Messaggio ai politici - 09 Gen 2022

“Il bene comune deve rimanere sempre il fine ultimo della politica”

Don Carmine Canoci propone la lettura di alcuni brani dedicati ai politici “operatori di pace” tratti da “Sui sentieri di Isaia”, volume scritto nel 1989 dall'indimenticabile don Tonino Bello


Spazio Aperto Salento

Conservo tra le mie cose un vecchio e caro libro: “Sui sentieri di Isaia” (Edizioni La Meridiana, 1989), stampato su carta riciclata al 100%. Autore è il vescovo don Tonino Bello (Alessano 1935 – Molfetta 1993). Scrisse l’opera in anni di attivissimo e generoso impegno in qualità di pastore della Diocesi di Molfetta e presidente di Pax Christi, il movimento cattolico internazionale per la pace. Il grande Presule salentino dallo scorso novembre 2021 è divenuto Venerabile a seguito di Decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzato da Papa Francesco, riguardante le virtù eroiche del Servo di Dio.

Nel libro in questione sono riportati discorsi e interventi di don Tonino rivolti a vari operatori ed eventuali costruttori di pace. Inutile chiedersi chi sono questi tali. Secondo il compianto Vescovo (“quasi santo”) sono tutti coloro, donne e uomini, che hanno a cuore il bene degli altri, così come il proprio. Tra questi c’è anche chi, per raggiungere lo scopo, si rende disponibile a percorrere gli itinerari della politica ‘”forma più alta di carità” (Paolo VI). Nel libro, infatti, sono riportate alcune preziose riflessioni che monsignor Bello proponeva, nel corso di incontri di spiritualità organizzati una volta l’anno e indirizzati proprio agli operatori della politica.

In questo tempo, “tempo di lavori in corso” per la nostra collettività, ritengo utile richiamare l’attenzione su alcuni suoi autorevoli interventi. Chissà, potrebbero servire…

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Copertina del volume

Operatori di pace
Pace, per usare un’immagine, è un’acqua che viene da lontano: l’unica in grado di dissetare la terra; l’unica capace di placare l’incoercibile bisogno di felicità sepolto nel nostro inquieto cuore di uomini. Quest’acqua che, in larga parte discende dal cielo e in minima parte deriva dalle risorse idriche della terra (ma anche queste, in ultima analisi, non provengono dall’alto?), si trova in un acquedotto. Si tratta ora di portarla a tutti. Ed eccoci al ruolo degli operatori di pace, cioè dei politici.

Chi sono?
Sono i tecnici delle condutture; gli impiantisti delle reti idrauliche; gli esperti delle rubinetterie. Sono coloro che, servendosi di tecniche diversificate, si studiano di portare l’acqua della pace nella fitta trama dello spazio e del tempo, in tutte le case degli uomini, nel tessuto sociale della città, nei luoghi dove la gente si aggrega e fioriscono le convivenze. Qui è bene sottolineare una cosa. L’acqua è una: quella della pace. Le tecniche di conduzione, invece, cioè le mediazioni politiche, sono diverse. E diverse sono anche le ditte appaltatrici delle condutture. Ed è giusto che sia così. L’importante è che queste tecniche siano serie, intendano servire l’uomo, e facciano giungere l’acqua agli utenti.
Senza inquinarla. Se lungo il percorso si introduce del veleno, non si serve la causa della pace.
Senza manipolarla. Se nell’acqua si inseriscono additivi chimici, magari a fin di bene, ma derivanti dalle proprie impostazioni ideologiche, non si serve la causa della pace.
Senza disperderla. Se lungo le tubature si aprono falle, per imperizia o per superficialità o per mancanza di studio o per difetti tecnici di fondo, non si serve la causa della pace.
Senza trattenerla. Se nei tecnici prevale il calcolo, e si costruiscono le condutture in modo tale che vengano favoriti interessi di parte, e l’acqua, invece che diventare bene di tutti, viene fatta ristagnare per l’irrigazione dei propri appezzamenti, non si serve la causa della pace.
Senza accaparrarsela. Se gli esperti delle condutture si ritengono loro i padroni dell’acqua e non i ministri, i depositari incensurabili di questo bene di cui essi devono sentirsi solo i canalizzatori, non si serve la causa della pace.
Senza farsela pagare. Se i titolari della rete idrica si servono delle loro strumentazioni per razionare astutamente le dosi e schiavizzare la gente prendendola per sete, non si serve la causa della pace. Si serve la causa della pace quando l’impegno appassionato dei politici sarà rivolto a che le città vengano allagate di giustizia, le case siano sommerse da fiumi di rettitudine e le strade cedano sotto una alluvione di solidarietà.

Il bene comune deve rimanere sempre il fine ultimo della politica.
Questo significa due cose. Anzitutto, rifiutare la politica come gestione della cosa pubblica per il bene di una parte, di una corporazione, di un gruppo di potere o di pressione. “I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune; mai, però, è lecito anteporre il proprio interesse al bene comune” (dai documenti del Concilio).
E poi significa mettere al centro la persona, adottandola come misura di ogni impegno; come principio architettonico di ogni scelta; come criterio assiologico supremo. La persona, non il calcolo di parte. La persona, non le astuzie di potere. La persona, non le mosse egemoniche. La persona, non il prestigio delle fazioni.

Politica: mestiere ingrato e incompreso
Cari politici (e quanti di essa si occupano), vorrei qui spendere una parola per darvi un po’ di coraggio. Oggi il vostro mestiere è fra i più ingrati e incompresi. Quando si parla di voi la gente corruga la fronte, ricorre alla battuta convenzionale, si sente autorizzata dal tacito consenso generale ad avanzare giudizi pesanti e, bene che vada, l’aggettivo più innocuo che appone alla parola “politica” è quello di “sporca”.
È segno che c’è un diffuso scetticismo sulla gratuità del vostro impegno, o sulla serietà della vostra missione, o sull’autenticità del vostro carisma. La gente con voi o è ossessivamente cortigiana, strisciandovi davanti con le forme del lecchinaggio più vile, o vi disprezza dall’alto della sua sufficienza, indicandovi come i capri espiatori di ogni malessere sociale, anche il più ineluttabile. I puritani vi scansano con ostentazione, dichiarando che non vogliono contaminarsi le mani con voi. Gli amici vi chiedono, con scoraggianti sorrisi, chi mai ve lo fa fare. I parenti vi ripetono che fareste meglio a pensare un po’ più alla famiglia. I preti parlano di voi con tanti sottintesi misteriosi, che dal loro linguaggio traspaiono centomila riserve. Il vescovo sembra che si faccia un sacco di problemi se deve apparire in pubblico con voi. Forse gli stessi che, per salvaguardare un “look” di verginità, in pubblico vi scansano, vi blandiscono vigliaccamente in privato quando hanno bisogno del vostro appoggio. Per i credenti, anche gli amici di fede prendono le distanze, e sempre più di rado una parola di speranza parte dalla loro bocca. Raramente il coro che accompagna il vostro cammino è un coro di osanna. Il fischio fa inesorabilmente capolino anche nelle assemblee dei compagni di cordata. Per dieci applausi, venti contestazioni. Per cento consensi, duecento proteste. Anche quando vi siete prodigati con la generosità più pura, vi sentite al centro di una nebulosa di sospetti. Anche quando vi siete spesi senza parsimonia e avete pagato prezzi altissimi di tempo, di fatica mentale e forse anche di denaro, siete costretti a difendervi dalle aggressioni della critica mordace, dalla perfidia dell’ironia subdola, dal distorcimento operato perfino sulle vostre intenzioni più pulite, dal livore di parte o dalla strumentale manipolazione degli avversari. Non c’è che dire. La vostra, oggi, è davvero una vita scomoda.

Politica: arte nobile e difficile
Ebbene, miei cari amici, che forse siete attraversati sempre più di frequente dalla tentazione di lasciare tutto e ritirarvi dalla mischia, oggi voglio dirvi una parola di speranza e di incoraggiamento. La parola di incoraggiamento la traggo da uno spunto felicissimo di Paolo VI, che dice così: “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”. Si, oggi parliamo tanto di servizio, di ministerialità, di impegno per gli altri, di volontariato. Ricordatevi che una delle forme più esigenti, più crocifisse e più organiche dell’esercizio della carità è l’impegno politico. La parola di speranza la traggo da un passaggio splendido della Gaudium et Spes che parla della politica come “arte nobile e difficile“. (n. 86)

Necessità di una revisione critica
E ora una manciata di provocazioni. Sentite: sono considerazioni che valgono per tutti; sono rimproveri che non risparmiano nessuno di noi qui presenti, me compreso.
Sono colpi di frusta, sulla cui onda potremo proseguire all’infinito

– Qual è lo spessore della protesta (nella nostra vita politica) nei confronti della ideologia, nei confronti del partito, nei confronti delle direttive pianificate?
– Quale spazio ha la persona nei nostri impianti? Quale rispetto abbiamo del bene comune e della sua indiscussa sovranità su tutte le altre visioni, compresa anche l’affermazione e l’avanzata del proprio partito?
– Ci rendiamo conto che i rallentamenti delle nostre città sono dovuti ai calcoli di scuderia, alla prevalenza degli interessi di parte sull’interesse della gente, alle meschine strumentalizzazioni dello scontento popolare che può tomar comodo domani ai nostri progetti partigiani?
– Chi stiamo servendo: il bene comune o la carriera personale? Il popolo o lo stemma? Il municipio o la sezione? Il tricolore o la bandiera del partito?
– A chi facciamo pagare l’estratto conto dei nostri ritardi? La bolletta dei nostri sterili blateramenti? Le cambiali, purtroppo spesso rinnovate, di una fiducia sistematicamente tradita?
– Quale rispetto abbiamo per i poveri? Quanta indifferenza nutriamo per la loro rabbia impotente? Quale forza d’urto sulla nostra anima si sprigiona dalle sofferenze degli ultimi? Dalla disoccupazione imperante? Dalla mancanza di case? Dalla miseria morale in cui versa tanta gente? Dal degrado e dall’avvilimento delle sterminate forme di devianza che proliferano nelle nostre comunità?
– Non ci dice nulla il giudizio della storia che coincide sempre col giudizio che i poveri danno di noi?
– Siamo disposti a pagare prezzi da capogiro, e a rimettere anche prestigio e carriera e poltrona e “brillante avvenire”, pur di perseguire a ogni costo il bene comune?
– Quali patteggiamenti a scredito della giustizia; quali violenze a scapito della libertà; quali subdole perfidie contro gli indifesi; quali accordi disonesti sotto traccia, a vilipendio dell’onestà, ci vedono protagonisti?
– Siamo convinti che le “grandi” voci, quelle autentiche, quelle dei poveri, quelle degli sconfitti, quelle di coloro che rimangono sempre indietro, possono essere ascoltate solo nel silenzio, nella riflessione prolungata, nello spazio contemplativo che sapremo resecare sul panno lacerato delle nostre febbrili attività?
Fermiamoci qui. Voglio rispettare fino in fondo la laicità di questo incontro. (Da “Sui sentieri di Isaia” di Antonio Bello, stralci delle pagg. 128-139).

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Si prova imbarazzo a constatare che a distanza di 36 anni poco o nulla sia cambiato. Quanto tempo ancora c’è da aspettare per debellare fatalismo e rassegnazione?… Costruttori di pace (e di politica), in piedi!

don carmine
© Riproduzione riservata 

Foto in alto: don Tonino Bello

 

 Cimitero di Alessano (Le), Tomba del Venerabile don Tonino Bello