Lecce - 21 Lug 2023

“La bellezza del reale” di Gino Colapietro

Mostra dell’artista barese nelle sale della Fondazione Palmieri a Lecce, fino al 31 luglio


Spazio Aperto Salento

«Dovremmo scambiare i nostri ruoli: lo storico dell’arte diventa l’artista, l’artista diventa lo storico dell’arte». Si è conclusa con questa “sfida” l’inaugurazione della mostra personale di Gino Colapietro alla Fondazione Palmieri di Lecce, aperta al pubblico il 16 luglio e visitabile fino al 31 dello stesso mese (orario apertura: 10-13 e 17- 21). Sono parole di Colapietro, artista originario del barese, che ha rivolto a Massimo Guastella, chiamato per l’occasione a presentare il suo percorso creativo. Una “sfida” che lascia cogliere al pubblico il serrato confronto che intercorre tra i due dal 2016, in uno schietto dibattito sugli esiti e le derive dell’arte contemporanea. Non solo, mostra anche una spiccata sensibilità dell’artista per la storia, più che per la critica dell’arte. Colapietro, infatti, che qui espone opere degli ultimi anni, sin da giovanissimo (è nato nel 1955, e ha cominciato ad esporre negli anni Settanta) si è posto quale attento operatore dell’arte di figurazione, in special modo della pittura, sebbene sia un abile conoscitore ed esecutore di altre tecniche (non solo disegno, ma anche affresco, scultura, terracotta, ceramica, per citarne alcune), produzione altrettanto interessante.

Si potrebbe dire di lui che è un artista engagé, non disposto al compromesso: è un convinto antimodernista, che crede, come lui stesso non manca di sottolineare, nella materia, nel suo profumo e soprattutto nella tecnica. È un teorico della tecnica, che studia e padroneggia, a cominciare dalla tempera grassa, ormai rara nello scenario attuale, eppure da Colapietro spesso utilizzata, di cui scrive anche nel suo volume Gino Colapietro. Opere e trattato di pittura, pubblicato nel 2011 per Laterza. Dalla preparazione della tela con colla di farina alla stesura degli strati pittorici, la dedizione dell’artista alla secolare tradizione italiana è di tutta evidenza. Le trame pittoriche, posate e meditate, mostrano il suo sentire, attento al tono, alle luci, ai colori, che prepara ricorrendo solo a quattro pigmenti, congiuntamente al bianco: terra di Siena, blu oltremare, rosso di cadmio, giallo di cadmio. «Il pittore deve conoscere il “suo” – sottolinea Colapietro – come il musicista conosce la musica. Oggi sono pochissimi gli artisti che sono capaci di lavorare con la tempera grassa, che faccio da me». Aggiunge: «La tecnica dei quattro colori è di per sé una tecnica sublime, di pensiero, complessa, perché riduce la tavolozza a pochi colori, rigorosamente scuri, per crearne di altri e di diverse tonalità».

In questo senso, Colapietro è un artista che pratica la strada dell’originarietà, piuttosto che dell’originalità, così come si è delineata proprio negli anni in cui l’artista ha esordito, almeno in certi filoni che prendevano spunto dal pensiero postmoderno. Se prima ha guardato e conosciuto i pittori moderni della realtà, come Gregorio Sciltian e Pietro Annigoni, (con i quali vanta anche una significativa corrispondenza), i fratelli Bueno, e dopo si è accostato alla Nuova Maniera Italiana, guidata da Giuseppe Gatt negli anni Ottanta, si pone ancora oggi coerente e saldo nella sua pittura di realtà, ma non realistica.

Il suo sguardo è rivolto al «museo della storia dell’arte» (per riprendere una definizione che Renato Barilli ha dato negli anni Ottanta proprio in merito all’approccio della generazione postmoderna), la sua poetica è della citazione o, per meglio dire, della narrazione nella narrazione, con un forte senso iconologico. Nelle 21 tele che propone a Lecce, quasi tutte degli ultimi anni, sostiene convintamente la sua scelta, certamente di nicchia nel dilagante concettualismo globale. Colapietro, però, non è un nostalgico; il suo operare guardando alla tradizione italiana è consapevole ed è reso attuale dall’aggiunta di rimandi a tematiche della nostra contemporaneità, tra fazzoletti “Tempo”, tablet come in Le Quattro allegorie, contenitori di medicinali di vario tipo, finanche schede elettorali nella Italia massacrata. O ancora Pandora, che recupera il mito e al contempo tratta dell’industria farmaceutica di oggi, «è totalmente moderna» sostiene Colapietro; come anche i richiami alle questioni ecologiche e sociali. Tutti i suoi quadri non sono solo pittorica “bellezza del reale”, ma densi di contenuti relativi alle problematiche della quotidianità.

Ut pictura poesis (o Nudo in colloquio), che nella composizione recupera la memoria della Venere Rokeby di Velasquez, almeno nella figura femminile nuda, mostra, incisa nel braccio maschile del satiro a mo’ di tatuaggio, la locuzione «ut pictura poesis», che da Simonide, da Orazio e poi nel recupero cinquecentesco, ha attraversato la modernità come principio cardine della critica artistica. Ennesima prova, tra le tante, tantissime, presenti nelle tele, della profonda conoscenza di Colapietro della storia dell’arte. Anche il titolo dell’esposizione, Bellezza del reale, rende chiaro il suo posizionamento fuori dal sistema delle arti, eppure non interprete solitario, se lo si considera organico – anche per i rapporti tuttora stretti con Bruno d’Arcevia, protagonista del neo-manierismo – al filone dei concettualisti, tra Citazionismo, Anacronismo, Ipermanierismo, Pittura Colta e, appunto, Nuova Maniera Italiana, che già dal nome esplicita l’urgenza di un gruppo di artisti all’alba degli anni Ottanta di recuperare il Cinquecento; secolo con il quale anche Colapietro sa confrontarsi.

Se la selezione di opere è limitata rispetto alla produzione dell’artista, emerge in maniera chiara la sua attenzione ai generi tradizionali della pittura: la ritrattistica, sin dal Ritratto del Sig. Caiulo (a cui Colapietro tiene particolarmente, anche per la legittimazione artistica che la tela restituisce, considerato il ruolo di Salvatore Caiulo, soprannominato «protettore del pittore» e fondatore della Galleria Belle Arti Caiulo a Lecce), le nature morte, i paesaggi, legati al territorio, e gli autoritratti, che segnano man mano l’avanzare della maturità artistica ancorché dell’età, alla maniera dei grandi pittori e fino a ricordarci De Chirico, sebbene alla Fondazione Palmieri non siano presi. Eccezion fatta per Scacco matto all’uomo, che nella scena di genere propone, nella figura centrale, meditante, proprio l’autoritratto di Colapietro.

Colapietro, in definitiva, ci mostra una via opposta a quella del simulacro, ossia dell’immagine senza identità, in favore dei simboli, delle figure allegoriche, dei significati allusivi, oltre che dei significanti. A noi non resta che constatarne l’irriducibile coerenza.

Rosanna Carrieri
© Riproduzione riservata

 

 

Foto in alto: un’immagine dell’inaugurazione

 

G. Colapietro, L’apparizione del padre di Amleto, tempera grassa su tela, 175×145

G. Colapietro, Le quattro allegorie, tempera grassa, 130×150

G. Colapietro, Ut pictura poesis (o Nudo in colloquio), pittura ad olio, 100×70

G. Colapietro, Ritratto di sig. Caiulo, 120×100

G. Colapietro, Scacco matto all’uomo, olio su tela, 114×114