Un ricordo dell’artista galatinese scomparso la scorsa estate
È trascorso quasi un anno dalla morte dell’artista galatinese Franco Cudazzo, classe 1938, uno scultore che nell’arco della sua produzione ebbe il merito, già sul finire degli anni Sessanta, anticipando i tempi, di avvertire, le problematiche dovute all’eccessivo sfruttamento della natura, schierandosi in prima linea, per la salvaguardia della terra, e perciò dedicandosi nella sua attività alla diffusione di tale messaggio.
Vale la pena esordire con qualche nota biografica sull’autore, ricavabile dalla sua non scarna storia critica. Fin dalla giovane età Cudazzo frequentò la bottega dello zio, il falegname Antonio Sforza, dimostrando da subito grande interesse per l’arte. Si formò presso la Scuola d’Arte di Galatina (sezione di Laboratorio del legno) frequentando, anche dopo aver conseguito il diploma nel 1961, gli studi dei maestri Luigi Mariano, Giovanni Pulcini e Umberto Palamà.
Nelle sue opere iniziali, Cudazzo fu affascinato dalla produzione di scultori storici, come Medardo Rosso, Vincenzo Gemito e Giacomo Manzù, ma nel territorio il professore Palamà fu sicuramente un fermo punto di riferimento per le sculture figurativo – accademiche degli anni Cinquanta, come egli stesso raccontò in un’intervista pubblicata ne “Il Titano” nel 2018. Nel 1962, in occasione della sua prima mostra, organizzata a Gallipoli assieme all’artista e amico Antonio Stanca, abbandonò i soggetti figurativi stilizzati, appartenenti ad una produzione che definì “Astratto Figurativa” (1960-1961). Esponendo opere dal linguaggio astratto, coinvolto dal clima di grande fervore ed entusiasmo per l’arte non figurativa e informale, guardò in particolare allo spazialismo e ai gesti istintivi (nello specifico i buchi) di Lucio Fontana, che ripropose su lisce superfici in gesso, come nell’opera Forme nello spazio del 1962. Ben presto fu costretto a lasciare il ruolo di insegnante, e la sua terra, per adempiere agli obblighi militari e trasferirsi a Bologna; è ancora da verificare in che modo il soggiorno in Emilia abbia inciso sulla sua formazione e gusto artistico. Tuttavia, al suo ritorno nel 1965, assieme a Salvatore Mariano, Aldo Caprioli e Donato Cascione, anche loro rientrati dal servizio militare, aprì una piccola bottega nel centro storico di Lecce, e fondò il GALAS – Gruppo Artistico Liberi Artisti Salentini – un gruppo di artigiani che lavorava e vendeva opere in pietra, legno e rame, un’esperienza che si concluse nel giro di pochi anni.
L’amore per la natura, vivido nei ricordi di un’infanzia trascorsa nel verde delle campagne salentine, lo impegnò, in particolare a partire dal 1968, in ricerche interessate a tematiche ambientali, l’uomo e la natura, legati da un rapporto che potremmo definire eterno, in cui spesso quest’ultima è maltrattata e violata dall’essere umano. Una vasta produzione di opere pittoriche e plastiche, figure sinistre in stoffa bruciata, terra, legno, gesso e varie tipologie di marmo, denunciano tali violenze; nelle intenzioni di Cudazzo, quelle di sensibilizzare l’osservatore al rispetto della natura, la casa comune dell’umanità. La presenza nelle sue sculture di uccelli feriti o morti, come in Sedia e uccello morto del 1969, è la prova della distruzione dell’uomo di tutte le creature, del prossimo e di conseguenza anche di se stesso: “homo homini lupus”, per utilizzare un’espressione ripresa dal filosofo inglese Thomas Hobbes.
Quello dell’Ecologia è un impegno civile, che Franco Cudazzo perseguì con coerenza, per tutta la sua produzione, anche nell’attenzione ai materiali da scolpire per le opere realizzate tra il 1980 e il 1989, in una nuova fase della ricerca, che definì “Le Pietre e le terre”. L’artista recuperava dal terreno blocchi di pietra dura che poi scolpiva, come ad esempio nell’opera Figura su terra (1981) un procedimento “non da considerarsi, come si può credere, un punto di partenza (verso la statua) ma al contrario, d’arrivo, in direzione opposta, appunto, verso la terra”, scrisse il suo maestro Umberto Palamà nel 1980.
Nel desiderio di proteggere la natura e il creato lo scultore galatinese, riconobbe in San Francesco d’Assisi “il precursore della tematica ecologica”, il poverello d’Assisi è il soggetto principale delle sculture polimateriche realizzate nel decennio degli anni Novanta , esposte in occasione della mostra “Il mondo di Francesco d’Assisi” , che raffigurano il Santo patrono dell’ecologia – come proclamato da papa Giovanni Paolo II – affiancato da uccelli in volo, animali simbolo della produzione dell’artista, si tratta di colombe, emblema di pace e di speranza.
Nell’ultima fase della sua produzione che riconobbe come “Artificio e natura”, lo scultore recuperò la figura, opere plastiche immerse in uno spazio indefinito che sembra essere senza tempo, il raggiungimento di una “sintesi felice e armonica” di tutte le esperienze che avevano segnato l’operato artistico di Cudazzo fino al sopraggiungere della morte, avvenuta nell’estate del 2020.
Queste sue peculiari caratteristiche che lo resero precorritore di una tematica, che valutiamo oggi estremamente attuale e vicina, dovrebbero essere occasione per rivalutare questo artista capace di sperimentare linguaggi distinti, mantenendo coerenza nella ricerca, volta a sensibilizzare alla tutela ambientale, attraverso una vasta produzione che si snoda dalla fine degli anni Sessanta al nuovo millennio.
Alessia Brescia
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Foto in alto: Franco Cudazzo, Figura su terra, 1981, pietra e terra, 70x70x70
Franco Cudazzo, Adolescente, 1959, gesso, 50x40x30
Franco Cudazzo, Forme nello spazio, 1962, gesso, 30×50
Franco Cudazzo, Sedia e uccello morto, 1969, stoffa e legno, 100x70x70
Franco Cudazzo, Il mondo di Francesco d’Assisi, 2000, marmo di Carrara e pietre, 70x40x30
Franco Cudazzo, Panno appeso e uccelli in volo, 2010, terracotta patinata, 70x70x15