Inaugurata lo scorso 9 ottobre, l’esposizione può essere visitata fino all’8 gennaio 2023
Fino a domenica 8 gennaio è aperta alla Fondazione Biscozzi | Rimbaud a Lecce la mostra Sensibilità percettive di Grazia Varisco, curata da Paolo Bolpagni. Le opere presentate al pubblico sono diciassette, uno spaccato della produzione dell’artista milanese (classe 1937), di carattere antologico, che si articola cronologicamente nelle tre sale del piano terra dello spazio espositivo dedicato alle mostre temporanee.
L’allestimento restituisce, per quanto possibile, la complessità del percorso di Varisco, a cominciare dalla prima opera in mostra, Tema e svolgimento (1957-1959), risalente alla fase di apprendistato dell’artista e precedente alla sua adesione al Gruppo T e, dunque, al suo esordio. Il lavoro, infatti, appartiene alle indagini iniziali – sui Materici – svolte tra le mura dell’Accademia di Brera, dove, da allieva di Achille Funi, frequenta i corsi dal 1956 al 1960.
Al termine della sua formazione partecipa al gruppo milanese, intervenendo nel ciclo di mostre intitolate Miriorama, e subito dopo, nel 1963, al movimento internazionale Nouvelle Tendance, indagando le possibilità di interazione con l’opera e sperimentando tecnologie e materiali diversi; al contempo prende parte alla Biennale del 1964 e alla Quadriennale del 1965, confermando una sua presenza sulla scena artistica non solo nazionale.
È la prima sala, con le tavole magnetiche e gli oggetti cinetici – per citarne alcune – a mostrarci gli aspetti della produzione degli anni Sessanta, tutta orientata ai linguaggi dell’astrazione e al ricorso a meccanismi elettrici, e tipici del concetto di opera aperta di cui Umberto Eco scrive proprio in quegli anni (1962).
Gillo Dorfles a proposito di Varisco, in occasione della mostra personale alla Galleria Schwarz di Milano nel 1969, sostiene che “l’interesse dell’opera deriva da modificazioni strutturali nella recezione dell’oggetto in seguito a sue trasposizioni percettive e quasi sempre tali trasformazioni sono ottenute con mezzi semplici, addirittura elementari, ma – ed è qui il fatto significativo dal punto di vista estetico – pregnanti”; giudizio critico che ben può sintetizzare questa fase – appena successiva alle esperienze collettive – di ricerche individuali, come nel caso di +Rossonero- (1968) e Oggetto ottico-cinetico (1968-1969).
Seguono, nella seconda sala, opere degli anni Settanta e Ottanta, in cui l’aspetto modulare diventa man mano più presente, a ricordarci che la frequente semplificazione di Varisco a membro del Gruppo T non rende giustizia all’assai più articolato cammino artistico. Vi figura la Meridiana 2 (1974), caratterizzata da strisce metalliche aggettanti che il curatore legge “in un meccanismo percettivo che è sempre mutevole e instabile”, e alcune Extrapagine, realizzate attraverso la piegatura di carta e cartoncini, sempre strabordanti dalla cornice e dalla bidimensionalità. Ai lavori a parete, a conferma delle indagini spaziali dell’artista, si aggiunge la scultura modulare Incastro giallo, del 1987.
Conclude il percorso la terza sala, dove alle tre opere, ormai del nuovo Millennio, si accompagna la didascalia testuale, di pugno dell’artista: “Ostinata cerco appigli di riflessione, in equilibrio incerto fra contenitore e contenuto, fra pieno e vuoto”, che ci testimonia una certa attenzione di Grazia Varisco anche alla scrittura e al racconto di prima mano delle proprie ricerche artistiche. Quadri comunicanti (2008), Filo rosso (2009) e Silenzi (2006) tornano sulla semplificazione delle forme, sulla modularità e sulla dinamicità nello spazio. L’ultima, tra quelle che ho indicato, è un’opera mobile, che è possibile aprire o chiudere lungo la parete; si tratta di una sovrapposizione di rettangoli bianchi di diverse dimensioni, nata da un’intuizione avuta impilando diversi passe-partout.
Alle diciassette opere vanno addizionate due tavole magnetiche donate da Varisco perché chiunque possa interagirci, spostando i diversi elementi – linee, segmenti, punti e cerchi, rettangolari specchiati – che vi sono posti; strumento ludico e partecipativo, da sempre ricercato dall’artista: scrive nel 1962 a proposito delle tavole magnetiche “il tutto un invito al gioco; a giocare sugli opposti […], a giocare attribuendo una funzione espressiva agli elementi e al campo”, come anche di gioco parla Eco, proprio in riferimento ai lavori del Gruppo T.
Non stupisce la scelta della Fondazione, nelle figure del direttore scientifico Bolpagni e della presidente Dominique Rimbaud, di dedicare a Grazia Varisco la terza mostra temporanea: attenti osservatori del dibattito critico, colgono l’attenzione riservata alle artiste storicizzate da Cecilia Alemani per la Biennale 2022 e la continuità con la mostra antologica milanese, ordinata negli spazi di Palazzo Reale e curata da Marco Meneguzzo, ritenuta dalla critica Ada Masoero sulle colonne del “Giornale dell’Arte” un “meritato risarcimento per un’artista di indiscusso valore”.
Ma pure è evidente il fil rouge che collega l’operato di Varisco ad alcune scelte della collezione permanente Biscozzi | Rimbaud, orientate alla seconda metà del XX secolo.
Rosanna Carrieri
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Foto in alto: Grazia Varisco, Filo rosso, 2009, tre elementi in ferro e tondino verniciato, 64×49 cad.
Grazia Varisco, Sensibilità percettive
Grazia Varisco, Sensibilità percettive, seconda sala
Grazia Varisco, Tavola magnetica trasparente ‘Filamenti liberi’, 1960
Grazia Varisco, Tavole magnetiche