.000. Fu scelto di eliminare fisicamente gli ebrei dell’Unione Sovietica, con i nuclei di sterminio mobili, appositamente creati.

Mentre le truppe tedesche avanzavano, alle loro spalle, altri soldati tedeschi, iniziarono un sistematico massacro che, secondo le valutazioni degli storici, provocò oltre 1.500.000 morti.

Con la soluzione di sterminare sul posto gli ebrei si attuò, per la prima volta, un piano di eliminazione fisica.

Soluzione finale – 1942

Tuttavia, il sistema di sterminare gli ebrei, dove vivevano, non poteva essere adottato al di fuori dell’Unione Sovietica. Lo sterminio degli ebrei occidentali non poteva essere attuato con mezzi così brutali ed evidenti. Non si potevano assassinare in massa gli ebrei olandesi, francesi, greci alla luce del sole.

Fino al 1945, la Germania Nazista creò più di 42.000 campi di concentramento e altre strutture destinate a incarcerare o isolare gli Ebrei (inclusi i ghetti) e altri gruppi di indesiderabili.

Questi campi furono usati per diversi scopi, tra i quali i lavori forzati, la detenzione, e l’eliminazione in massa dei prigionieri.

Nei campi di sterminio, predisposti a oriente, si adottò la “soluzione finale”: l’annientamento fisico degli ebrei.

La macchina dello sterminio, però, venne costantemente mantenuta nella massima segretezza; nessuna indicazione veniva fornita sulla destinazione dei lunghi convogli ferroviari, che da tutta Europa trasferivano gli ebrei.

Per tranquillizzare le vittime si diffondevano voci su nuovi insediamenti confortevoli, creati appositamente per i deportati.

Deportati

Una triste immagine di un campo di concentramento

Il 27 gennaio 1945, le truppe della Prima Armata del Fronte Ucraino, comandata dal maresciallo Koniev, abbatterono i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz rivelando, al mondo, l’orrore del genocidio nazista.

Già il 18 gennaio, per paura che l’esercito sovietico li catturasse, i gerarchi nazisti avevano iniziato la ritirata. Tutti i prigionieri sani furono evacuati: le S.S. si portarono dietro più di 60.000 detenuti per un’ultima e terribile “marcia della morte” verso i lager dell’Ovest. Solo pochi di loro si salvarono.   

La consapevolezza dell’enormità delle uccisioni e delle condizioni disumane, in cui furono tenuti i deportati, venne alla luce solo dopo l’ingresso nei campi di concentramento e sterminio, abbandonati dai nazisti in fuga, delle truppe russe e alleate, sul finire della guerra.

Italia e le “Leggi razziali”

Che gli ebrei fossero una razza “inferiore”, se ne convinse anche Benito Mussolini, dittatore fascista ed alleato di Hitler. Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi, applicati in Italia a partire dal 1938 e furono rivolte, prevalentemente, contro le persone di religione ebraica. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938, a Trieste, da Benito Mussolini. 

 

27 gennaio, Giornata della Memoria

È per questo che oggi si celebra La Giornata della Memoria, proprio perché il 27 gennaio 1945 fu liberato il campo di sterminio di Auschwitz. È una giornata speciale, una giornata dedicata al ricordo della Shoah.

Perché ricordare una storia tanto triste?

Ad Auschwitz, uno dei più terribili campi di concentramento, è stata trovata una pietra anonima, dove con un chiodo un prigioniero ha lasciato scritto: “Chi mai saprà quello che mi è capitato qui?”. Non sappiamo chi fosse, sappiamo solo che era una persona che ha sofferto in modo incredibile. Ricordare tutte quelle vittime è quindi molto importante, un atto dovuto.

Negli anni Sessanta, il ricordo di quei fatti era affidato solo alla testimonianza lasciata da Anna Frank nel suo Diario. Oppure a Primo Levi, chimico, partigiano, scrittore, deportato ad Auschwitz, un sopravvissuto, e al suo libro “Se questo è un uomo”. O ancora a Francesco Guccini, che nel 1965 aveva scritto: “La canzone del bambino nel vento, Auschwitz”, cantata dai Nomadi.

Anna Frank

C’è voluto del tempo perché le persone che si sono salvate incominciassero a raccontare la loro storia ed ora, tutti noi, abbiamo il dovere di non dimenticarla. Perché quella memoria ci può aiutare a costruire un futuro migliore, dove l’odio non esista più, dove ci sia la tolleranza, la solidarietà, il rispetto degli altri, anche se sono diversi da noi.

Per non dimenticare tutti i genocidi e le guerre razziali che ancora oggi si combattono nel mondo, per non dimenticare il popolo dei barconi, per non dimenticare che i Ghetti continuano ad esserci, per non dimenticare, infine, che il bullismo è violenza ed odio.

 La tragedia del popolo dei barconi

Un’immagine di un ghetto dei giorni nostri

Nei “ghetti” si muore ancora

Il bullismo è violenza e odio

 

Servizio di Mauro Vaglio
Direttore Centro Servizi Culturali e Bibliotecari di Nardò