Dal 1994 la struttura è utilizzata da UniSalento. Attualmente è sede del Dipartimento di Studi Storici
Per chi arrivava a Lecce dalla romana Via Appio-Traiana, doveva essere un bel vedere. Un luogo di grazia ed eleganza, che lasciava presagire l’incontro con una città ricca d’arte e cultura. Ancora oggi, il complesso monumentale dell’ex Monastero dei Padri Olivetani, costituisce un sicuro biglietto da visita per l’ingresso nella Città del Barocco.
LA FONDAZIONE
Fra il 1171 ed il 1174, per destinarlo ai Padri Benedettini, il cattolico Conte di Lecce e futuro Re di Sicilia della Casa Reale degli Altavilla, Tancredi (Lecce 1138, Palermo 1194), fece erigere, in stile Romanico, il primo nucleo del medievale complesso monastico. L’attigua Chiesa intitolata ai Santi Niccolò e Cataldo, la volle subito dopo o forse in contemporanea, per adempiere alla promessa fatta proprio a San Nicola, in seguito allo scampato naufragio di una sua flotta di ritorno dalla Grecia. Sbarcato sano e salvo nel porto di San Cataldo, tenne fede al voto, ed attorno al 1180, terminò il luogo di culto, elevato a Basilica in epoca moderna.
Vale qui ricordare, che prima ancora, nel 1133, il nonno Accardo, fece invece erigere il Monastero di San Giovanni Evangelista, tuttora esistente, nei pressi di Santa Croce, abitato dalle suore, alcune di clausura, la cui prima Badessa fu la sorella Agnese.
In pieno Cinquecento (1559), su commissione dei Padri Olivetani giunti a Lecce nel 1494 e dunque subentrati ai Benedettini, l’architetto e scultore Gabriele Riccardi (Lecce, 1524-1574?), più volte citato dal monaco Giulio Cesare Infantino nella sua “Lecce Sacra: guida ai monumenti sacri di Lecce” del 1634, realizzò i due grandi Chiostri che si possono ammirare ancora oggi. Riccardi realizzò pure la più nota Basilica di Santa Croce, nell’attuale via Umberto I, sempre a Lecce, che ritenuta massima espressione del Barocco locale, in realtà, di veramente Barocco, ha essenzialmente la parte alta della facciata. Per il resto, al pari degli attuali Olivetani, l’impianto è Cinquecentesco.
Per tornare al nobile Conte e Re di stirpe normanna, è da dire, che col Salento, fu assai munifico: fra le altre opere, alla fine del XII secolo, fece realizzare l’impareggiabile Abbazia di Santa Maria di Cerrate o Cervate, così detta perché la Madonna gli apparve fra le corna di un cervo, ed ordinò importanti lavori nella già bellissima Cattedrale di Otranto intitolata a Santa Maria Annunziata, eretta nel 1068 dal vescovo normanno Guglielmo.
LA VISITA
L’occasione per meglio conoscere l’ex Monastero, di cui nella citata “Lecce Sacra” esiste, assieme a Piazza Duomo, il disegno di una veduta della Chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo, ci viene offerta dall’Università del Salento, che nell’ampio corridoio e nelle celle dei frati trasformate in aule ed uffici, ora ospita il Dipartimento di Studi Storici. L’iniziativa, voluta dal Rettore Fabio Pollice per le festività del Natale 2021, comprende una serie di visite guidate programmate per avvicinare studenti, cittadini e turisti, proprio alla conoscenza della grande ed importante struttura.
Ad accoglierci, in una giornata di pioggia che ha scoraggiato più di un prenotato, è il docente di Storia dell’arte, Raffaele Casciaro, che assieme all’ex bibliotecario dell’Università, Pino Borrescio, fa gli onori di casa. Il primo impatto è con uno dei Chiostri del Riccardi. Ad impressionare, noi per una volta ancora e gli studenti per la prima, sono le ciclopiche colonne realizzate con tonnellate di pietra leccese, estratta dagli ormai esauriti filoni di materiale duro, che si trovavano nella stessa area di cantiere, e che ora costituiscono un affasciante ambiente ipogeo, per di più contraddistinto dalla presenza di un’enorme cisterna per la raccolta delle acque. Ce ne sono quattro per parte ai vertici ed a coppie di due ai quattro lati, per un totale di quaranta. E non sono le uniche. Altrettante si stagliano nel secondo Chiostro, dove la parte del leone, la fa però il barocco pozzo posto al centro. Ad imitazione del Ciborio della Basilica di San Pietro in Roma, è a forma di baldacchino, che nel caso specifico, sovrasta quattro colonne tortili corinzie finemente e riccamente lavorate.
La storia lo vuole ennesima opera di Gabriele Riccardi, ma poiché è del 1630 e la morte dell’architetto-scultore viene fatta risalire al 1574, più verosimilmente, come ci dice e scrive nel suo contributo al volume del 2017 edito da Congedo-Galatina, “Per le arti e per la storia: omaggio a Tonino Cassiano”, lo stesso professore Casciaro, potrebbe essere stato realizzato da Francesco Antonio Zimbalo (Lecce, 1567-1631), pure lui architetto, attivo, assieme ad un altro Zimbalo, Giuseppe (Lecce, 1620?-1710), di cui forse era figlio, nei cantieri di Santa Croce e del Duomo della Cattedrale.
LE BELLEZZE
Le più sono purtroppo scomparse. Per incuria ed abbandono. Così come si evince dai pochi tratti rimasti e come testimonia ciò che è giunto sino a noi in altri Monasteri e Conventi italiani, sono i disegni e gli affreschi, che adornavano gli altissimi muri interni sui quali affacciano i Chiostri. Per fortuna, accanto alla porticina laterale che consente un secondo ingresso nella Basilica dei Santi Niccolò e Cataldo, attualmente gestita dal Fai, il Fondo ambiente italiano, si è invece salvato il pregevole portale di Tancredi. Sul quale sono giusto tracce di affreschi, ed incisi, il nome del Conte di Lecce e Re di Sicilia, nonché la data di costruzione, Anno Milleno Centeno Bis Quaorageno, della Chiesa medievale.
Scomparsi sono pure gli arredi, gli archivi e la biblioteca del Monastero, quasi certamente all’indomani della soppressione degli Ordini monastici e conventuali voluta dal re di Napoli, Gioacchino Murat (1767-1815), forse solo perché rei di non pagare le tasse allo Stato, e di essere luoghi franchi, all’interno dei quali erano al sicuro persino i ricercati per reati gravissimi.
Attraverso la scalinata in finto marmo fatta costruire dagli Olivetani agli inizi del 1700 assieme ad altri elementi architettonici (su tutti il putto che sembra reggere la prima colonnina, di fronte al quale è impresso, a carboncino, lo schizzo utilizzato come modello), approdiamo al piano di sopra. Dalle finestrelle che incrociamo durante il breve cammino, scorgiamo le tombe della parte antica del Cimitero Monumentale e l’agrumeto i cui alberi sono carichi di arance e mandarini. Una porta ci introduce nello spazioso e luminoso corridoio, su un lato del quale sono le aule e gli uffici universitari, che un tempo erano appunto le celle dei monaci.
Sul conto di questi ultimi, il cortese e colto professore Casciaro, ci mette al corrente di un simpatico retroscena. Fra le regole di quei padri, era pregare sei volte al giorno, la prima alle 4 della notte. Ebbene, stanchi di levarsi a quell’ora presta, benestanti com’erano, ad un certo punto, alcuni di loro pagarono, letteralmente, i più poveri “cugini” francescani, affinché pregassero in loro vece.
MIRABILE VISTA
Sull’altro lato, in fila sono una dozzina di ampie finestre. Solo una funge anche da valico, che attraversato, ci illumina con la magnificenza di due enormi terrazzi balaustrati. Da qui si gode subito della vista della Basilica, con in primo piano il Campanile e la Meridiana Solare ben conservata, speculare a quella Lunare, sbiadita dal tempo, che si trova invece sull’architrave della porta-finestra, ma anche del rigoglioso agrumeto. Aldilà del quale s’intravedono l’alberato viale del Cimitero che s’apre col propileo dorico, e la piazza sulla quale splende la facciata di San Niccolò e Cataldo, e che dal 1463, ospitò il Mercato dell’Annunziata, trasferito, per ordine di Re Ferdinando I, dalla vicina Cerrate. Ma è affacciati ora all’uno ora all’altro, che si avverte, potente, la magnificenza del luogo. La vista è infatti sui due Chiostri, che ammirati dall’alto, assumono nuova valenza. Le 40 più 40 colonne binate di cui sono composti, delineano al meglio la loro bellezza, ed il pozzo a baldacchino unico nel suo genere, un tempo circondato da quattro cipressi, la compendia.
A rientrare, ci obbliga solo la pioggia, ora battente, che ci riporta pure al seguito della storia, più recente, dell’ex Monastero. I Padri Olivetani lo abitarono sino al 1807. Nello stesso anno, il re di Napoli e di Spagna, Giuseppe Bonaparte (1768-1844), fratello maggiore dell’imperatore Napoleone, istituì i Licei, e divenne Liceo Nazionale. Dopo un disastroso periodo di abbandono durato sino al 1842, quando i Borboni lo affidarono ai Padri Cappuccini, ospitò uffici pubblici, e dal 1870, anche l’Ospizio di Mendicità. Infine, dal 1994, è Centro culturale universitario, successivamente sfociato nell’attuale Dipartimento di UniSalento.
LA LEGGENDA
E poteva mancare, in un complesso architettonico di tale portata, la leggenda? Certo che no! Legata ad uno dei suoi abitanti, il monaco Placido da Otranto, è leggenda che vede protagonista nientemeno che la Morte.
Figlio di genitori greci, Placido lascia la famiglia per entrare nell’Ordine dei Benedettini-Olivetani di Lecce, noti per santità e cultura. Impara l’ebraico e l’aramaico, studia tutti i testi sacri, ed al contempo si diletta di giochi ed enigmi. Un giorno d’inverno, si ammala gravemente e per molto tempo si isola nella sua celletta. Al calare delle tenebre, all’improvviso, vestita di nero, una sera gli appare la Morte.
“E’ giunta la tua ora – gli dice. – Ora devi venire con me”. “Lasciami ancora un po’ – gli risponde. – Non sono poi così vecchio”. La Morte non cede, e scuotendo il capo, fa cenno di “No”. “Lasciami almeno recitare l’Ave Maria”, incalza il religioso, incassando un inatteso “Va bene”. Ma dopo la prima parola, non va avanti, ed a quel punto, la Morte lo minaccia: “Recitala e poi seguimi, perché è giunta la tua ora”. “Non posso – replica l’astuto don Placido. – Ho fatto voto di dire una sola parola per ogni anno”. Sconfitta, almeno in apparenza, finalmente la Morte se ne va.
Passa il tempo, e dopo la visita nella sua cella da parte dell’Abate, don Placido guarisce, esce dal ricovero, e per respirare l’aria pura, raggiunge il Chiostro. La Morte è però sempre in agguato. Lo segue, e prim’ancora della sua comparsa tra le colonne, su ognuna di esse scrive tutte le parole dell’Ave Maria, compresa la conclusiva, Amen, e si nasconde dietro l’ultima . Giunto nell’atrio, don Placido non può non leggerle, ed una volta raggiunta l’ultima, viene ghermito.
Toti Bellone
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Foto in alto: l’ingresso del Monastero degli Olivetani (© T.B.)
Il gruppo di studenti durante la visita guidata (© T.B.)
Primo piano delle grandi colonne binate (© T.B.)
Lo scalone del Settecento col putto affiorante (© T.B.)
Una veduta angolare del primo Chiostro (© T.B.)
Il primo Chiostro visto dall’alto (© T.B.)
Il pozzo a baldacchino del secondo Chiostro (© T.B.)
Il retro della Basilica dei Santi Niccolò a Cataldo visto da uno dei terrazzi balaustrati (© T.B.)
Il portale del Conte di Lecce e re di Sicilia, Tancredi d’Altavilla (© T.B.)