Sternatia - 28 Mar 2023

Scompare l’artista Gigi Specchia, lutto nel Salento per la perdita del “cantore griko”

Il pittore si è spento ieri, lunedì 27 marzo, nella sua casa a Sternatia, all’età di 76 anni. Il ricordo di Massimo Guastella, docente di Storia dell’arte contemporanea di UniSalento


Spazio Aperto Salento

Conobbi Gigi Specchia, quando scrivevo di critica d’arte per le pagine di “Quotidiano”. Fu Massimo Melillo, allora caporedattore della cultura a suggerirmi di occuparmi di lui. Personaggio riservato e discreto, per sua indole estraneo al mainstream del sistema dell’arte contemporanea, sapeva ben impastare colori, prevalentemente ecoline, polveri di tufo, calce e vinavil disponendoli su tela di juta e martoriava le superfici con i tocchi di un casalingo ferretto, che riprendeva, forse, gli esordi formativi nel campo della scultura. Il tutto incorniciato da tavole trattate che marcavano le icone.

Mi invitò in quell’atelier e laboratorio denso di opere pittoriche, che era la sua casa di Sternatia, per visionare i quadri. Nell’occasione, incontrai per la prima volta la sua dolcissima madre-madonna, per dirla con parole di Maurizio Nocera, che per lui fu anche sposa, sorella e figlia amatissima per tutta la vita. Per i casi della vita, scoprimmo relazioni che dalla piccola Sternatia giungevano a Brindisi, per via di mie parentele familiari acquisite, e ciò aprì la strada a una certa confidenza che ben presto superò i rapporti di lavoro, consolidatisi negli anni.

Gigi era gentile nei modi, dotato di sincere umane virtù e di virtù cristiane: di bontà, di umiltà, di fratellanza. Un giusto. Sempre molto disponibile. Dai tratti generosi. Alle doti del cuore abbinava quelle della mente. Unanimemente lo hanno riconosciuto quale raffinato intellettuale: arguto, mostrava una vitalità creativa straordinaria e una sete di sapere imbevuto di cultura del territorio, Bodini su tutti, Comi e Pagano, e oltre sino alle Laudi di Jacopone da Todi, Blaise Pascal, Garcia Lorca, Ezra Pound, Salvatore Quasimodo, Giovanni Paolo II. Citava loro brani a menadito, non dimostrando d’essersi fermato agli studi di scuola media inferiore, ragazzino di paese costretto dalle necessità familiari ad andare a lavorare nei campi.

Accanto ai grandi del passato – che amava studiare – non mancava di dedicare la sua attenzione agli artisti salentini, specialmente la linea dei paesaggisti, e ancora allo scultore Gaetano Martinez o Luigi Gabrieli, che riteneva poco studiato. Ma la passione autentica era rivolta all’arte di Vincenzo Ciardo, ispirazione costante di una fase ben precisa almeno sino alla fine degli anni ottanta, quando distaccandosene intraprese “una mia strada linguistica, quella che mi ha condotto sin qui” mi diceva. Ma l’artista di Gagliano del capo è rimasto una sua guida spirituale e in anni recenti il suo precipuo motivo di studi approfonditi, dandomi delle dritte ed insegnandomi e rivelandomi non pochi aspetti della sua biografia e della sua produzione; un autorevole conoscitore.

Verso l’estate del 1999, grazie al compianto Tonino Cassiano, studioso d’arte e direttore del Museo “Castromediano” di Lecce, preparammo insieme e ordinammo una sua mostra Gigi Specchia. Opere: 1989 -1999, per l’Otranto Festival, allestita nel Castello Aragonese della cittadina adriatica. Erano trascorsi ventitré anni dalla sua prima personale alla “Galleria Maccagnani” della Società operaia di Lecce, che lo portò l’anno successivo a trasferirsi, per poco meno di un biennio, a Milano per formarsi con Baragatti prima e poi alla “Bottega degli artisti” diretta da Vincenzo Gatto.

Al suo ritorno nella Grecìa salentina, dopo un’eclettica produzione degli anni Settanta-Ottanta, “che – secondo Ennio Bonea –  rischiava  di perdersi in mille temi”, Gigi avviava le frequentazioni con i più vivaci circuiti della produzione letteraria e artistica salentina, fatte di incontri, spesso nella sua casa-studio nel centro di Sternatia (ricordava Verri), confronti, progetti espositivi, contributi critici che coincidevano con linee sperimentali adottate a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Rinvigoriva la sua cifra d’un espressionismo esistenziale, fatta di pleniluni, periferie e Litarà che commoventi interpretavano la storia e al tempo stesso l’attualità della sua terra, ma con medium e linguaggio sprovincializzati.

Considero la sua partecipazione alla collettiva intitolata Le carte del Saraceno (1990), al Caffè letterario “Paurt Noj” di Milano, – una sorta di chiamata alle armi dei più fertili ingegni di quella stagione salentina di fine novecento –  progettata da Antonio Verri, suo sodale che affettuosamente tratteggiava “l’occhialuto e intristito Gigi”, la circostanza della svolta acclarata, anche in senso materico della sua ricerca, decisa e innovatrice, che pur manteneva salde le tematiche autoctone delle composizioni, sviluppate negli anni a seguire; penso al ciclo dedicato ai Martiri di Otranto o Uomini in guerra. Poveri davanti a dio e poi i calchi delle foglie di vite, gli intrecci di vimini e le cortecce degli alberi e non di meno quei soggetti sacri universali e salentini al tempo stesso, poiché vissuti nella fede profonda.

Entro la cerchia dell’intellighenzia nostrana trovava conferma l’interesse per le opere di Gigi: da Ennio Bonea e Antonio Verri ad Aldo Bello, da Maurizio Nocera a Salvatore Colazzo, da Antonio Errico a Piero Antonaci e Nicola Cesari; e mi perdoneranno gli altri che non cito per brevità, a riprova che tanta letteratura critica ha contribuito a far conoscere questo lirico pittore nativo di Sternatia e per scelta radicato nella sua terra di cui, con colori e forme che fissavano le sue visioni, è stato uno degli ultimi cantori della Grecìa salentina, come ho avuto modo di scrivere in altra sede. Per le sue esposizioni a Modena, Reggio Emilia, Cascia, Todi, Milano, Pisa, Perugia, diversi critici hanno elogiato il suo lavoro: Franco Pone, Dino Pasquali, Gianni Baldo, Carlo Franza, Giorgio Segato.

Altri momenti condivisi li abbiamo trascorsi nel 2001 ad Aliano in omaggio a Carlo Levi. Nell’estate del 2003, con lo sprone di Massimo Manera, allestimmo una antologica dei suoi lavori nell’Ex Convento dei Domenicani, un orgoglio poter esporre uno spaccato della sua arte nella sua Sternatia, quasi si potesse predisporre una pinacoteca dedicata a lui, un’ambizione neppure celata. Un po’ di mostre collettive le abbiamo portate lungo il Salento. Varie esposizioni hanno visto la sua partecipazione negli anni Dieci-Venti di questo secolo.

In tutta onestà per il ricordo che ho di lui, confesso, pedestremente, che qualche nota la riservavamo alla comune squadra calcistica del cuore. Nel paese sanno quanto fosse appassionato, ma destinava i commenti in esclusiva al bar o in piazza. Più di recente mi trasferiva la sua dedizione per le pieghe recondite della vita e del percorso artistico di Ciardo, fornendomi più d’uno spunto di studio.

La sua attività inarrestabile poteva fermarsi solo esalando l’ultimo respiro, nel silenzio solitario che ha caratterizzato il suo cammino terrestre. Mi resta il cruccio di non aver potuto assecondare con tempestività un suo desiderio che mi aveva espresso telefonandomi un mese addietro circa, sollecitandomi ad andarlo a trovare e interessarmene per il mio lavoro: un carteggio che ancora una volta riguardava Vincenzo Ciardo. La banalità della mia risposta: “Passerò a trovarti nei prossimi giorni, appena mi sarà possibile”, mi affonda sconfortato nell’estremo saluto all’amico affettuoso ancorché all’artista, che ebbe a dirmi un paio di decenni fa: “Gli anni avanzano anche per me. Solo prego Dio di farmi accorgere del momento in cui la mia vena creativa sarà esausta affinché io possa ritirarmi in buon ordine e conservare una posizione dignitosa nell’arte”.  A Dio Gigi.

Massimo Guastella
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Foto in alto: Massimo Guastella e Gigi Specchia al Museo “Cavoti” di Galatina

 

Gigi Specchia, Ave Maria, 1994

Gigi Specchia, Periferia, 1989 

Antonio Verri, Fernando Bevilacqua, Gigi Specchia e Maurizio Nocera (1990)