Salice/Progetto restauro - 22 Mar 2024

Chiesa Madre “Santa Maria Assunta”: avviati i lavori per la nuova copertura lignea

Il progetto prevede un investimento di 587.565,02 euro, finanziato con fondi CEI (8xmille Chiesa cattolica) e con contributi economici della popolazione di Salice Salentino. Nel suo intervento di presentazione del progetto, il parroco don Massimo Alemanno si è soffermato sull’importanza dell’opera


Spazio Aperto Salento

Nei giorni scorsi sono stati avviati i nuovi importanti lavori di restauro della Chiesa Madre “Santa Maria Assunta” di Salice Salentino, già annunciati e presentati ufficialmente nelle scorse settimane. Si tratta del rifacimento della copertura della navata centrale, del transetto e del presbiterio, previo abbattimento dell’attuale solaio latero-cementizio, peraltro da tempo interessato da infiltrazioni d’acqua.

Il progetto, voluto dal parroco don Massimo Alemanno con l’obiettivo di ripristinare l’antico tetto completamente in legno, è stato illustrato in Chiesa lo scorso 2 febbraio, alla presenza dell’arcivescovo di Brindisi-Ostuni monsignor Giovanni Intini, di diverse autorità locali e di numerosi fedeli (vedi articolo “Restauro della chiesa Madre di Salice: la nuova copertura sarà completamente in legno”).

Sul cartello posto sulla facciata principale, è indicata la data inizio lavori (29 febbraio 2024), la durata dell’intervento (365 giorni), i tecnici progettisti (architetto Vincenzo Capoccello, ingegnere Sergio Sozzo e geometra Giovanni Ianne), il direttore del cantiere (dottor Valentino Nicolì), il tecnico di cantiere (geometra Luigi Spedicato) e il direttore tecnico per la realizzazione della copertura lignea (geometra Davide Canducci). Il progetto, importo dei lavori 587.565,02 euro, è finanziato con fondi CEI (8xmille Chiesa cattolica) e con contributi economici volontari dei salicesi.

In occasione dell’avvio di lavori, di seguito si riporta la parte centrale dell’intervento di don Massimo Alemanno, letta durante la serata dedicata alla presentazione del progetto, dopo aver rivolto il saluto e il ringraziamento a tutti gli intervenuti. (red.)

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Tante sono le sfide che ci attraversano, ma una – anche se non è la più importante, ritengo sia la più necessaria – è quella che ci deve stare a cuore: il restauro della nostra Chiesa Madre. La Chiesa è stata da sempre il centro e il fulcro della vita del paese: fede, religiosità e tradizione sono ancora vive e noi siamo chiamati a valorizzare e recuperare i luoghi e le bellezze che li caratterizzano per avviare un percorso di recupero della nostra identità storica, culturale e spirituale. Accogliere la bellezza significa sprigionare speranza e fiducia facendo arretrare la rassegnazione e la paura. 

Abbiamo goduto nel corso dell’anno pastorale 2021\2022 dei lavori di “Restauro e manutenzione del Campanile e di tutte le facciate della Chiesa Madre”,  usufruendo dei benefici concessi dallo Stato con il Bonus facciate al 90%, che sono stati portati a termine grazie anche alla vostra generosità, e ad Archimpresa che ringrazio nella persona del Geom. Andrea D’Erchia. 

La bellezza del nostro Campanile, esemplare unico di fascino e pregio artistico nel Nord Salento, ben “incatenato” al corpo di fabbrica della Chiesa ed innalzato assieme alle mura della stessa, è opera dei Fratelli Trevisi che già nel 1690 innalzarono a Campi il campanile della Chiesa dello Spirito Santo, oggi Santuario di San Pompilio.

I due campanili sono molto simili: nella tecnica costruttiva, nelle dimensioni, la stessa pietra di carparo, gli stessi motivi decorativi sulle finestre, le lesene e sulle cornici. Il modello dei due campanili è sicuramente lo stesso e si rifà a quello della Cattedrale di Lecce progettato dall’architetto Giuseppe Zimbalo (Lecce 1620- 1710), che, come è noto, fu costruito e firmato dagli stessi fratelli Trevisi.  

L’ultimo ordine ottagonale e il cupolino furono completati successivamente da altre maestranze: i fratelli Quaranta di Squinzano. È bello questo nostro campanile che svettando, vigila attento sulla nostra cittadina, potremmo dire che è il simbolo di sguardi che si incrociano tra cielo e terra, sguardi che si uniscono dal basso e che insieme si rivolgono verso il cielo, verso l’alto, verso il futuro che è dono di speranza ancorato ad una fedeltà che si rinnova. 

Il campanile, oggi, ci è stato restituito con tutto il suo biancore; è simbolo della comunità e della storia che guarda al futuro; allora ci impegneremo a conoscere il nostro patrimonio storico-culturale-spirituale non solo per goderne, ma per formarci e imparare a costruire un buon avvenire. 

Ora, dopo aver accolto la bellezza dell’esterno della nostra Chiesa Madre, vogliamo continuare a valorizzare la bellezza dell’architettura barocca interna, unica espressione, nella quale la cittadinanza tutta si ritrova per vivere i grandi eventi della fede e della cultura; dono monumentale consegnato alle nostre generazioni e da noi custodito per essere ancora – nonostante la fatica – il segno di un popolo che si raduna per camminare nel tempo profumato di un futuro, pieno di luce, gravido di attese e con uno sguardo nuovo sull’umana società sempre in via di sviluppo a tutti i livelli. 

Vogliamo consegnare, quindi, alla nostra cittadina e ai nostri figli, con lo stesso orgoglio dei nostri avi, che quanto abbiamo ricevuto lo stiamo custodendo e riconsegnando non solo come un monumento storico, ma anche nella fede che fa la storia della nostra povera esistenza. 

Pertanto, la Chiesa Madre non è solo un luogo di culto, ma è simbolo di una precisa identità per noi salicesi, appartenenza al luogo e alle tradizioni ed elemento che ne tramanda la propria storia. Desideriamo essere un popolo in cammino, un popolo che vuole vivere il pellegrinaggio del cuore per tornare alle sorgenti, per sentire questo monumento il patrimonio che appartiene a tutti. Questa Chiesa fatta di pietre ci voglia rimandare alla Chiesa fatta di persone, così come bene è espresso nell’itinerario che il vescovo Giovanni ci ha consegnato: “Cantiere Chiesa. Artigiani di comunità”.

La costruzione della nostra Chiesa all’inizio a navata unica, con l’abside e priva del transetto che la connotasse come a forma di croce, fu costruita quando la Chiesa di San Giovanni Battista, poi dedicata a Santa Filomena, divenne troppo piccola e inadeguata in funzione di una popolazione fortemente in crescita e di un clero mai così tanto numeroso prima di allora. Pertanto, questa nostra Chiesa Madre ha radici molto lontane nel tempo, sorge sul luogo dove insisteva la primitiva Chiesa che ebbe vita per oltre due secoli, ma che a causa di ricorrenti terremoti, di cui memorabile fu quello del 1456, fu soggetta a continui lavori di restauro.

Dalle fonti dell’Archivio Storico Parrocchiale si apprende che la notte del 3 marzo 1689  ci fu il crollo e l’abbattimento della primitiva e antica Chiesa, e il 12 novembre 1690, l’Arciprete don Giovanni Bernardino Bortone, delegato dall’arcivescovo di Brindisi,  Monsignor Francesco Ramirez, pose la prima pietra “angolare” del nuovo Tempio. [1] I salicesi contribuirono generosamente alla ricostruzione della Chiesa portando a spalla, dalle cave di Arneo, per devozione o per penitenza, blocchi peSanti di pietra.

Il 26 maggio del 1701, festa del Corpus Domini, l’arciprete don Giosia Bertone, delegato dall’arcivescovo di Brindisi, monsignor Barnaba De Castro, benedetta la nuova chiesa costruita sulle vecchie rovine, massiccia e solenne, con uno stile architettonico sobrio ed elegante, fece solennemente l’ingresso tra l’esultanza del popolo salicese.

La Chiesa matrice, già dedicata alla Vergine Maria Assunta in cielo, fu nuovamente intitolata a “Santa Maria Assunta” e si fece dono del principale protettore nella figura del Santo di Assisi, San Francesco d’Assisi, e accanto a lui come co-protettori Sant’Agostino d’Ippona e San Tommaso d’Aquino ben visibili nelle nicchie sulla grande facciata.

Non si ha una precisa memoria del progettista della nostra Chiesa, anche se tante sono le ipotesi e una è quella dello Zimbalo, che in quegli anni era nel pieno della sua attività professionale e a lui fu affidata la costruzione del Duomo di Lecce. Pertanto, la nostra Chiesa, pur non avendo certezza del progettista, pare che sia una copia fedele – come dice il De Santis – «della maggior chiesa cattedrale vescovile di Lecce e se nulla si dice dell’architetto lo si intuisce dal fatto che solo lo Zimbalo poteva osare copiare una sua opera» (De Nisi).

Ma in realtà, come era all’interno la nostra Chiesa Madre? Come si presentava? Entrando in Chiesa stupiva la sua bellezza e l’impostazione architettonica: un grande arco maestoso nella navata centrale ben intonato e proporzionato con tutti gli altri elementi che racchiudevano anche il coro e l’altare maggiore.

La volta, a forma di croce latina, aveva un tetto ligneo con un controsoffitto piano costituito da assi di legno sulle quali era stata applicata la decorazione realizzata precedentemente su carta di provenienza francese, chiamata “carta mille punti” che copriva tutta la superficie. Le decorazioni furono opera dei pittori Vitantonio Colucci di Martina Franca e Servo di Dio da Campi.        

Il Capitolo di Salice, nel 1747, decise di far decorare la volta della Chiesa commissionando al centro della navata una gigante raffigurazione dell’Assunta, con le braccia aperte e lo sguardo verso l’alto circondata da volti di angeli tra nuvole e angeli in volo. E poi ancora, le immagini di due pontefici dipinti a mezzo busto, posti a distanza, a destra era rappresentato San Gregorio Magno, riconoscibile nell’iconografia, che lo raffigurava con una colomba posta sulla spalla, e a sinistra se ne è perduta la memoria. 

Nell’ultimo tratto della navata centrale erano raffigurati i quattro Evangelisti, chinati o seduti su di una nuvola: a destra, vicino al transetto, San Giovanni, con un’aquila, a sinistra, San Matteo, con una penna in mano e il bue, sotto l’immagine di San Giovanni, San Luca, con un angelo e poi sulla sinistra, seduto su di una roccia, San Marco con una mano posata sulla testa di un leone.

Il transetto comprendeva cinque figure di Santi: al centro, tra i due archi di trionfo, vi era l’immagine di San Giovanni Battista ritto, con il bastone in mano e l’agnello a lato e una colomba sopra il capo e poi alla destra di San Giovanni Battista, San Domenico, rivolto verso di lui con la mano sinistra posta sul petto, e una penna nella mano destra, e Sant’Agostino con i paramenti episcopali anche egli rivolto verso il centro. Dall’altra parte, alla sinistra di San Giovanni, San Tommaso d’Aquino, rivolto verso il Battista recante, sulla spalla, un uccello col becco rivolto verso la tempia e a fianco, San Francesco di Paola. Al centro del coro, l’immagine di una grande Ostia. 

Tanti sono stati i restauri fatti dentro e fuori l’edificio sacro, ultimo:  il 22 aprile 1956, quando, alle ore 23.30, avvenne l’improvviso crollo che scoperchiò “interamente” la volta, come si legge nella lapide marmorea sulla porta che dà accesso in sagrestia, è scritto “interamente”, perché dalle Cronache Parrocchiali si evince anche un altro crollo parziale del tetto nel 1939 ma mal restaurato a detta dei tecnici interpellati dall’allora arciprete don Mario Melendugno. 

Ho voluto ripercorrere questa breve storia della nostra Chiesa per fare memoria, perché la memoria ci lega al passato e fa sentire vive le radici, rinsalda i legami e orienta alla speranza viva. Ho voluto fare memoria perché abbiamo bisogno di riscoprirci comunità, cioè conoscere da dove veniamo, ricordare coloro che hanno camminato con fiducia prima di noi e ci hanno consegnato questo bagaglio di storia, oggi la nostra storia!

La memoria rende forte il popolo e noi dobbiamo riscoprirci sempre più popolo per essere forti insieme, direbbe Papa Francesco: «radicati in un cammino, radicati in una storia, radicati in un popolo». La memoria l’ho colta nella vivace passione di Ciccio Innocente che ne ha curato la stesura di righe riguardanti la nostra Chiesa Madre e la raccolta di testimonianze orali che ci hanno permesso di descrivere nel dettaglio tanta parte di questo nostro monumento orgoglio del nostro paese. La memoria ci fa capire che non siamo soli, siamo un popolo: un popolo che ha storia, che ha passato, che ha vita oggi.  

Oggi la polverizzazione dei legami e l’individualismo crescente fa diventare sempre più evanescente il concetto di popolo, non ci può essere un “io” senza un “noi” che ci abbia consegnato una tradizione. Allora, ci sentiremo appartenenti ad un popolo, ad una comunità quando rinnoveremo la memoria del popolo, del nostro essere comunità.

Papa Francesco dice: «Se qualcuno mi domandasse qual è la deviazione più pericolosa dei cristiani di oggi? io direi senza dubitare la mancanza di memoria di appartenenza a un popolo, quando manca questo vengono i dogmatismi, i moralismi, gli eticismi, i movimenti elitari perché manca il popolo, un popolo, una comunità».

Lasciamo che questa memoria ci aiuti a saper sperare, a guardare l’orizzonte, a non rimanere chiusi, per costruire una comunità vera, capace di avere un’identità, fondata sui valori per cui ne vale la pena spendere le nostre energie e rivitalizzare le arterie del nostro paese scorgendo in ogni angolo la bellezza di una vita che pulsa, il profumo di una umanità nuova, la luce di un futuro ancorato ad un passato dove poter ancora radicare pagine indelebili di storia per una fedeltà sempre nuova. 

Parlare della conservazione significa, tradotto in atteggiamento: prendersi cura e parlare della ricostruzione delle chiese, direbbe Papa Francesco significa porre «un’attenzione particolare. Sono patrimonio della comunità, non solo in senso storico e culturale, anche in senso identitario. Quelle pietre sono impregnate della fede e dei valori del popolo; e i templi sono anche luoghi propulsivi della sua vita, della sua speranza» (L’Aquila, 28 agosto 2022). 

In conclusione, riscopriamo questa nostra bellezza, perché di bellezza abbiamo bisogno noi e di bellezza ha bisogno il mondo e la bellezza non è solo un fattore estetico, ma anche antropologico, relazionale, culturale. La bellezza dei monumenti si rende visibile se i monumenti stessi sono abitabili, cioè se colui che li ammira riesce a calarsi dentro e ad entrare in relazione con essi, solo allora se ne potrà cogliere non solo la bellezza, ma anche il significato e la storia che li ha attraversati perché sono e rimangono documenti della storia, della cultura e della civiltà di un popolo.

Don Massimo Alemanno
Parroco della Chiesa Madre “Santa Maria Assunta

© Riproduzione riservata

[1] Archivio Parrocchiale Salice  “Libro dei Battezzati,  Matrimoni e Defunti”  anno 1655 – 1701

 

Foto in alto: esterno Chiesa Madre, particolare dell’impalcatura ©. Sotto: il cartello di cantiere ©; due immagini del cantiere ©; facciate laterale e centrale della Chiesa ©