Cultura - 22 Gen 2023

Martina Franca, epigrafi in latino su architravi, cornicioni e fasce marcapiano

Alcune riflessioni dello storico e studioso del territorio Piero Marinò


Spazio Aperto Salento

Inserite sugli architravi di numerosi ingressi al piano terra o in cornicioni e fasce marcapiano su cui si impostano finestre dal disegno rinascimentale,  a Martina Franca compaiono numerose citazioni in lingua  latina che risalgono  al Cinquecento e  al Seicento. Portali d’ingresso maestosi, finestre ampie e luminose, porticati intorno agli atri delle case dominicali, camini nelle stanze della residenza padronale, giardini, come possiamo osservare all’interno dei palazzi Fumarola, Motolese, Simeone, pervenuti sino a noi, conferivano rispettabilità all’intera famiglia.

La ricerca di Bellezza attraverso l’opera d’arte caratterizzava le abitazioni private, rientrava nei modi di vivere e di essere, stabiliva un canone della comunicazione sociale. Fede e ricerca di bellezza si fondevano in un unico messaggio che trovava la propria rappresentazione nel manufatto artistico.

Ma quell’architettura fatta di simmetrie, regole precise, rigidi schemi compositivi, disciplina e ordine, stava a significare, anche, uno schema sociale da non cambiare: la borghesia, ricca, benestante, depositaria della ricchezza economica, della cultura e della bellezza, deteneva il comando della città, aveva contatti con principi e regnanti, poteva commissionare altari arricchiti dalle statue di Stefano da Putignano, per la chiesa dedicata al Santo Patrono.

Il formalismo dell’arte cinquecentesca trovava un corrispettivo nel suo ideale di vita, aristocratico  e conservatore, fondato sulla stabilità sociale. La borghesia locale dominante, che aveva preso coscienza di sé, si emancipava e si appropriava dei principi di armonia, sobrietà e ritegno, propri della civiltà rinascimentale. Il benessere, frutto del lavoro, della iniziativa imprenditoriale e dello sfruttamento di braccianti analfabeti, era una benedizione. I ricchi proprietari, uomini devoti, erano disposti a trasgredire le norme della Chiesa quando queste contrastavano con gli interessi delle proprie imprese e sentivano questa trasgressione come peccato. Ma si facevano perdonare elargendo laute somme di denaro per abbellire chiese e conventi, inneggiando alla grandezza del Signore nelle epigrafi in latino che dominavano le finestre delle ricche residenze.

Da qui l’invocazione “A Dio ogni onore e gloria” che troviamo in ben sei epigrafi. Marino Motolese e Giacomo De Piccoli non trascurarono, comunque, di far aggiungere le proprie generalità. Altri, invece, non disdegnarono tramandare, attraverso le pietre, solo il proprio nome: Matteo Devito, Pietro Antonio, Silvio Gioia, Cassano, Leonardo Marinosci e un non meglio specificato Bartolomeo.

Le numerose citazioni in lingua latina, inserite nelle cornici di ingressi e finestre dal  disegno rinascimentale rappresentano, insieme, la professione di fede e la ricerca del Bello. I testi di queste epigrafi, per lo più, sono citazioni tratte dai testi sacri e, in particolare, dal libro dei Salmi che,  evidentemente, non mancava nella biblioteca di famiglia, ma non è improbabile che a suggerire tali invocazioni, dichiarazioni di fede, sia stato qualche componente di un ordine conventuale particolarmente vicino alla famiglia del committente.

Molto comune l’acronimo JHS (Jesus Hominum Salvator): Gesù Salvatore degli uomini, a volte accompagnato dalla data di costruzione della casa. Frequente la scritta: SOLI DEO OMNIS HONOR ET GLORIA: Al solo Dio ogni onore e gloria, con la variante SOLI DEO HONOR ET GLORIA (Apocalisse 4, 11) che in via Alfieri 52, è stata ripassata con smalto nero (sic!). Questa citazione si trova, anche, nell’incipit del Salmo 115 (“Non a noi, Signore, non a noi / bensì al tuo nome dà gloria”) utilizzato come motto dai cavalieri Templari: “Non nobis Domine, sed nomini tuo da gloriam”, Non a noi, Signore, ma al tuo nome dai gloria.

Via Vittorio Emanuele II, 62

Altre epigrafi recitano: PARATUM COR EIUS SPERARE IN DOMINO, Il suo cuore era pronto a sperare nel Signore (Salmo 111, Beatus Vir), in via Ageslao Milano 23; IN DOMINO JHS MEA SPES, Nel Signore la mia speranza (salmo 91), in via Solitario 30 e in via Toledo 43; QUI IN D[OMI]NO CONFIDIT IN AETERNA NON PERIVIT, Chi confida nel Signore non morirà in eterno, in via Vittorio Emanuele II, 62;  OMNIS HONOS DOMINO REDDATUR UT OMNIA DANTI, Ogni onore sia reso al Signore come a colui che dà tutte le cose, in via Masaniello 27; IN TE DOMINE SPERAVI, In te, Signore, io sperai (Salmo 30;  Novae Patrum bibliotecae, tomo terzo), in largo San Pietro; UBI CHARITAS ET AMOR DEUS IBI EST, Dove c’é carità e amore, lì c’è Dio (Lettera di San Giovanni, 15, 9-17), in via Vittorio Emanuele II, 18. In vico III Luisa Sanfelice 2, sull’architrave di una finestra, una scritta ammonisce: MEME[N]TO HOMO QVIA CIN[ER]IS ES ET IN CINERE VERTERIS, Ricorda che cenere sei e in cenere tornerai (Genesi, 3. 19).

Via Ospedale, 29

Ma non mancano, come già detto, autocitazioni: SILVIUS GIOIA FIERI F[ECIT] A. D. 1599, Silvio Gioia fece costruire nell’anno del Signore 1599, in via Ospedale 29; NON MIHI MARINO MOTULENSI SED DEO HOMNIS GLORIA DETUR, Non a me, Marino Motolese, ma al Signore sia data ogni gloria, palazzo Marino Motolese, in via Arco Casavola;  NON MIHI JACOBO DE PICCOLI/ SED DEO HONOS ET GLORIA, Non a me, Giacomo Piccoli, ma a Dio ogni onore e gloria, in via Buonarroti 17; HAC SIBI ET DE SUIS CASSANUS REDDIDIT… PLUS QUAM VOLVISSE QUI DE QUASI POTUIT, (la scomparsa di alcune lettere rende incompleta la traduzione), in via Silvio Pellico 7; MAT(TEUS) DEVITTETAIUS F HOC OPUS, Matteo Devito fece questa opera, in via Beatrice Cenci 11;  PIETRO ANTONIO, in Largo Conte Ugolino 54, memoria di restauri compiuti per abbellire la propria residenza.

Via Silvio Pellico, 7

 

Largo Conte Ugolino, 54

Decontestualizzata, l’intera finestra di via Vittorio Emanuele II, al numero civico 30 con l’epigrafe IESUS AUTEM TRANSIENS, Mentre Gesù passava (Vangelo secondo San Luca, Cap 4, V, 30), proveniente dall’antica abitazione della famiglia Leone (De Leonibus), situata nella stessa via. Emblematica si rivela l’epigrafe incisa sull’architrave di una casa di vico Torquato Tasso: ANTE VETUSTA DOMUS PULCHRIOR / ARTE RESURGIT / CANTORIS CURA FACTA DECORE NOVA, Un tempo vecchia casa risorge con nuova arte, con decoro, grazie alla cura del cantore. Alle spalle della chiesa di San Michele Arcangelo, si trova una stanza ricostruita agli inizi del secolo scorso e forse adibita ad abitazione, sulla cui porta di ingresso si trova l’epigrafe SATIABOR D[OMI]NE C[UM]  APPARVERIT GLORIA  TVA, Sarò felice, Signore, quando sarà apparsa la tua gloria (Salmo 17).

Vico Torquato Tasso

Chiesa San Michele Arcangelo

Si trattava di borghesi arricchiti dal commercio, dallo sfruttamento del demanio, che ringraziavano Dio per il benessere raggiunto, segno tangibile del proprio valore, del livello  conseguito in campo economico e sociale. L’onore era la misura oggettiva del grado di eccellenza raggiunta, la gloria unico modo di prolungare nei secoli la breve e travagliata esistenza terrena. La professione di fede costituiva, in qualche caso, un modo per farsi perdonare una condotta non proprio cristiana.

La ricerca di eleganza, di bellezza, era uno scopo inderogabile, un dovere per l’architetto e le maestranze. Questa grazia, questa leggiadria che i committenti  volevano attribuire alle proprie residenze, diveniva un mezzo per inserire la propria vita, il proprio nome nella storia della città, un messaggio per l’intera collettività. L’arte, seppure “privata”,  diveniva un bene pubblico.

Piero Marinò
© Riproduzione riservata

 

Foto in alto: epigrafe in via Ageslao Milano

 

Via Alfieri 52

Via Toledo 43