Salento/Turismo - 13 Ago 2024

Il Parco archeologico messapico di Manduria

Un tuffo nella storia alla riscoperta delle origini del popolo Salentino. Dal 20 luglio 2024 l’importante sito è nuovamente aperto per le visite, anche in orario serale


Spazio Aperto Salento

Il Salento, geograficamente, è l’estrema propaggine dell’Italia, quasi un pontile proteso verso est nell’immenso Mar Mediterraneo. Tante sono le popolazioni che, nel corso dei millenni, vi sono giunte per conquistare, per scappare da guerre o per effettuare commerci, una tra queste è quella dei Messapi.

Ma chi erano i Messapi? Ebbene, nonostante i primi ritrovamenti a Manduria siano avvenuti già a partire dalla seconda metà dell’800, che i primi interventi di tutela dell’area archeologica risalgano agli anni ’30 dello scorso secolo, e che i primi scavi sistematici, seppure non con approccio archeologico, siano partiti negli anni ’50, risulta difficile definire chi fossero quelle genti.

Sempre più si tende a pensare che si sia trattata di una sorta di stratificazione e miscellanea tra quelle popolazioni che, intorno al IX secolo a. C., partite dai Balcani, giunsero sulle coste pugliesi e che nel corso del tempo si combinarono con altre genti proveniente dall’area greca.

La conoscenza della civiltà Messapica è ancora limitata e frammentaria. La scrittura, che contiene simbologie simili al greco, è stata decifrata solo in parte ed è basata su circa 650 iscrizioni ancora oggetto di studi. Anche la denominazione di quella gente come “Messapi”, non è mai stata ritrovata su fonti dirette messapiche ma solo di altre popolazioni e probabilmente è il risultato di attribuzioni “magno greche” che, a partire dall’VIII sec. a.C., indicavano la Messapia (il cui significato probabilmente era “terra tra i due mari”) come una presenza minacciosa per la loro colonia Taras (l’odierna Taranto).

Si hanno le prime fonti scritte sull’esistenza di Manduria, a partire degli scritti di Plutarco, il quale narra della morte del re Spartano Archidamo, chiamato dai Tarentini in aiuto nella guerra contro Messapi e Lucani, avvenuta a Manduria nel 338 a.C..

Come riportato nelle pagine di Erodoto, Diodoro Siculo, Clearco, Pausania, per lungo tempo, tra Taranto e Manduria, vi fu una altissima conflittualità, forse da ascrivere alla posizione di confine tra territorio Tarentino e Iapigio Messapico.

Non è chiaro quando e come avvenne il processo di pacificazione tra Taranto e Manduria, ma è un fatto certo che al tempo delle spedizioni di Pirro (280-275 a.C.), le due città erano coalizzate contro Roma. Dopo qualche anno dalla sconfitta definitiva di Pirro e la conquista di Taranto da parte dei romani, fece seguito la spedizione punitiva dei Romani verso i Messapi, culminata con la conquista di Brindisi. Manduria fu costretta a sottomettersi all’Impero Romano, ma dopo 50 anni, nel 213 a.C., si ribellò e si schierò al fianco di Annibale. Nel 209 a.C., come racconta Plinio, Roma espugnò nuovamente Manduria facendovi circa 3.000 prigionieri e un ricco bottino: questa informazione è estremamente importante per comprendere la dimensione della città a quell’epoca. A seguito delle distruzioni subite, Manduria fu ricostruita su parte del vecchio tessuto edilizio lasciando inedificata la zona più a est destinata alla necropoli.

Il sito archeologico di Manduria è di rilevante importanza per conservazione dei beni ed estensione dell’area: il Fonte Pliniano, le tre cinte murarie megalitiche, le numerosissime tombe che ad oggi sono oltre 1200 tombe, l’ipogeo della chiesa di San Pietro Mandurino.

Fonte Pliniano (© L.M.)

Il Fonte Pliniano deve il suo nome a Plinio il Vecchio il quale, colpito dalla presenza di un invaso in una cavità carsica che manteneva costante e colmo il livello dell’acqua, lo descrisse nel suo “Naturalis Historia”: “In Sallentino iuxta oppidum Manduriam lacus, ad margines plenus, neque exhaustis aquis minuitur neque infusis augetur”. Il Fonte è una grotta naturale con diametro di circa 18 metri, con un pozzo e delle risorgive lungo le pareti, che contribuiscono ad alimentarlo; vi si accede da una scalinata e la luce che filtra attraverso un lucernaio naturale, al cui interno cresce da secoli un mandorlo, rende il luogo estremamente suggestivo.

Il Fonte si trova nelle vicinanze della prima cinta muraria della città Messapica e i numerosi ritrovamenti e le testimonianze scritte ne confermano l’utilizzo a partire da epoca preistorica e l’attribuzione di poteri magici.

Le cinta murarie di Manduria erano tre. Fino a circa 30 anni orsono, si conoscevano solo 2 muri di cinta, ma con la prosecuzione degli scavi archeologici è venuta alla luce una terza cinta muraria posta tra le due già note.

Il tracciato delle mura si è conservato solo in parte ma è comunque possibile ipotizzare l’andamento del suo perimetro. Circa metà della cerchia interna, risalente al primo quarto del V sec. a.C., è ancora ben visibile e, grazie ai blocchi sparsi della restante parte, si può dedurre il suo sviluppo di oltre 2 km, con una forma pressappoco pentagonale.

Essa fu costruita con grossi massi di pietra locale, squadrati in modo piuttosto rozzo e irregolare a forma di parallelepipedo sovrapposti gli un agli altri in filari senza l’utilizzo di malta, con il lato minore in facciata mentre quello maggiore lungo 2 metri, posto all’interno. È difficile dire quale potesse essere l’altezza della muraglia la quale nei punti conservati meglio, raggiunge l’altezza di 2,5 metri.

Manduria, mura messapiche (© L.M.)

La cinta interna e quella esterna sono separate da un fossato largo 4 metri e profondo altrettanto e, al suo interno, nel corso degli scavi condotti nella seconda metà degli anni ’50, è stato scoperto un terzo muro di cinta, il quale, appoggiato sul fondo del fossato, si innalza per una altezza di circa 2 metri e, in genere, non supera il livello del suolo. Non è chiaro se fosse un vero e proprio muro di cinta o avesse solo funzione di rinforzo della cerchia interna, la sua tecnica realizzativa è comunque diversa da quella utilizzata per le altre due cinta: molto più curata e precisa, i massi costituiti da materiale proveniente da cave più lontane, sono ben squadrati e lisci e, seppure anche in questo caso non siano state utilizzate delle malte, i blocchi sono posati in modo tale da combaciare perfettamente senza lasciare fessure.

La cinta muraria esterna è quella che ha mantenuto meglio il suo stato di conservazione; ha forma ovoidale, è lunga circa 3,4 km ed ha un diametro di circa 1,3 km. Essa è costituita da un doppio paramento di blocchi di pietra locale, con riempimento di terra e sassi. Ha una larghezza che oscilla tra 5 e 5.5 metri, per una altezza di 5 metri, inoltre era dotata di un fossato scavato nella roccia, largo metri 6,50 e profondo circa metri 5, le cui pietre estratte nella realizzazione dello scavo, furono utilizzate per l’innalzamento delle mura, così come per la cinta interna.

I blocchi di questa cinta muraria sono squadrati a volte con forma di parallelepipedo a volte di cubo, posati con cura e regolarità utilizzando una tecnica costruttiva tale da fare pensare all’Opus Quadratum.

Strade di arroccamento, passaggi strategici all’interno delle mura, le cui tracce sono state rinvenute con gli scavi, porte di accesso alla città, delle quali sono stati trovati i fori dei cardini che le reggevano, e in corrispondenza delle quali vi era una interruzione dei fossati e torre di difesa, di una delle quali è stato rinvenuto il basamento di forma circolare, rivelano che il complesso era una superba opera militare a difesa del centro abitato che racchiudeva.

Scavi anni ‘50

Ma un’altra scoperta di gande interesse, dovuta agli scavi che a partire dagli anni ’50 e nel corso delle campagne di ricerca successive, ha portato alla luce la necropoli con oltre 1300 tombe a fossa, talvolta anche di grande dimensione, coperte da lastre di roccia, in taluni casi affrescate e complete dei corredi funerari. Ma numerosi sono anche i rinvenimenti casuali avvenuti all’interno dell’abitato, nel corso di esecuzione di opere di sbancamenti per opere di costruzione contemporanee, le quali hanno portato alla luce pozzi, cisterne colme di frammenti ceramici e di terrecotte di uso domestico come piatti, recipienti per contenere il vino, pesi per telaio, lucerne, unguentari non solo di produzione locale ma anche di importazione, come è possibile dedurre dallo stile cromatico, decorativo e dalle tematiche raffigurate.

Numerosissimi sono i vasi detti “trozzella”, monili, armi, elmi, stigili, cinturoni in bronzo, fibbie, finanche sorta di biberon, bamboline o altri oggetti di uso personale o cari al defunto, che stupiscono per la tecnica realizzativa e la preziosità del decoro.

La Chiesa di San Pietro Mandurino, si trova al limite Nord-Occidentale del Parco archeologico, è composta da una chiesa superiore ad ambiente unico, il cui abside accoglie un bell’affresco di San Pietro Apostolo, e da una cripta ipogea, probabilmente una tomba a camera di età ellenistica più tardi convertita in chiesa. La cripta ha una pianta a due navate, con due absidi divise tra loro da una fila di tre pilastri e un vano quadrangolare contrapposto, è tutta ornata da affreschi raffiguranti santi eremiti venerati dai monaci Basiliani e si accede mediante un dromos scalinato e un piccolo corridoio coperto a semibotte.

Dal 20 luglio di quest’anno, dopo un periodo di chiusura per consentire la realizzazione dei lavori per la costruzione di percorsi sicuri sia per i beni archeologici che per i visitatori, in grado di garantire anche l’accessibilità alle persone diversamente abili, il Parco Archeologico è nuovamente aperto per le visite, che grazie alla realizzazione di un impianto di illuminazione con grande effetto scenografico, è possibile effettuare anche in orario serale.

Luisa Mogavero
© Riproduzione riservata

 

Foto in alto: Parco archeologico Manduria, fossato mura messapiche (© L.M.)

 

Parco archeologico Manduria, Prima cinta muraria e tombe in primo piano L.M.)

Parco archeologico Manduria, tombe L.M.)

Museo Archeologico Manduria, Trozzella e altro vasellame (© L.M.)

Interni della Cripta di San Pietro Mandurino L.M.)