Lecce/Mostra - 28 Giu 2023

Le “pitture ricamate” di Angelo Filomeno

Intervista all’artista italoamericano, protagonista dell’atteso appuntamento espositivo in programma al Must di Lecce


Spazio Aperto Salento

La mostra “Angelo Filomeno. Works. New Millenium”, in programma da giovedì 29 giugno al Must, si pone in continuità con la programmazione espositiva avviata dal museo civico di Lecce, che aspira a valorizzare e diffondere consapevolezza del patrimonio artistico locale dall’età moderna al contemporaneo. Gli appuntamenti da Marianna Elmo, passando per Francesco De Matteis e ora Angelo Filomeno, ideati da quando Claudia Branca è alla direzione della sede museale leccese, hanno avuto il merito dell’originalità e della unicità proponendo approfondimenti di impostazione scientifica ma dal piglio divulgativo, finalizzati alla consapevolezza di personalità e patrimoni storico-artistici da porre in valore sul territorio e non solo. Prendendo le distanze dalle mostre esito di un mal mascherato copia e incolla, spesso prive di identità e «qualità critica».

La tanto attesa personale, che il pubblico e le scolaresche (aspetto di non poco conto) avranno modo di visitare sino a ottobre inoltrato, accoglie una selezione di oltre sessanta opere tra ricami, sculture, installazioni ma anche disegni e acquerelli databili in un arco cronologico compreso tra il 2001 e sino al più recente American circus (black moon yellow sky) del 2023 che conclude la mostra.

Personalità di certo interesse, Angelo Filomeno, classe 1963, il cui profilo biografico è ampiamente noto – ma giova in questa sede sintetizzarlo – trascorre la sua infanzia a San Michele Salentino; sua madre, Rubina, abile ricamatrice, all’età di sette anni lo affida alla bottega del sarto e padrino Roberto De Pasquale per apprendere il mestiere. È nell’ambito familiare che trae, seppur ancora inconsciamente, i primi stimoli per la sua produzione artistica più matura.

Si forma all’Accademia di Belle Arti di Lecce, frequenta di corsi del professore Alfonso Siano, e si diploma con un lavoro di tesi sull’artista compaesano Cosimo Carlucci (di cui il Must conserva un robusto corpus di opere in esposizione permanente allestito al primo piano del museo). Un fattore da non considerarsi secondario nelle scelte di Claudia Branca condivise da Massimo Guastella, curatore della mostra: «Tale aspetto non può che rafforzare saldamente il legame tra la formazione accademica territoriale con i luoghi dove si è sviluppata e svolta la produzione artistica e culturale di Filomeno» ha scritto in catalogo.

Terminati gli studi si trasferisce a Milano dove ha occasione di raffinare le proprie abilità sartoriali lavorando per noti marchi di moda e stilisti quali Raffaella Curiel, Mila Shon e Versace. Comprende che l’esperienza nella città della moda italiana poteva dirsi compiuta e nel 1992 si trasferisce stabilmente a New York. È nella “Grande Mela” che recupera la produzione artistico-visiva archiviata durante il soggiorno milanese. Gli anni Novanta sono scanditi da sperimentazioni di carattere concettuale, all’inizio del nuovo millennio si registra una svolta determinante nella sua produzione in termini di media. Intuisce che le competenze, acquisite negli anni di infanzia a San Michele e poi rinvigorite a Milano e a New York, possono essere decisive per acquisire un linguaggio inedito e personale. Servendosi dell’ormai inseparabile macchina da cucire Singer realizza le prime “pitture ricamate”, opere estemporanee, prive di disegno preparatorio, attraverso le quali eleva una pratica artigianale (in passato ritenuta attività prettamente femminile) a pratica artistica. I suoi lavori, assai apprezzati dalla critica, sono esposti in occasione di mostre di interesse internazionale, che lo consacrano nel sistema dell’arte contemporanea, se consideriamo il suo debutto alla Biennale di Venezia del 2007 dove presenta tre grandi ricami in seta shantung impreziositi da luminosi cristalli.

Siamo alle ultime battute dell’allestimento al Must di Lecce della mostra “Angelo Filomeno Works. New Millenium”. Per la prima volta la Puglia, ma di fatto l’Italia dove Vittorio Sgarbi ti ha voluto lo scorso anno al Mart di Rovereto, ti rende omaggio con un’antologica di mezza carriera che ripercorre quella tua produzione dal 2001 e sino alla più recente che ti ha fatto conoscere nell’art world. È di fatto proprio all’Accademia di Belle Arti di Lecce che hai ricevuto la tua prima formazione. Quali ricordi hai?  

Sicuramente ho dei bei ricordi; ho frequentato l’Accademia a Lecce dal 1983 al 1987, in quei quattro anni ho trovato la mia libertà, studiando ciò che ho sempre desiderato. Alle superiori, avrei voluto iscrivermi all’Istituto d’arte di Grottaglie, ma la lunga distanza lo ha impedito. Mi sono diplomato all’istituto per Geometri a Brindisi, una scuola che non mi piaceva ma che ho scelto pur di fare un po’ di disegno, anche geometrico.

Dalla piccola San Michele Salentino a New York. Il fermento culturale, la vivacità dell’ambiente americano, in quali aspetti la “Grande Mela” ha influenzato la tua produzione? 

In una grande città come New York, con la sua energia multietnica, mi sono sentito libero di sperimentare e di essere tutto ciò che volevo, di non aver paura. Ma soprattutto they give you the chance, c’è sempre un’occasione, un’opportunità di farcela a prescindere dal proprio background.

A proposito di libertà e possibilità, gli anni Novanta sono stati per te anni densi di sperimentazioni artistiche specialmente in chiave concettuale.

Sì, di sperimentazione perché durante il soggiorno milanese avevo lavorato come stilista e come costumista teatrale, per cinque anni ho trascurato la produzione artistica. A New York ho avvertito un forte stimolo creativo, volevo fare l’artista, avevo studiato per questo. Ho recuperato passando dalla lavorazione del bronzo, alla fotografia, ai video e poi, nel 2000, sono giunto ai ricami.

In quale momento è scaturita la svolta verso le “pitture ricamate”?

Nel 2000, in occasione del Natale, avevo realizzato una sciarpa che volevo regalare. L’ho portata a casa mia e guardandola è scoccata la scintilla. L’indomani ho comprato cinque metri di shantung rosso e ho realizzato il primo pezzo: You in the universe. Fortunatamente lavoravo in una grande sartoria teatrale (Carelli Costumes di Carolyn Kostopoulos, ndr.), avevo tutte le possibilità di utilizzare lo spazio e i macchinari a disposizione per le mie opere ricamate…la sciarpa poi non l’ho più regatala, l’ho tenuta io.

Già la presenza tra le sale del Must della grande opera You in the universe del 2001 è da considerarsi un aspetto interessante delle ragioni della mostra. Ma oltre ai ricami, tra le significative opere ordinate avete scelto l’installazione Because the world is cruel del 2009 composta da un tavolo con specchio e due scope, una più riccamente composta in acciaio e cristalli Swarovski, l’altra in saggina, propria della tradizione locale, spezzata, tra insetti e gocce in argento.

Ho presentato Because the world is cruel alla Galerie Anne de Villepoix di Parigi nel 2009, in quell’occasione il titolo dell’opera aveva dato il nome alla mostra. L’installazione è il doloroso prodotto del crollo della borsa di New York. Come lo avvertivo io e tanti americani lo hanno sofferto, a New York nessuno in strada riusciva più a sorridere perché il mondo è crudele. Le scope rappresentano due streghe la buona e la cattiva, il cui leggendario mezzo per volare in saggina giace spezzato sul piano specchiante. Il particolare della goccia di sangue in argento rivela che in realtà che anche la scopa cattiva era stata buona.

L’itinerario antologico del Must giunge sino ai lavori eseguiti in questi ultimi due anni, gli American Circus e gli American Barn, serie che potremmo definire di rottura, soprattutto in termini tematici, rispetto alla produzione precedente. 

Sì, prima con la serie delle Islands e poi in continuità con i circhi e i granai americani mi sono liberato. La produzione precedente è caratterizzata da una forte introspezione, l’effetto dei mostri e dei dolori che avevo in me e che riportavo nei miei ricami. Per questi lavori invece sono uscito fuori da me stesso e ho guardato ciò che succedeva attorno, nel mondo.

Sarà il pubblico a sentenziare della resa culturale della proposta espositiva partorita dal Must di Lecce, godendo della vista delle opere di Angelo Filomeno dove tra «lino, seta, onice e cristalli…» campeggia «l’iconografia macabra di teschi, scheletri, insetti e parti nascoste del corpo umano… convivono il timore della morte e la ricerca del piacere» come ha scritto Vittorio Sgarbi, un “fan” non di poco conto dell’artista italoamericano.

Alessia Brescia
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Foto in alto: A. Filomeno,  American circus (black moon yellow sky), 2023, acquerello su carta, 28×38

 

A. Filomeno, American barn (silver moon), 2022, ricamo su seta shantung, 188,5×133,5

A. Filomeno, You in the universe, 2001, Ricamo su seta shantung, 173,5×174,5

A. Filomeno, Cause the world is cruel, 2009, acciaio e perline di cristallo Swarovski, dimensione ambientale

 

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