• mercoledì , 23 Ottobre 2024

Arte contemporanea - 10 Lug 2021

Giovanni Valentini, una produzione tra arte e scienza

Omaggio all’artista galatinese scomparso lo scorso giugno


Spazio Aperto Salento

«Io mi sono sempre immaginato un futuro rivoluzionario, dove gli Artisti diventano Ingegneri-Scienziati, e gli Scienziati diventano Ingegneri-Artisti». Sono parole di Giovanni Valentini, scomparso lo scorso giugno, l’artista che impegnò le ricerche visive della sua carriera per indagare quello che lui definì Multiuniverso.

È necessario esordire con qualche nota biografica sull’artista che per primo fece proprio nelle sue ricerche il termine Cyborg, diffuso dagli scienziati Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline negli anni Sessanta  – in riferimento al modello di un individuo potenziato, il cui confine tra essere umano e macchina, appariva sempre più sfumato – comprendendone nella diffidenza generica, un importante slancio per la virtualità del pianeta, un mezzo per raggiungere una nuovo mondo, aperto verso Cyborg.

Nato a Galatina nel 1939, Valentini si diplomò all’Istituto d’Arte di Lecce. La sua formazione avvenne tra Napoli e Milano. In quest’ultima città, nei primi anni Sessanta, si trasferì assieme all’amico e collega Armando Marrocco. In questo torno di anni conseguì il diploma di Programmatore informatico e di Computer graphic e collaborò con diversi Istituti e Università, tra queste la Facoltà di Biologia dell’Università di Pisa.

La rete di rapporti che intrattenne fin dalla giovane età, lo vide impegnato nello studio di Lucio Fontana il quale, secondo Valentini, attraverso le sue opere “bucò lo spazio- tempo” raggiungendo una nuova realtà capace di spingersi oltre la bidimensionalità della tela. Coinvolto nell’ambiente culturale e progressista del tempo, conobbe uomini di lettere come il saggista Silvio Ceccato – noto in particolare nel campo della cibernetica – e l’artista e scrittore Bruno Munari.

Sono gli anni delle prime tecnologie missilistiche e dell’esplorazione spaziale, della volontà di indagare nuove realtà. La scoperta scientifica fu il filo conduttore delle ricerche visive di Valentini «tra i primi in Italia a lavorare sul rapporto tra arte e scienza, e in particolar modo sulla plurisensorialità», spiega il critico d’arte Toti Carpentieri. Agli anni Sessanta risalgono i suoi primi lavori di op art, un’arte essenzialmente grafica che, servendosi delle nuove tecnologie, permise di generare illusioni visive e di movimento, riproducendo le sequenze percettive in successione ottica.

«Valentini si è dedicato all’invenzione veridica o verosimile», aveva scritto di lui Lea Vergine nel 1995. Con l’opera Cibernetica visiva (fig.1), indagò scientificamente la realtà servendosi del suo sapere e di logici algoritmi, conservando l’indubbia qualità estetica dell’opera in un progetto che partì dal reale per raggiungere il virtuale.

Negli anni successivi, probabilmente ispirata dal disaccordo con le parole del matematico e fisico Blaise Pascal, secondo cui spetta all’uomo il compito di dare un senso all’Universo, Valentini orientò le sue riflessioni estetiche sul tema degli Universi Paralleli. Riflessioni che visualizzò in opere presentate nel 1967 in occasione della mostra personale, organizzata presso la Galleria Rizzato-Withworth-Diagramma a Milano. In questo ciclo di opere, sostenne come l’essere umano in quanto figlio dell’Universo non può dominarlo ma può conoscerlo attraverso la Natura e grazie al contributo del progresso, esplorarlo e prenderne coscienza.

Universi Paralleli aprirono le frontiere alle “dimensioni multiple”. Una delle opere esposte in occasione della mostra, fu realizzata attraverso pannelli, (o per meglio dire lenti trasparenti) entità a tratti impercettibili sospese negli ambienti della galleria, (appunto nello “spazio”) sembrano interagire tra di loro, dialogare (fig. 2). Riprendendo la Teoria M, che ipotizza un mondo a undici dimensioni, sviluppata dal fisico teorico Edward Witten, rimarcò l’esistenza di Universo nel quale non siamo soli e per cui  sarebbe più corretto parlare di Multiuniverso.

La visione Positivista del progresso indirizzò, negli anni Settanta, Giovanni Valentini a sperimentare i processi innovativi dell’ibernazione – come si vede nella figura 3 che lo vede ritratto vicino ad un congelatore ad azoto liquido. Ciò che per anni sembrò frutto di fantascienza, uno studio su IBER – Tecnologia dell’Ibernazione, gli assicurò il premio San Fedele dell’omonima galleria milanese. La mostra allestita nel 1971 a Milano, negli spazi della Galleria Apollinaire, lo vide presentare diverse specie di animali ibernati, fermi nel tempo e piccoli frammenti di tessuti umani, conservati in congelatori ad azoto liquido a -270°C. In quella rassegna «prendeva corpo l’interesse verso la trasposizione concettuale in arte di scienza e natura» ci indica Raffaele Gemma, che nel corso della sua vita ebbe occasione di confrontarsi con Valentini che definisce avveniristico e anticipatore. Non a caso «a distanza di 50 anni, ho visto affrontare in TV da altri le stesse tematiche» aggiunge.

Un progetto di ibernazione” – come lo definì Valentini – che negli anni successivi lo vide cimentarsi in una performance in cui, immobile in una teca trasparente, simulò l’ibernazione dell’essere umano (fig. 4): una performance artistica che probabilmente ha una radice storica che testimonia il costante interesse di Valentini per il progresso scientifico (pochi anni prima, nel 1967 era stato crioconservato il primo essere umano, il professore James Bedford).

Nel 1974, una mostra allestita presso la Galleria milanese La Darsena, lo vide impegnato nel superamento del piacere estetico-visivo dell’opera tradizionale, per coinvolgere il senso dell’olfatto, con oltre 4000 aromi e combinazioni aromatiche provenienti da diversi luoghi del mondo. «Dove c’è vita c’è un modello e dove c’è un modello è attuabile la ricerca scientifica» come nelle parole di Lea Vergine, è in concomitanza con il progresso che avanzò la sua produzione

Pioniere di una nuova forma espressiva che fonde i medium prodotti dallo sviluppo tecnologico e scientifico con la tradizionale arte figurativa, si cimentò in molteplici Simulazioni Maths, sull’immensità dell’Universo, vale a dire raffigurazioni di galassie, nebulose, fenomeni celesti e buchi neri – che interpretò come eventuali portali per raggiungere altri Universi.

Neri sconfinati rischiarati da luminose stelle, giochi di rimandi alla conoscenza del vero dovuta allo sviluppo scientifico e alla metafora delle energie che si sprigionano nel Multiuniverso che, con diverse tonalità di colore, rendono i ritmi delle mutazioni e dei flussi di corpi in movimento (fig. 5).

Nei suoi lavori, Valentini manifestò un crescente entusiasmo nei confronti dell’esplorazione spaziale, per lui principale fonte di ispirazione tanto quanto la speranza condivisa di poter viaggiare nel passato. Come a bordo della macchina del tempo di Paul Davies, lavorò per diversi anni sull’aspetto scientifico della Natura. Raccolse in diverse zone dell’Africa elementi che spesso sono soggetti a studi come foglie, fossili e pelli di animali, che trasformò in oggetti d’arte – in parte presentati in occasione della personale alla Galleria Dieci.2 di Milano nel 2012 (fig. 6).

Indubbiamente anticipando i tempi, Valentini caratterizzò l’estetica- scientifica della sua produzione, attraverso i nuovi media tecnologici, dando forma a quello che Toti Carpentieri ha definito il suo “mondo cyborg”.

Alessia Brescia
© Riproduzione riservata

 

Foto in alto: (fig. 1) Giovanni Valentini, Cibernetica visiva, 1961

 

(Fig. 2) Giovanni Valentini, Universi Paralleli, 1971, Milano, Galleria Apollinaire

(Fig. 3) Giovanni Valentini accanto ad un congelatore ad azoto liquido utilizzato per l’ibernazione, 1967

(Fig. 4) Giovanni Valentini impegnato nella performance, 1971

(Fig. 5) Giovanni Valentini, Galassia cyborg del profondo cielo, Simulazione manuale maths di galassia del profondo cielo (1970-1985)

(Fig. 6) Giovanni Valentini, Fossili di pesci d’Africa, Milano, Galleria Dieci.2, 2012.