Salento - 27 Apr 2024

Lecce, il fascino senza tempo dei “fiumi” Idume e Giammatteo

Conosciuto anche come “Theutra”, il primo scorre nella città sotterranea ed è visibile a Palazzo Loffredo Adorno e nel Museo Faggiano, mentre per vedere il secondo, bisogna spostarsi nella marina di Frigole


Spazio Aperto Salento

In uno è persino possibile fare il bagno, nell’altro si possono immergere soltanto i piedi. Sono gli antichi “fiumi” di Lecce, Idume e Giammatteo, entrambi ricordati in altrettanti nomi di strade cittadine. Scarsi come sono d’acqua e di grandezza, chiamarli fiumi è sicuramente esagerato, ma così sono passati alla storia. Specie il primo, dal tempo in cui, indicandolo come “Theutra”, ne parlò il geografo, storico e filosofo greco Strabone, allorché in uno dei suoi scritti, si dilunga sui colonizzatori provenienti dall’isola di Rodi, che proprio nei pressi di quel corso d’acqua, fondarono il villaggio di Syrbar, destinato a diventare la Lecce messapica prima e romana dopo.

CORSI D’ACQUA

In realtà, l’Idume (a cui è dedicata una stradina del centro storico leccese denominata vico del Theutra), ed il Giammatteo, sono frutto di falde, polle e sorgenti sotterranee, come ce ne sono nell’intero Salento: dal Tagliatelle di Vernole al Tamari di Melendugno, passando per i più noti Idro ad Otranto ed Asso a Nardò. Il fiume leccese per antonomasia, resta comunque l’Idume, che in questi termini, veniva già indicato nel 1634 nella sua “Lecce Sacra”, dal religioso Giulio Cesare Infantino, laddove scrive: “Lecce altera che ti specchi d’Idume al tuo bel fonte”. Ed appena due anni dopo, il saggista leccese Ascanio Grandi, lo chiama “Patrio Idume” nel suo “Fasti Sacri”, e poi ancora, “Il bel leccese Idume”, nel poema epico “Il Tancredi”, aggiungendo che il nome parrebbe mutuato da quello del mitico fondatore della città, Lizio Idomeneo o Idumeneo.

Per leccesi e turisti, anche ai giorni nostri, l’Idume continua ad essere il fiume di Lecce. Anzi, il fiume sotterraneo di Lecce, che gli studiosi Mario Cazzato e Stefano Margiotta, nel loro “Idume e altre storie d’acqua” (Primiceri ed., Padova 2020), più realisticamente, riducono all’insieme di più falde sotterranee, affioranti in diversi punti della città, prima della sua emersione, una decina di chilometri oltre, al confine fra le Marine di Torre Chianca e Spiaggiabella, dove si attesta nell’omonimo Bacino artificiale naturalizzatosi nel tempo.

Se il fiume Idume, come tale studiato nell’Ottocento dagli esperti dell’Istituto Topografico Militare, si sviluppa nel sottosuolo cittadino, lo stesso non può dirsi del Giammatteo. La strada che ad esso è stata intitolata, all’imbocco del quartiere Santa Rosa, dalle parti dell’inizio di via Frigole, lascerebbe pensare, che anch’esso si sviluppa in città, ma così invece non è, giacché per trovarne traccia, bisogna trovarsi direttamente attorno alla campagna a ridosso del mare. Nel suo caso, proprio il mare dell’altra Marina di Lecce, Frigole, dove si trova pure il suo delta artificiale. Lungo poco più di trecento metri, delle sue due minute ramificazioni, una termina nell’Adriatico, mentre l’altra nel Lago Acquatina, all’interno del quale, negli Anni Ottanta, venne tentato un ambizioso esperimento di acquacoltura di muggini, cefali, saraghi, spigole, orate ed anguille, poi travolto dalla burocrazia e dalle incursioni dei pescatori di frodo.

DOVE VEDERLI

L’unico accesso all’Idume, si trova in via Umberto I a Lecce, nel vano interrato del cinquecentesco Palazzo Loffredo-Adorno, oggi sede di uffici dell’Amministrazione provinciale. Scesi pochi scalini, in una grande vasca che si perde da un lato, è possibile toccarne le acque fresche e cristalline, segno evidente, che non di acque stagnanti si tratta, bensì di ricambio naturale, tanto da far vivere alcuni pesciolini rossi, a suo tempo immessi da un dipendente della Provincia. D’altra parte, la zona coincide con l’antica Giudecca abitata dagli ebrei, e la vasca all’interno della quale scorre il fiume, probabilmente è la stessa delle loro abluzioni rituali. Distanti poche centinaia di metri, altre evidenti tracce del fiume si trovano, in via Ascanio Grandi, all’interno del Museo Faggiano, ed attorno ad esso, in alcuni fra i numerosi Palazzi Nobiliari del borgo antico.

Fra Torre Chianca e Spiaggiabella, dove una strada sterrata ne reca ancora il nome, l’Idume emerge in tutta la sua selvaggia bellezza. Prima di inoltrarsi nell’omonimo Bacino e quindi in mare aperto, fra i canneti popolati da anatre, pesci ed uccelli, si fa lungo alcune centinaia di metri e profondo due, tanti quanti bastano per un tuffo. Un tuffo rinfrescante anche col caldo torrido, perché le sue acque altrove soltanto fresche, qui diventano addirittura gelide. Lungo le rive, accanto alle piante fluviali, crescono la rara salicornia strobilacea ed il fiore di narciso detto tazzetta, nonché orchidee palustri e giaggioli.

A pochi chilometri di distanza, qua e là affiorante fra campagna e macchia mediterranea, alto una spanna, il Giammatteo s’incrocia a due passi dalla spiaggia di Frigole. Ricco di calcio e cloruri, la leggenda vuole che al pari dell’Idume, le sue rive siano abitate da ninfe e folletti. Che probabilmente, chi nei secoli crede di aver visto, deve aver confuso con il gorgoglio dell’acqua che tuttora travasa dalle polle affioranti e dalle invisibili sorgenti.

Toti Bellone
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Foto in alto: Il tratto dell’Idume prossimo al Bacino di Torre Chianca (© T.B.)

 

Vico del Theutra (© T.B.)

Nel Palazzo Loffredo-Adorno, l’unico accesso all’Idume (© T.B.)

Le acque cristalline dell’Idume (© T.B.)

L’Idume anche nel Museo Faggiano (© T.B.)

Uno dei tre ponticelli che attraversano l’Idume (© T.B.)

Una veduta del fiume Giammatteo (© T.B.)

Il Giammatteo nel tratto più vicino al mare di Frigole (© T.B.)

Il Giammatteo si perde nel bacino dell’Acquatina (© T.B.)