Intervento - 08 Feb 2023

“Cessate di uccidere la bellezza (per favore)”

Intervento dello storico dell’arte Paolo Agostino Vetrugno dopo la serata di apertura della 73a edizione del Festival di Sanremo


Spazio Aperto Salento

Lascia perplessi l’indecoroso spettacolo (perché di decoro si tratta, in prima battuta) offerto nella prima serata del Festival di Sanremo di quest’anno, in cui un cantante (preferisco non nominarlo), per un motivo ai più sconosciuto (forse per un raptus creativo?), distrugge con rabbiosa violenza la decorazione floreale posta ad arredo del palco su cui si esibiva. Nella speranza che sia stato risparmiato l’episodio al Capo dello Stato, ospite per la prima volta a Sanremo, e che fosse già andato via, credo che non ci sia alcuna motivazione che possa giustificare un atto di vandalismo o di estrema violenza, perché reiterato. Vorrei augurarmi che, alla fine, non passasse magari come un intervento artistico, riconosciuto con tanto di imprimatur dai più ben pensanti spiriti di cui è piena la galassia della critica musicale, che, aperti al fascino del disarmonico, sono indulgenti e tolleranti, soprattutto se si tratta di violenza che non li tocchi personalmente. Al di là della disapprovazione del pubblico presente in sala ieri sera, l’episodio merita alcune riflessioni perché ci stiamo sempre più abituando alla «banalità del male» che è frutto della «banalità dell’essere».

La prima riflessione è che di questi atti, soprattutto attualmente, nessuno ha bisogno, in un momento in cui una guerra, irrazionale come tutte le guerre, è alle nostre porte e che prima di tutto è espressione del perduto senso di umanità; in un momento in cui lo stesso Festival è stato giustamente aperto con un minuto di raccoglimento per le numerosissime vittime di un evento che, per quanto naturale ed imprevedibile, in Turchia e Siria ha mietuto violentemente migliaia di vite umane, distruggendo tutto in una manciata di secondi; nel momento in cui la stessa conduttrice della serata cerca di richiamare l’attenzione sul notevole disagio delle donne a vivere in questa assurda società violenta, che quotidianamente dimentica che ogni essere umano nasce da una donna. Perciò, non abbiamo bisogno di dimostrazioni di rabbia e di irrequieta stizza. Semmai del contrario.

Quel cantante esibitosi nella prima serata forse non sa che, proprio dal palco del Festival di Sanremo, nel lontano 1967 i Giganti cantavano il brano Proposta, meglio conosciuto come Mettete dei fiori nei vostri cannoni, divenendo nel tempo uno slogan dei pacifisti, soprattutto in relazione alla guerra del Vietnam. Ora, prendersela rabbiosamente con i fiori, fragili e leggeri, con il loro profumo ed i loro colori, è esattamente il contrario di sapersi opporre alla violenza in nome della tolleranza, della gentilezza e della compassione. E pensare che, nella novella pirandelliana Canta l’epistola, il protagonista Tommasino Unzio, nella sua continua ricerca del mistero racchiuso nelle piccole cose, andrà incontro alla morte certa «per un filo d’erba». Ma, ripeto, di atti di pura violenza plateali la nostra società non ha bisogno.

Il problema è la banalizzazione dell’azione, che sono convito sarà fatta passare come un evento naturalmente accettabile, anche se condannabile (con la solita ambiguità di un buonismo di maniera), perché alla fine è comprensibile se rapportato alle dinamiche scatenanti (si dice così?). Proprio la scarsa attenzione a queste prese di posizioni, invece, hanno fatto radicare storicamente la bellezza del “pugno” che era preferibile alla bellezza della “Nike di Samotracia ”, ed altre espressioni di quel Futurismo che è stato ampiamente dimostrato dalla letteratura di settore essere l’anticamera del Fascismo. Come è passata tranquillamente l’espressione “me ne frego” che era incisa sui pugnaletti fascisti, oltre ad essere il titolo di una canzone del Ventennio, ed ora, con buona pace di tutti, è il titolo di un brano, sempre proposto a Sanremo nel 2020.

Cosa stia accadendo di preciso nella nostra società, è difficile al momento stabilire o far comprendere ai giovani. Tuttavia, parafrasando Ungaretti, mi sento di dire: cessate di uccidere la bellezza (per favore). Tacere o far finta di niente, non considerare i risvolti morali, professionali, di responsabilità giuridica per aver procurato un danno, a tutti gli effetti, allo spettacolo, all’immagine degli organizzatori anche a livello internazionale e, non ultimo, a coloro che con arte e tanto amore per il bello hanno confezionato quelle composizioni floreali, (i salentini dovrebbero saperlo bene per l’annuale Festa dei fiori di Leverano, divenuta nel tempo la «Sanremo del Salento») significa schierarsi dalla parte dell’irrazionale violenza, che, come è noto, la Rai ha ritenuto giustamente di dover bloccare in altri contesti, come ad esempio quando si è trattato di Enrico Montesano; ma quella è un’altra storia.

Comunque, come dice il protagonista del romanzo L’idiota di Fëdor Dostoevskij, è vero che «la bellezza salverà il mondo», ma la felice e fortunata affermazione ha un piccolo problema: occorre che qualcuno salvi la bellezza.

Paolo Agostino Vetrugno
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