Arte contemporanea - 30 Giu 2022

L’officina delle “riflessioni ironiche”

Visita al laboratorio di Andrea Buttazzo. Nuovo appuntamento del progetto “Studi d’Artista” curato dagli studenti del Dipartimento di Beni culturali di UniSalento


Spazio Aperto Salento

Nell’ambito del secondo appuntamento delle visite agli ateliers degli artisti, organizzate dal Consiglio studentesco del Dipartimento di Beni culturali, dell’Università del Salento, gli studenti sono stati ospitati presso lo studio di Andrea Buttazzo, situato a Lecce in via di Tafagnano 24.

Buttazzo è un artista salentino, docente presso il liceo Ciardo-Pellegrino di Lecce. La sua formazione prende avvio nello stesso Istituto Statale d’Arte, per poi frequentare il corso di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, ma l’interesse per l’arte gli deriva soprattutto dalla famiglia. Dallo zio artista, Roberto Buttazzo, e dal padre appassionato e collezionista d’arte salentina dei primi del Novecento, eredita la passione per la conoscenza approfondita della storia dell’arte.

Il suo laboratorio prende il nome dall’associazione da lui stesso fondata nel 2011, “Lab11”, ed è inteso dall’artista anche come atelier, studio e officina. È uno spazio collettivo, oltre che personale, un «porto in mare aperto», pronto ad accogliere e a donare esperienze. Buttazzo sottolinea  l’importanza per uno scultore di avere il proprio luogo di lavoro a piano terra, per consentire un più facilitato spostamento delle opere in occasione di mostre ed esposizioni. Un laboratorio di scultura, quindi, presuppone un ampio spazio funzionale. In origine, era sede di uno tra i più antichi mulini di Lecce, dunque un luogo di «fatica» anche se di un’altra natura, dotato di macchinari tradizionali e stalle per gli animali.

Buttazzo ha scelto di non esporre le opere finite all’ingresso; infatti, chi entra nel suo studio ha la possibilità di comprendere e osservare il processo di esecuzione dell’opera per poi fruire in seguito e più consapevolmente dei prodotti del lavoro. Il primo spazio è quello destinato alla lavorazione dei materiali; poi si accede alla zona relativa alla strumentazione per la rifinitura e l’imballaggio; infine, si è ammessi alla zona espositiva.

Una delle caratteristiche principali della sua poetica è la trasgressione. Si tratta di una produzione plastica imperniata anche sull’essenzialità, che rispecchia il gusto contemporaneo, come osserva Marina Pizzarelli, che ha curato la seconda mostra personale dello scultore. Il suo è un modo di comunicare semplice, che veicola contenuti altrettanto chiari e facilmente riconoscibili per via della loro attualità.

I cardini della produzione di Buttazzo, nella lettura che ne ha dato Lucio Galante in un testo critico, sono: la materia (pietra leccese, in primis); la perizia tecnica; il suo bagaglio culturale, in cui si rintraccia l’influenza del suo maestro, Marcello Gennari, e dell’esperienza del dadaismo, del surrealismo, dell’arte povera e di quella concettuale. Il linguaggio dell’iperrealismo gli consente, inoltre, di rappresentare una surrealtà nella quale i valori essenziali della vita appaiono forse ancora più veri. L’artista aggiunge come quarto punto rilevante anche l’ironia, evidente nel confronto con il fruitore: strumenti ironici sono i titoli che costituiscono dei veri e propri giochi di parole, desunti frequentemente da modi di dire oppure da luoghi comuni. Il fine è sempre quello di indurre l’osservatore a compiere uno sforzo meditativo profondo. Il sorriso suscitato dalle creazioni di Buttazzo, infatti, è in grado di stimolare delle riflessioni serie sulle più problematiche condizioni della società contemporanea. Importante è il lavoro d’equipe, con figure collaterali come filmmaker e designer. In questo modo le foci di differenti linguaggi si incontrano, affluendo in un’unica fonte e dando vita a progetti e contenuti interdisciplinari ricchissimi.

Al centro del laboratorio è sospesa un’istallazione che riproduce la chioma di un albero di fico, “Tree of shame” (2012). Si tratta di una scultura sonora e interattiva, progettata in modo che, se scossa, produce un rumore metallico per via dell’urto che si determina tra le foglie di terracotta. “Disarmante” (2013) è il titolo di un’altra opera presente nello studio: una calibro 9 in scala 10:1 in cemento armato, il cui scopo è quello di rappresentare un gioco, sebbene presenti tutti i dettagli propri delle vere pistole. È un’«opera inutile», che gioca appunto sulla sua straniante innocuità.

In opere come l’istallazione delle sedie di paglia capovolte e appese al soffitto, si può scorgere un’innegabile influenza concettuale e duchampiana. Non sorprende, quindi, di imbattersi spesso in oggetti d’uso quotidiano riproposti come opere d’arte. Le sue sculture sono oggetti selezionati dopo un accurato processo di analisi e di psicoanalisi dei significati intrinsechi e dell’uso che di essi si è soliti fare. In seguito, questo studio porta alla fase più personale dell’interpretazione dell’artista.

Nel soppalco è stato allestito uno spazio riservato alla progettazione, dove si possono osservare dei giubbotti di salvataggio in pietra o in cemento armato e dei giubbotti antiproiettili in gesso, argilla o cemento fragilissimo: una sorta di objet trouvè, la cui funzione datagli dall’artista contraddice quella comunemente attribuitagli. Giubbotti che non salvano ed altri che non proteggono.

L’apparenza che nasconde una condizione opposta a ciò che esprime l’oggetto esteticamente si ritrova in “Non toccare” (2013), un sacco da pugile che sembra potente e indistruttibile ma che in realtà, se colpito, si sgretola completamente. “Autoritratto” (2014) consiste in una pietra fornita di uno specchio-spia. Nella sua ideazione originaria, una microcamera registrava l’effige dello spettatore riprendendolo simultaneamente di fronte e di profilo. Guardando nello specchio si scopriva che osservando si veniva osservati, provando in questo modo un forte senso di vulnerabilità. Risale al 2014 anche “Scatolo”, una scultura legata al tema della mercificazione e al rapporto tra i valori dell’economia e quelli dell’arte. Un QR Code è leggibile sulla superficie di una stele e in ciò è ravvisabile il rapporto tra arte e tecnologia che consente la multimedialità. L’interazione tra opera e fruitore accresce, pertanto, il coinvolgimento emotivo e fisico e porta ad una partecipazione quasi teatrale.

Il rapporto con i discenti è per lui una fonte imprescindibile di confronto, da cui derivano energie per aprire nuovi sentieri di ricerca e utilizzare prospettive inedite per guardare il presente e il futuro. Come Buttazzo stesso ha affermato, l’insegnamento rappresenta uno strumento che gli consente di trasmettere agli studenti alcune competenze utili per affrontare in modo più consapevole le sfide del domani. Questo interesse alla didattica si evince dalla serie di mascherine realizzate durante la pandemia: una mascherina scolpita nel sapone è nata dall’idea di coinvolgere praticamente gli studenti in un progetto laboratoriale svolto in teledidattica.

Per quanto riguarda la fruizione delle sue opere di committenza privata, è da menzionare “Chiaro?”, che rappresenta un palloncino librato in aria presente sul tetto di Palazzo Carrozzini, situato in piazzetta Santa Chiara a Lecce. A voler usare le parole dell’artista, è: «una perla in sospensione, è impura perché tirata verso il basso dalla curiosità dell’uomo e poi è leggero come palloncino al vento, gonfio di cielo, sembra carta …e se carta fosse, durerà dopo le prime piogge?». Quindi, una scultura in pietra bianca, effimera ma pesante al tempo stesso, di committenza privata e contemporaneamente di pubblico godimento, istallata in un ambiente fortemente storicizzato, cioè la piazzetta barocca.

Ultimamente, invece, la sua ricerca si sta orientando su tematiche di natura ambientale. L’ambiente per l’artista si ricollega al concetto di circolarità: i materiali usati in scultura sono attinti dalla realtà fisica in cui viviamo e perdurano nel tempo, a volte mutando aspetto, ma comunque sopravvivendo ai cicli storici. Nel contesto della rassegna “Land Art” del 2021, avente per tema le Transazioni eco artistiche, Buttazzo ha partecipato esponendo la sua “Eternity non è eternit” presso l’agriturismo “Sante – Le Muse” a Salve. Si tratta di un’opera di denuncia contro il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti sui cigli delle strade, che esprime la visione dell’ambiente propria di un artista che intende porre enfasi sull’urgenza della salvaguardia del nostro pianeta.

Marianna Sozzo
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Foto in alto e sotto: alcuni momenti della visita degli studenti di UniSalento allo studio di dell’artista Andrea Buttazzo

 

 

 

 

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