Arte contemporanea - 22 Mag 2022

La “prospettiva panoramica” sui quartieri popolari di Napoli nell’opera dello scultore salentino De Matteis


Spazio Aperto Salento

«Con l’iniziativa del Must per celebrare l’opera dell’artista Francesco De Matteis, la Città di Lecce realizza la volontà di mettere in valore e divulgare, forse per la prima volta in maniera organica, l’opera di questo suo “figlio” che fu capace di assorbire la cultura locale per poi travalicarne i confini fino ad assumere una rilevanza riconosciuta a livello nazionale» . Così scrive Francesca Riccio, Soprintendente all’Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Lecce e Brindisi, nel suo intervento riportato nel catalogo dell’esposizione dedicata all’artista salentino, recentemente inaugurata nelle sale a piano terra del Museo Storico.

La mostra, curata dalla direttrice museale Claudia Branca e dal docente di UniSalento Massimo Guastella, è stata promossa nell’ambito del progetto del Must nato dall’esigenza di promuovere e mettere in risalto quelle che sono state, e che sono tutt’ora, le maggiori personalità artistiche del territorio, troppo spesso trascurate da studi e ricerche e, talvolta, poco note nella loro terra d’origine. Un novero non trascurabile come ci orienta Isabella Valente nel suo saggio a corredo del catalogo (anch’esso a cura di Massimo Guastella, con la collaborazione dei giovani storici dell’arte del laboratorio Tasc, da lui diretto), al fine di riaffermare quella dignità che spetta loro.

È proprio in quest’ottica di ricognizione sistematica sulla produzione artistica meridionale, e nello specifico salentina, che deve essere inquadrata l’esposizione retrospettiva sulle opere di Francesco De Matteis, scultore e decoratore nato a Lecce nel 1852 e attivo a Napoli fino alla morte avvenuta nel 1917, anello di collegamento tra la città salentina e quella partenopea. Si ritiene che gli anni di formazione e d’esordio a Lecce lo vedano attivo nella bottega di Achille de Lucrezi, scultore e cartapestaio, da cui avrebbe appreso i rudimenti dell’arte plastica.

La più antica datazione attualmente rivenuta dagli studiosi è offerta da una statua in terracotta brunita, l’Allegoria della Terra, firmata e datata “F. De Matteis 1876”, recante il timbro della Manifattura Paladini di Lecce, un inedito che si può ammirare in mostra.

Fermo restando che i biografi indicano un suo trasferimento a Napoli da giovinetto, fornendo notizia anche di suoi presunti spostamenti a Roma e a Parigi, le fonti testimoniano l’iscrizione dell’artista al Real Istituto di Belle Arti del capoluogo campano solo nel 1877 (l’anno successivo alla realizzazione dell’opera sopracitata, di chiara matrice salentina), all’età di venticinque anni, e giusto un anno dopo, nel 1878, De Matteis sposerà a Napoli la moglie Caterina Formica.

Frequenta i maggiori circoli artistici ed intellettuali della città, inserendosi appieno nel vivace contesto culturale di metà Ottocento, nucleo di spiccata rilevanza per la pittura e la scultura, così designata, “di genere”. La fama dell’artista ebbe modo di crescere anche grazie a commissioni relative alla decorazione di edifici, emblema della modernità napoletana, come il Gran Caffè Gambrinus, per il cui apparato ornamentale contribuì con una serie di stucchi.

Ma la cifra stilistica di De Matteis è da riconoscere sicuramente nella statuaria di medio e piccolo formato, sovente realizzata in terracotta, in quelle «sue piccole figure, i suoi gruppetti deliziosi, riproducenti quasi tutti costumi napoletani», come asserisce Enrico Giannelli, anch’egli artista salentino trapiantato a Napoli, che redige la prima nota biografica e critica sullo scultore, all’interno del suo volume “Artisti napoletani viventi”, pubblicato nel 1916.

Le sue figurine ed i suoi gruppetti scultorei costituiscono la caratteristica distintiva dell’artista: essi erano riconoscibili anche a distanza, «senza bisogno di dare uno sguardo alla firma» (E. Giannelli).

Con le sue opere – via percorsa certamente anche per esigenze di mercato –  Francesco De Matteis offre una prospettiva panoramica sui quartieri popolari della sua fascinosa città d’adozione, sui vivaci abitanti che animano la scena napoletana, una visione che permette di cogliere il vivere quotidiano nel meridione di fine Ottocento.

Il bozzettistico corpus in esposizione al Must consta di 52 opere, prevalentemente sculture in bronzo e terracotta, alcune provenienti da musei pugliesi (si ricordano il Museo Castromediano e la Raccolta Giannelli di Parabita, pur se mancano all’appello i gruppi di scugnizzi musicisti appartenenti al Museo Pagliano di Martano e alla Città Metropolitana di Bari, non già per volontà dei curatori) e altre da raccolte private, oramai da tempo oggetto di contesa tra i collezionisti e i mercanti d’arte.

Uno dei più rappresentativi esemplari presenti in mostra è il gruppo bronzeo A Piedigrotta, di proprietà comunale dal 1899, proprio su donazione dell’artista leccese, che raffigura una briosa banda di scugnizzi alle prese con strumenti musicali tipici della canzone napoletana, disposti come fossero su un palco nell’intento di mettere in scena la prestazione musicale, rimandando alla tradizionale festa di Piedigrotta, una sorta di carnevale estivo, che si svolgeva nel mese di settembre nella città partenopea, legata alla Chiesa di Santa Maria del quartiere Chiaia di Napoli.

Mancano tutt’oggi testimonianze grafiche della sua attività, e pur tuttavia in mostra sono presenti due disegni del genere della caricatura, che sappiamo lo vide coinvolto in riviste napoletane, e in particolare l’Autocaricatura e quella della moglie Caterina, entrambe provenienti dalle collezioni degli eredi di Antimo De Martino, ulteriore conferma dello stretto rapporto non solo di committenza ma anche di profonda amicizia che ne contraddistinse il legame, presumibilmente negli anni della maturità dell’artista. In tal senso, scrive in catalogo Lia De Venere.

Sono presenti, ancora, sculture che richiamano alla memoria mestieri e circostanze di vita bucolica, fanciulli che giocano, giovani amanti e vicende legate al contesto circense, che offrono l’occasione per godere di uno scenario allegro e festoso, restituendo il senso di verità del folclore napoletano.

Seppur contrassegnate dalla sua firma, di rado le opere di Francesco De Matteis sono datate e contraddistinte dal titolo inciso; a rendere il lavoro della critica ancora più difficoltoso sono le numerose repliche sugli stessi soggetti, talvolta con minime varianti, che spingono a servirsi, per una riorganizzazione cronologica, della relazione approssimativa tra l’intervallo di esecuzione delle opere e le esposizioni che le vedono protagoniste. Non solo. Si registra un curioso caso di un’opera certamente attribuibile al De Matteis, ma firmata Amendola, sulla quale disquisisce in catalogo lo studioso napoletano Diego Esposito.

Alcuni titoli sono deducibili dal facile riconoscimento dell’iconografia in questione, altri sono stati assegnati provvisoriamente, essendo alcune opere prive di documentazione sufficientemente accurata e di riscontri iconografici.

De Matteis fece ritorno a Lecce per un breve lasso di tempo: innanzitutto per l’inaugurazione del Monumento a Gioacchino Toma in piazzetta Falconieri (1898), a cui la giovane studiosa Federica Coi riserva in catalogo un’accurata ricostruzione attraverso un affondo tra le carte d’archivio, sino alla distruzione negli anni Quaranta a causa della campagna “Bronzo per la patria”; nonché per dedicarsi all’attività decorativa anche nella sua città natale, ornando di stucchi e tempere gli interni dei nobili palazzi Carrozzini e Garzya-Famularo.

La tragica perdita dell’unica figlia, Emma, giovane pianista in carriera, che grazie al contributo in catalogo di Guastella diviene vicenda meglio definita, fece ritirare l’artista nel privato, lontano dal palcoscenico della vita pubblica.

Tra le ultime opere della sua produzione si osserva in mostra l’allegoria in bronzo della Terza Italia, da lui realizzata per gli abbonati della testata «Il Giornale d’Italia» nel 1915, per la fonderia napoletana Chiurazzi.

La mostra monografica di Francesco De Matteis è il risultato di uno dei tanti obiettivi che il Must di Lecce si propone, così come chiarisce nell’introduzione Claudia Branca che sottolinea l’obiettivo di continuare metodicamente a promuovere l’arte del territorio, mediante un incontro con le istituzioni universitarie e accademiche, diffondendo con dignità scientifica e piglio divulgativo il sapere e l’opera di quegli artisti che, partendo dal contesto locale, si sono affermati e sono stati riconosciuti a livello nazionale”.

Martina Raho
© Riproduzione riservata

 

 

Foto in alto: A Piedigrotta, 1895 ca. Bronzo 36x96x22 cm. Iscr. F. de Matteis Capodimonte, Collezione privata. In basso: i curatori della mostra Massimo Guastella e Claudia Branca

 

 

 

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