Lecce - 06 Lug 2023

L’antologica di Filomeno al Must: “Uno sguardo alle origini, un ritorno al passato e la chiusura di un cerchio”

La mostra dei "quadri ricamati" , nata da un’idea di Claudia Branca e curata da Massimo Guastella, è visitabile fino al 22 ottobre 2023


Spazio Aperto Salento

La pratica del ricamo appartiene ad un mondo antico, è un processo lento, che richiede pazienza e precisione. Angelo Filomeno “dipinge con l’ago”, intreccia i fili e compone opere dall’eccezionale resa visiva a cui contribuisce la preziosità dei materiali utilizzati dall’artista: supporti in seta shantung, lino, iuta, denim, ricamati con fili spesso metallici e arricchiti da perline e cristalli Swarovski, a cui delle riproduzioni fotografiche non possono rendere giustizia. Occorre vederle le opere di Angelo, seguire con lo sguardo i fili che si inseriscono nella trama del tessuto per creare i suoi “quadri ricamati”. L’occasione per farlo, da un’idea della direttrice Claudia Branca, è la mostra Angelo Filomeno. Works. New Millennium, inaugurata nei giorni scorsi nella sede del Must – Museo Storico della Città di Lecce.

Angelo Filomeno cresce a San Michele Salentino, piccolo paese della provincia di Brindisi.

Ad introdurre nell’itinerario della mostra, per scelta, di rigoroso ordine filologico del curatore Massimo Guastella, una delle prime sperimentazioni di Filomeno, inedita ai più: un tappeto datato 1984, realizzato con la collaborazione della sorella Marilina e segnato da elementi geometrici, linee rette e spezzate, in nero e rosa su fondo bianco, un’opera che anticipa la sua predisposizione all’arte morbida. Filomeno, tra macchine da cucire e fili di tessuto ci è cresciuto; la madre, ricamatrice anche lei, manda Angelo all’età di soli sette anni presso la bottega del sarto Roberto De Pasquale, dove bambino apprende le tecniche che ancora oggi sono di supporto al suo lavoro. Gli studi di pittura all’Accademia di Lecce, poi gli anni a Milano costituiscono le basi della sua formazione, non solo artistica ma anche sartoriale.

Dopo il trasferimento a New York nel 1992 e una carriera come costumista teatrale, l’inizio del nuovo secolo segna la svolta: realizza You in the universe (2001), in seta shantung rossa presente in mostra, prima opera che dà avvio alla sua produzione di “quadri ricamati”.

Ernst Gombrich in Freud e la psicologia dell’arte, a proposito del processo psicologico nel rapporto tra contenuto e forma scrive: «Le forze del linguaggio liberano l’artista dai suoi “ripentimenti”. È il mezzo, non lui, ad essere attivo e ad esprimere questi pensieri». Il mezzo per eccellenza caro a Filomeno, portavoce dei suoi pensieri e ripentimenti, è il ricamo che pratica personalmente con la sua macchina da cucire Singer. Le sue opere sono forme tratte dall’inconscio più oscuro, figure tribali e scheletriche, teschi, immagini metafore di situazioni e ricordi personali che traduce in singolari iconografie di rimandi alla morte e alla precarietà dell’esistenza, in un costante memento mori.  Il macabro in Filomeno dialoga con la bellezza della fattura delle sue opere.

Percepite in molte società africane come mediatrici tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi, le maschere tribali costituiscono un tema frequentemente utilizzato dall’artista: Tribal warning shot del 2007 e nella versione riproposta nel 2009 Tribal warning shot (green mask) sono entrambe presenti in mostra; in quest’ultima il volto della maschera si inserisce nella forma di uno scarabeo, simbolo di rinascita e di un nuovo corso che può avvenire ogni volta che si “muore”. Il supporto, iuta usata, ha valore identitario per l’artista e rimanda alla sua terra trattandosi di sacchi provenienti dalla raccolta delle olive; mentre, l’aspetto grezzo del materiale fa da contrasto con la finezza del ricamo dei lucenti fili verde e azzurro.

Anche nella serie Days of Pain (2009), il dolore è impersonato dalle maschere e assume ogni giorno un volto diverso. All’arte morbida, Filomeno affianca opere scultoree, disegni, fotografie, installazioni, in continuo confronto con medium nuovi. La scultura in bronzo Dream of essence (2010), un teschio con zanne acuminate più che denti, è trafitto da un paletto di quarzo fumé che determina il sanguinamento del cranio con colature in rilievo, un’opera che ben chiarisce il commento di Janet Koplos in «Art in America», in cui scrive: «Filomeno trovò la strada verso il sublime combinando repulsione e bellezza».

Riproposta al Must, dopo una prima presentazione a Parigi presso la Galerie Anne de Villepoix nel 2009, anche l’installazione Because The World Is Cruel: una scopa in acciaio e cristallo ed una in saggina sono collocate su un tavolo specchiato che, nella sua proprietà riflettente, assorbe e allo stesso tempo amplifica il significato misterioso e arcano di questi oggetti. Le scope, in realtà personificazione del bene e del male, un dualismo presente in ogni individuo, sono metafora della vita che, in un mondo crudele dove spesso ci si lascia coinvolgere dai malanimi da cui si è circondati, fanno perdere significato all’esistenza e ci rendono apatici nei confronti di essa. La vita perde la luce, quella dei cristalli della scopa in acciaio, per diventare arida e carcassa di se stessa, spezzata da una frattura da cui “sgorga” del sangue solido rappresentato da una placca in acciaio.

Nella stessa sala, ad una particolare attenzione vanno sottoposte le sedie realizzate dall’artista dove artigianalità e prodotto artistico dialogano con forza ancora maggiore e gli insetti ritratti, come in Egyptian revival (2021) acquisiscono la preziosità di manufatti antichi.

La raffinatezza del lavoro tessile è evidente nella serie Amulet a cui Filomeno si dedica a partire dal 2011. Le opere, già esposte presso la Galleria Giovanni Bonelli di Milano con cui Angelo ha un consolidato rapporto di collaborazione da anni, sono pannelli di grandi dimensioni in cui i temi già trattati – insetti, teschi scarabei ma anche pesci e lumache di mare – sono inquadrati da decorazioni geometriche e astratte.

Ispirato alle opere dell’artista compaesano Cosimo Carlucci, è presente il gruppo delle Nine Moons (2008): la luna e le sue molteplici facce affiorano mediante fili argentei dal fondo scuro con riflessi morbidi e cangianti. Carlucci, scultore di strutture semplici e astratte, ha avuto nel corso della sua carriera omaggi critici da studiosi quali Argan, Portoghesi, Fagiolo e, come Filomeno, è stato apprezzato a livello nazionale e internazionale. Al maestro, Angelo era legato da un rapporto di amicizia e ammirazione tanto da essere materia della sua tesi di diploma all’Accademia nel 1986. Quella di esporre questa serie non è una scelta dettata dal caso: il Must ospita nella sua collezione permanente un consistente numero di opere di Carlucci donate dallo stesso artista al Must, l’esposizione diventa così occasione per un confronto unico tra i due artisti conterranei che si rincontrano nello stesso museo.

Gli anni che precedono la pandemia sono segnati da vicende personali che destabilizzano l’artista mettendo una pausa al suo lavoro. La ripresa dell’attività segna una cesura rispetto alla produzione precedente: Filomeno si libera di quei mostri, non solo figurativi ma anche personali, che avevano caratterizzato le sue opere e si lascia andare a tematiche nuove.

Opere come Black Sea (2020) e The Tempest (2020-21) dimostrano una sensibilità nei confronti della crisi climatica e dei problemi ambientali che confluiscono con maggiore forza nella serie Islands, in cui iceberg, isole e vulcani occupano come monoliti la composizione, più minimalista rispetto ai precedenti decorativismi, in mostra l’esemplare Blue Iceberg (2020).

Un’intera sala è dedicata alle serie di American Barns e American Circus, tra le produzioni più recenti. Fienili e circhi sono collocati in luoghi desolati, come avvolti da una strana atmosfera sospesa e onirica in cui protagonista, con le architetture menzionate, è la luna, ritratta nelle sue diverse fasi e colorazioni. Filomeno in queste serie cambia “tavolozza”, la scelta dei colori ricade su toni più vivi e vibranti quasi in contrasto con la quiete dei luoghi che sembrano non appartenere ad un mondo tangibile. La consapevolezza di un nuovo equilibrio interiore è testimoniata da queste opere, in cui la luna fa luce alla strada intrapresa. Gli American circus sono proposti anche mediante la tecnica ad acquarelli, una ripresa per Filomeno di una pratica utilizzata negli esordi, quando ai tempi dell’Accademia si esercitava nella realizzazione di paesaggi.

Uno sguardo alle origini, un ritorno al passato e la chiusura di un cerchio, quello che un po’ racchiude il significato di questa mostra: il ritorno a casa di Angelo.

Angelo Filomeno. Works. New Millennium, è la prima mostra di taglio antologico dedicata alla produzione dell’artista visitabile presso il Must – Museo Storico della Città di Lecce fino al 22 ottobre 2023. La personale, realizzata con attenzione alle tappe cronologiche in un contesto contemporaneo, propone un’immagine completa di Filomeno e della sua produzione da inizio secolo ad oggi, offrendo anche la rara testimonianza del precedente tappeto. Works rende il giusto omaggio ad un artista salentino, la cui grandezza, forse, non è ancora stata pienamente riconosciuta nel suo territorio d’origine e si pone in linea con le ambizioni del museo nel dare lustro alle figure locali.

Erika Presicce
© Riproduzione riservata

 

 

Foto in alto: A. Filomeno, American barns, 2022; American circus, 2022, installazione, ricamo su seta shantung

 

Inaugurazione mostra (da sin.: Angelo Filomeno, Massimo Guastella, Roberto Marti e Fabiana Ciccirillo)

A. Filomeno, Because the world is cruel, 2009, acciaio e perline di cristallo Swarovski

A. Filomeno, Nine moons, 2008, ricamo filo metallico su seta shantung, nove pezzi ciascuno 51×41

A. Filomeno, Still life with fishes in blue, 2013, ricamo su seta e cristalli Swarovski, 198×99. Dettaglio.

 

Leggi anche:

Al Must di Lecce prima antologica dell’artista salentino Angelo Filomeno

Guastella: «Una rilevante esperienza formativa per i nostri allievi”

Le “pitture ricamate” di Angelo Filomeno