Arte contemporanea - 30 Giu 2022

“Studi d’artista”, intervista ad Andrea Buttazzo


Spazio Aperto Salento

Dopo aver illustrato la storia del laboratorio, comprendendo tappe fondamentali come la sua inaugurazione, all’esaustiva e appassionata spiegazione di gran parte dei manufatti esposti, molte sculture e “ready-made” (vedi altro articolo), di seguito una breve intervista ad Andrea Buttazzo mirata alla conoscenza degli aspetti più teorici e alle implicazioni sociali della sua produzione che ha fatto dell’ironia la sua inconfondibile cifra stilistica.

Ha mai avvertito l’esigenza di esprimersi attraverso un altro medium diverso dalla scultura? Riconosce il primato delle discipline plastiche oppure ritiene che la sua sia una vocazione esclusiva?

Sì, è molto esclusiva perché riconosco nella scultura una completezza. La scultura ci permette di sviscerare una serie di aspetti che non sono solo quelli della costruzione di una forma ma anche del suo rapporto con l’ambiente, quindi diventa molto simile alla scenografia, agli aspetti multimediali che circondano l’opera stessa, all’interazione con il pubblico. Quindi no, non cambierei medium perché ancora mi dà delle risposte soddisfacenti, anzi mi permette di continuare la ricerca.

Il riferimento all’immaginario popolare e fiabesco risponde all’intento di suscitare reazioni e riflessioni veicolando messaggi d’attualità oppure si tratta di una satira del mondo contemporaneo dominato dalle contraddizioni e dalle apparenze?

È un po’ come se fosse un ”rebus”, una forma di rappresentazione del gioco che permette la concentrazione, la riflessione, la risposta a interrogativi. Questo avviene attraverso il gioco perché è il sistema più semplice, più adatto a tutti e non ha bisogno di esprimersi in una particolare lingua: è adatto al bambino, alla persona anziana, a quella acculturata o a quella ignorante. È lo strumento che permette la riflessione, una sorta di amo a cui far abboccare lo spettatore e fargli fare altre domande.

Penso ad opere quali il giubbotto di salvataggio realizzato in cemento armato che dovrebbe trarre in salvo ma non assolve a questa funzione, oppure alla pistola che si rivela inutile perché non può effettivamente sparare o ancora al manichino che diventa un bersaglio.

Alla fine, arrivando a una profonda riflessione ci si rende conto anche dell’inutilità. Tu dici che la pistola è inutilizzabile, ma è inutilizzabile perché è impossibile trovare dei proiettili adatti a quella scala; quindi, è sempre cercare di spostare l’asticella un gradino più in alto, arrivare oltre e questo avviene attraverso queste metafore, questi ossimori e contraddizioni. Forse la parola chiave è contraddizione.

All’ingresso del suo laboratorio ho notato uno schizzo che riproduce il profilo di una testa. La sua attività presuppone una progettazione grafica delle opere? Esiste una prassi oppure si tratta di un processo libero e istintivo?

È un po’ ambigua come possibilità, nel senso che tutto nasce dall’interno della mente, quindi, non avrebbe bisogno di una presentazione grafica di progetto quando riguarda solo me stesso. Lavorando spesso in equipe e dovendo condividere l’idea con altri nasce l’esigenza di fermarla, di mostrarla e di spiegarla, però in realtà è una cosa flessibile che dipende dal progetto. Adesso vi ho presentato il progetto per un concorso a cui sto partecipando che prevede anche una fase di disegno. Altre volte non è così ed è anche una ricerca, cioè un aggredire direttamente il materiale facendo leva solo sull’idea e non sulla sua costruzione: è quasi una ricerca di soluzione nel materiale stesso e non preventiva quindi molto più istintiva se vogliamo.

Angelica Sozzo
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In alto: un momento dell’intervista ad Andrea Buttazzo

 

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